1. Dopo aver pubblicato - in prossimità dell'entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che ha introdotto l'art. 131-bis c.p. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto) - le linee guida della Procura di Lanciano, pubblichiamo la circolare n. 4/2015 della Procura di Trento, contenente le "prime riflessioni" (d'ora in poi 'linee guida') sulla nuova disciplina.
2. Il documento, in prima battuta, da un lato, enfatizza la funzione di deflazione processuale assegnata al nuovo istituto e, dall'altro, sottolinea la necessità che in nome di tale esigenza non si giunga ad una sorta di "abdicazione" della risposta sanzionatoria dello Stato.
Si precisa, poi, coerentemente con la Relazione allo schema di decreto, che l'applicazione dell'art. 131-bis presuppone un fatto di reato, integrato in tutti i suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi. Si deve trattare, in altri termini, di un fatto tipico e offensivo dell'interesse tutelato, ma da ritenere non punibile sulla base dei principi di proporzione e economia processuale, che costituiscono il fondamento della nuova disciplina. In questo senso depongono, si legge nelle linee guida, il tenore letterale della norma e il fatto che anche l'archiviazione produce conseguenze giuridiche sfavorevoli, derivanti dalla iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale.
3. In relazione all'ambito di applicazione, nelle linee guida si sottolinea che, ai sensi di quando disposto dall'ultimo comma dell'art. 131-bis, la nuova causa di non punibilità è applicabile anche in casi in cui è prevista una circostanza attenuante che dia rilievo alla tenuità del fatto, sempre che sussistano tutti i presupposti stabiliti dalla nuova norma. Si sottolinea, inoltre, che la sussistenza degli estremi di circostanze di questo tipo costituisce, di fatto, elemento "di notevole rilievo" per articolare il giudizio sull'esiguità del danno che potrebbe condurre all'applicazione dell'art. 131-bis, unitamente alla valutazione degli altri presupposti.
3.1. Le linee guida affrontano, poi, alcuni dei principali nodi interpretativi che la prassi sta portando ad emersione. In particolare, con riferimento alla "esiguità del danno o del pericolo":
- si sottolinea, in primo luogo, che l'apprezzamento dell'esiguità del danno o del pericolo - che pur devono sussistere - è caratterizzato, di fatto, da ampi margini di discrezionalità, molto essendo rimesso alla valutazione del giudice;
- la nuova causa di esclusione della punibilità si applica anche ai reati di pericolo astratto sulla scorta di una duplice considerazione: si rileva, in primo luogo, che anche in relazione a questa categoria di reati il principio di offensività consente di individuare in relazione al caso concreto un'offesa al bene giuridico tutelato, di minima entità e, in secondo luogo, che la particolare tenuità si apprezza mediante un giudizio sintetico che tenga conto di tutti gli elementi indicati dalla norma;
3.2. Rispetto alle ipotesi di esclusione della particolare tenuità dell'offesa, si precisa che si tratta di cause ostative volte ad escludere che fatti di reato commessi per motivi abietti o futili, con crudeltà, con sevizie o approfittando delle condizioni di minorata difesa della vittima, ovvero condotte che hanno cagionato o dalle quali siano derivate, come conseguenze non volute la morte o le lesioni gravissime di una persona, che sulla base della cornice edittale rientrerebbero nell'ambito di applicazione dell'art. 131-bis, portino ad una declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La formulazione letterale della disposizione di cui al co. 2, si osserva nelle linee guida, lascia aperta la possibilità che il giudice valuti la sussistenza di tali ipotesi anche qualora non siano oggetto di una formale contestazione, ad esempio come circostanza aggravante.
3.3. In relazione ai parametri - individuati dal legislatore nei criteri di cui all'art. 133 co. 1 c.p. - cui il giudice deve fare riferimento per la valutazione della particolare tenuità dell'offesa - desunta dalle modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo, ai sensi dell'art. 131-bis co. 1 -, nelle linee guida si sottolinea che un notevole rilievo hanno considerazioni inerenti all'elemento soggettivo ed in particolare all'intensità del dolo e al grado della colpa[1].
