sabato 6 giugno 2015

Combine nel derby: risarcibili i danni subiti dai tifosi

Anche la passione sportiva, se compromessa dalle condotte criminose di quanti cospirano per alterare il risultato di una gara in cui è impegnata la squadra per cui si fa il tifo, può essere annoverata tra gli interessi meritevoli di tutela risarcitoria. Ciò vale a maggior ragione se la partita truccata è particolarmente sentita, come accade per un derby o una sfida di cartello. Recenti decisioni dei giudici di merito, con cui si è accordato il ristoro del pregiudizio non patrimoniale a sostenitori affranti dopo aver scoperto che il risultato ottenuto sul campo era stato il frutto di una combine, offrono lo spunto per riflettere sulla figura del danno conseguente alla perdita di fiducia nella genuinità delle competizioni sportive e sulla sua problematica quantificazione.

Negli ultimi anni le inchieste della magistratura hanno fatto venire alla luce diverse macchinazioni ordite da personaggi senza scrupoli e da organizzazioni criminali che, inserendosi in maniera illegale nell’ingente giro di affari legato alle scommesse su eventi sportivi, miravano, con la collaborazione di atleti e dirigenti, a condizionare gli esiti di alcune gare di calcio, non di rado effettivamente influenzate nel loro andamento. In tale contesto uno degli episodi che ha destato più scalpore si identifica con il patto tra un calciatore e il presidente della squadra avversaria che ha interessato la partita disputata tra Bari e Lecce nella stagione 2010/11 del campionato di serie A, trattandosi di un derby regionale particolarmente sentito dai sostenitori delle due formazioni, in ragione della loro tradizionale rivalità. Gli artefici della combine e i rispettivi intermediari sono stati sottoposti a procedimento penale dinanzi al Tribunale di Bari per frode sportiva, reato di pericolo che non si ricollega alle mere violazioni delle regole di gioco, sanzionabili unicamente dall’ordinamento sportivo, richiedendo invece un quid pluris, ossia un artifizio o raggiro che modifichi fraudolentemente la realtà, alterando il corretto e leale risultato della competizione sportiva (Cass. pen., sez. II, 29 marzo 2007, n. 21324). Ad alcuni degli imputati è stata applicata la pena su richiesta delle parti; altri sono stati condannati con sentenza emessa all’esito del dibattimento. Proprio in quest’ultima pronuncia il giudice penale si è occupato anche di profili privatistici, allorquando è stato chiamato a decidere sulle richieste risarcitorie formulate da entità collettive e soggetti individuali di cui era stata ammessa la costituzione quali parti civili.

Per quanto riguarda i soggetti appartenenti al primo gruppo di danneggiati –segnatamente la Federazione Italiana Giuoco Calcio e un’associazione rappresentativa dei consumatori– in virtù delle difficoltà prospettate dal giudicante nella commisurazione del pregiudizio non patrimoniale, si è pervenuti più precisamente a una condanna generica, pur corredata dalla concessione di una provvisionale. Si è comunque accertato che la federazione sportiva aveva subito una lesione delle prerogative riconosciutele dalla legge e dallo statuto, suscettibile di arrecarle danno, anche sub specie di offuscamento dell’immagine; la statuizione appare in sintonia con i precedenti giurisprudenziali, se si pensa, ad esempio, che era stata riconosciuta in capo al Comitato Olimpico Nazionale Italiano la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per frode sportiva, in quanto organo preposto alla tutela dello sport come bene nazionale (in questi termini si sono espresse Cass. pen., sez. II, 8 marzo 2011, n. 12750; Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2008, n. 46362). D’altro canto, con riferimento all’organizzazione consumeristica, è stata valorizzata l’ampia formulazione della clausola di cui all’art. 2, lett. e), del codice del consumo, che presidia la correttezza, la trasparenza e l'equità nei rapporti contrattuali. Invero, gli spettatori di un incontro di calcio, che lo seguano sugli spalti o per televisione, sono contraenti, i quali nei rapporti con le controparti professionali rivestono i panni del consumatore e acquistano un prodotto perché convinti di assistere una competizione genuina. Al riguardo, può aggiungersi che gli enti esponenziali degli interessi dei consumatori e degli utenti possono altresì proporre le domande di restituzione e di risarcimento dei danni conseguenti alle condotte delle imprese, nei limiti in cui facciano valere l’interesse comune all’intera categoria rappresentata a ottenere una pronuncia di accertamento su aspetti quali l’esistenza dell’illecito, della responsabilità, del nesso causale tra l’illecito e il danno, dell’esistenza ed entità potenziale dei danni (a prescindere dalle peculiarità delle singole posizioni individuali) e ogni altra questione idonea ad agevolare le iniziative individuali, sollevando i singoli danneggiati dai relativi oneri e rischi (Cass. civ., sez. III, 18 agosto 2011, n. 17351).

