Non può ritenersi imprevedibile che un motociclista su una moto di grossa cilindrata proceda ad elevata velocità in una strada provinciale a tratti gravata da limiti urbani, ma “trattata” come fosse a scorrimento veloce. Così ha deciso la Cassazione nella sentenza 25927/15.
Il caso
La Corte d’appello condannava, ai sensi degli artt. 589 c.p.(omicidio colposo) e 145 codice della strada (precedenza) un imputato, accusato di aver causato, mentre si trovava alla guida della sua auto, la morte di un motociclista: percorrendo una strada provinciale, l’imputato si era fermato a ridosso della linea di mezzeria, con indicatore acceso, per immettersi in un’area di servizio, ma non si accorgeva del sopraggiungere in direzione di marcia opposta della moto, condotta a velocità eccessiva ed in violazione dei limiti orari dalla vittima. L’imputato iniziava quindi la manovra di svolta a sinistra, provocando così la collisione.
L’uomo ricorreva in Cassazione, sostenendo che non fosse stata raggiunta la prova della sua responsabilità penale, in quanto non era stato possibile determinare il punto d’urto, non era stata fatta l’autopsia: mancava quindi la prova del nesso di causalità. Inoltre, deduceva anche il mancato raggiungimento della prova dell’elemento soggettivo del reato, sotto il profilo della condotta colposa, dal momento che l’imputato si sarebbe trovato nella concreta ed assoluta impossibilità di prevedere il sopraggiungere della moto: a suo giudizio, era stata l’elevata velocità della moto a causare il sinistro, non potendo invece lui vedere la moto, a causa di un’altra macchina che procedeva a velocità moderata.
La Corte di Cassazione sottolinea che dai rilievi fotografici poteva desumersi che si trattasse di un rettilineo preceduto, peraltro 200 metri prima del punto di impatto, «da una leggera curva destrorsa, comunque inidonea a creare problemi di visibilità». Inoltre, il motociclista aveva sorpassato l’auto, ritenuta dal ricorrente di intralcio alla visibilità, prima della leggera torsione stradale, per cui cadeva la tesi del ricorrente. Perciò, l’avvistamento reciproco dell’automobilista, fermo in procinto di svoltare a sinistra, da parte della vittima, e del motociclista da parte dell’imputato, era esigibile solo ponendo l’ordinaria attenzione e la minima diligenza.
Non poteva ritenersi imprevedibile, come sostenuto al contrario dall’imputato, che un motociclista su una moto di grossa cilindrata procedesse ad elevata velocità in una strada provinciale a tratti gravata da limiti urbani, ma “trattata” come fosse a scorrimento veloce. Per quanto riguarda il nesso di causalità, era ininfluente la circostanza che non fosse stata condotta un’indagine sulle cause della morte, oppure sull’esatto punto di urto, in quanto la causa della morte era certa senza necessità di esame autoptico. Il nesso di causalità non avrebbe potuto essere escluso, neanche se si fosse ritenuto che la vittima fosse caduta prima dell’impatto, poiché tale caduta ci sarebbe stata per l’improvvisa decisione dell’imputato di iniziare la manovra di svolta, costringendo la vittima ad una brusca ed inefficace frenata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La moto andava troppo veloce, ma l’autista avrebbe potuto notarla senza problemi: pena confermata - La Stampa
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lunedì 27 luglio 2015
La moto andava troppo veloce, ma l’autista avrebbe potuto notarla senza problemi: pena confermata
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