3.4. Quanto alla non abitualità del comportamento, le linee guida si soffermano sull'analisi dell'art. 131-bis co. 3 ed in particolare, propongono un'interpretazione delle due ipotesi più problematiche e più rilevanti nella prassi:
a) commissione di più reati della stessa indole, nella quale rientrano:
- la condizione di recidivo reiterato e specifico, accertata giudizialmente (la recidiva di per sé, si sottolinea, non è - o meglio potrebbe non essere - ostativa all'applicazione dell'art. 131-bis);
- la situazione di colui al quale, pur non essendo stata applicata la recidiva reiterata e specifica, risulti aver commesso più reati della stessa indole, circostanza che può verificarsi in due situazioni: in primo luogo, in relazione a fatti pregressi giudizialmente accertati e, in secondo luogo, rispetto a più condotte integranti una pluralità di reati giudicati nello stesso procedimento in cui venga in rilievo la possibilità di applicazione dell'art. 131-bis.
b) condotte plurime, abituali e reiterate: si tratta di una categoria di casi individuata con un'espressione ridondante, il cui significato non è di immediata individuazione. In particolare, non appare chiara la distinzione - se esiste - tra condotte plurime e reiterate. Ciò nonostante, si cerca di fornirne un'interpretazione, che ricomprende nelle ipotesi in esame:
- i reati abituali (rientranti nell'ipotesi di "condotte abituali"): sono ricompresi sicuramente i reati "necessariamente abituali", come ad esempio quello di atti persecutori, previsto dall'art. 612-bis c.p. ed i reati "eventualmente abituali", solamente nel caso siano commessi più "atti tipici" (in caso contrario non è esclusa l'applicabilità dell'art. 131-bis);
- reati non abituali, ma commessi in concreto mediante condotte plurime e/o reiterate[2], anche se inquadrabili nel paradigma del reato continuato (si tratta di ipotesi, diverse - si precisa nelle linee guida - dalla commissione di più reati, situazione che astrattamente non escluderebbe l'applicazione della nuova causa di non punibilità).
Si esclude che l'ipotesi di concorso formale di reati rientri nella disposizione in esame, dal momento che l'ipotesi di cui all'art. 81 co. 1 c.p. si caratterizza per la commissione di una sola azione od omissione - mentre l'art. 131-bis co. 3 si riferisce a più condotte - e perché sarebbe irragionevole ammettere l'applicabilità dell'art. 131-bis nella più grave ipotesi della recidiva, ancorché non reiterata né specifica - che presuppone una pluralità di reati - ed escluderla nell'ipotesi in esame, che si caratterizza per l'unicità della condotta incriminata.
Si pone poi la questione della disciplina applicabile quanto ad un soggetto siano contestati, nello stesso procedimento due reati, uno dei quali escluso dall'ambito di applicazione dell'art. 131-bis ed in particolare ci si chiede se l'imputato possa essere dichiarato non punibile solo in relazione ad uno dei due reati.
4. In relazione ai profili processuali, nel documento si rileva come alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto si possa giungere sia prima dell'esercizio dell'azione penale - mediante un decreto di archiviazione - sia in fasi successive del procedimento e precisamente nel 'predibattimento' e all'esito del dibattimento, oltre che, anche se non espressamente previsto dalla legge, all'esito dell'udienza preliminare[3].
Nelle linee guida si affrontano alcuni dei profili più innovativi e potenzialmente problematici della nuova disciplina.
4.1. Rispetto alla disciplina della declaratoria ex art. 131-bis nella fase delle indagini preliminari viene posto l'accento sui seguenti aspetti:
a) in relazione alla eventuale interlocuzione con la persona offesa e l'imputato, nella fase delle indagini preliminari, si evidenzia che l'avviso alla persona offesa - affinché possa prendere visione degli atti e presentare opposizione alla richiesta di archiviazione - debba sempre effettuarsi e non solo nel caso in cui la persona offesa abbia dichiarato di voler essere informata ai sensi dell'art. 408 co. 2 c.p.p. La disposizione presenta due profili problematici:
- potrebbe avere un impatto negativo sull'efficienza degli uffici giudiziari, già caratterizzati da carenze organizzative;
- è difettosamente coordinata con l'art. 408 co. 3-bis c.p.p. che prevede un termine di venti giorni per la visione degli atti e la presentazione dell'opposizione da parte della persona offesa, nei casi di delitti commessi con violenza alla persona, mentre ai sensi del nuovo art. 411 co. 1-bis il termine è in ogni caso di dieci giorni;
b) in relazione ai provvedimenti che il giudice, nella fase delle indagini preliminari, può adottare, viene posto l'accento su due profili problematici:
- ci si chiede se, nel caso in cui il giudice non accolga la richiesta di archiviazione e restituisca gli atti al pubblico ministero, eventualmente disponendo ai sensi dell'art. 409 co. 4 e 5 c.p.p., possa provvedere de plano e, in proposito, si ritiene che, qualora il mancato accoglimento segua ad una richiesta di opposizione non inammissibile, il provvedimento deve essere adottato all'esito di un'udienza camerale, in ragione del richiamo contenuto nell'art. 409 co. 2 c.p.p.;
- nulla è specificato in relazione all'ipotesi in cui, pur in assenza di un'opposizione, il giudice ritenga comunque di non accogliere la richiesta di archiviazione: il mancato richiamo all'art. 409 co. 2, da parte dell'ultimo periodo dell'art. 411 co. 1-bis potrebbe accreditare la tesi che il provvedimento di rigetto della richiesta possa essere adottato senza previa fissazione dell'udienza camerale, tuttavia, si sottolinea, dal momento che il giudice, in questa sede, può sollecitare lo svolgimento di nuove indagini o disporre l'imputazione coatta, esigenze di garanzia sottese all'art. 409 co. 2 c.p.p., che impongono l'instaurazione del contraddittorio, devono portare a concludere che il provvedimento ex art. 411 ci. 1-bis debba necessariamente essere adottato all'esito di un'udienza camerale, come previsto dalla disciplina generale sull'archiviazione;
c) l'opposizione può essere dichiarata inammissibile solo ove manchi l'indicazione delle "ragioni del dissenso" o, anche se non espressamente previsto, qualora esse siano manifestamente infondate, ma non per la sola tardività dell'opposizione, dal momento che l'osservanza del termine di dieci giorni non è prevista a pena di inammissibilità.
4.2. Dopo l'esercizio dell'azione penale la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto può avvenire, nel predibattimento, ai sensi dell'art. 469 co. 1-bis. In merito si osserva che:
- la norma dispone che la persona offesa deve essere sentita, se compare, senza che sia previsto uno specifico avviso finalizzato a metterla a conoscenza di una possibile definizione predibattimentale per l'applicazione dell'art. 131-bis. L'opposizione della persona offesa non ostacola la pronuncia;
- la pronuncia è condizionata alla assenza di opposizione dell'imputato e del pubblico ministero, che pertanto vanno avvisati della data dell'udienza, per garantire la loro audizione effettiva, a meno che non risulti dagli atti che essi abbiano manifestato la loro opposizione o sollecitato la definizione del procedimento ex art. 469 c.p.p.
4.3. Nelle linee guida, rispetto alle impugnazioni dei provvedimenti che dichiarano la non punibilità per particolare tenuità del fatto, si osserva che:
- il provvedimento di archiviazione può essere impugnato per sole ragioni procedurali - ad esempio nel caso in cui non sia stato dato l'avviso previsto dall'art. 411 co. 1-bis -, mentre è esclusa una impugnazione "nel merito";
- anche se potrebbe sussistere un interesse dell'indagato a non vedersi applicato il nuovo istituto e ad ottenere una pronuncia più favorevole nel merito, il fatto che il giudice non sia vincolato ad una simile richiesta - presentata con opposizione alla richiesta di archiviazione - è soluzione ragionevole, funzionale ad esigenze deflattive.
5. In ordine ai profili di diritto intertemporale si sottolinea infine che l'istituto è da ritenersi senz'altro applicabile retroattivamente ai sensi dell'art. 2 co. 4 c.p., in quanto contenente "disposizioni più favorevoli al reo" e non sussistendo giustificazioni ragionevoli che ostacolino l'applicazione dell'art. 131-bis a fatti pregressi oggetto di giudizi pendenti.
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[1] Nello stesso senso Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195, giud. Tremolada, in questa Rivista, 21 maggio 2015.
[2] Di diverso avviso Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3937, giud. Tremolada, in questa Rivista, 21 maggio 2015.
[3] Nello stesso senso Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195, giud. Tremolada, in questa Rivista, 21 maggio 2015.
fonte: www.penalecontemporaneo.it/GiuliaAlberti/DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO
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