Profili di indubbio interesse presentano i passaggi della decisione che hanno vagliato le pretese avanzate da un certo numero di sostenitori delle compagini che avevano dato vita alla partita incriminata. Ai tifosi in questione, spettatori inconsapevoli dell’incresciosa combine, mentre è stata negata la rifusione del danno patrimoniale, è stato accordato il ristoro di quello non patrimoniale, quantificato in 400 euro pro capite. Analogo riconoscimento della sussistenza di una siffatta voce di pregiudizio figurava in una sentenza resa qualche tempo prima dal medesimo ufficio giudiziario, nella quale erano venute in rilievo condotte fraudolente poste in essere in relazione ad altre partite giocate dalla squadra barese nel campionato di serie B (Trib. Bari, sez. I, 26 febbraio 2014-27 maggio 2015, n. 10171). Rispetto alla precedente pronuncia, che si limitava a far leva sul vulnus al diritto al leale svolgimento delle manifestazioni sportive, la decisione relativa al derby offre ulteriori spunti di riflessione nella misura in cui delinea la figura del “danno da passione sportiva rovinata”. Di tale figura si tratteggiano anche alcuni profili, quali lo smarrimento dei valori sportivi e il cambiamento in senso peggiorativo delle abitudini di vita dell’appassionato. Sotto quest’ultimo aspetto si nota un aggancio con la dimensione esistenziale del danno non patrimoniale, ancorché quest’ultima sia più propriamente legata a un vero e proprio sconvolgimento della quotidianità (v., ad es., Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361). Nel caso in esame, la derivazione del pregiudizio da una condotta delittuosa esime dall’indagare se risulti effettivamente conculcato un interesse fondamentale della persona (infatti, secondo Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3718, quando la risarcibilità del danno non patrimoniale è espressamente prevista dalla legge, essa prescinde dal rilievo, costituzionale o no, del diritto leso). Di pregiudizi di natura esistenziale risentiti dai tifosi ha discettato in alcuni casi la giurisprudenza di merito, giungendo con qualche forzatura a riconoscere il diritto al risarcimento in caso di mancato ripescaggio di una squadra calcistica in una serie superiore, che avrebbe costretto il supporter a seguire la squadra del cuore in una categoria caratterizzata da basso profilo tecnico e da inesperienza arbitrale, privandolo del piacere di godere di uno spettacolo più adeguato (Giud. pace Napoli 27 marzo 2006). L’esigenza di rispettare la passione del tifoso emerge, sia pure in maniera più sfumata, anche dalla vicenda processuale che ha visto la condanna di un’emittente televisiva cui si addebitava di aver diffuso, durante la trasmissione di una partita di calcio, messaggi promozionali non rispettosi delle indicazioni provenienti dalla disciplina di settore (Giud. pace Napoli 31 marzo 2005, confermata da Cass. civ., sez. un., 29 agosto 2008, n. 21934, nella parte in cui si era ravvisato un danno ingiusto nello stress emotivo e nervoso cagionato dai comunicati pubblicitari del cronista).

Relativamente al quantum da liquidare in favore dei tifosi amareggiati, ci troviamo indubbiamente al cospetto di una fattispecie che consente di toccare con mano le criticità della proposizione, enunciata ripetutamente dal Supremo Collegio, secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere integrale, nel duplice senso che non va ignorata alcuna componente e che tuttavia il ristoro non può andare oltre ciò che serve per compensare in termini monetari la lesione. Va messo in evidenza, innanzitutto, che nei confronti di quanti hanno tramato l’inganno relativo al derby pugliese il criterio equitativo si concretizza attraverso l’impiego di una base di calcolo ancorata a un valore patrimoniale (il costo medio del biglietto per assistere alla partita), moltiplicato per un coefficiente ritenuto idoneo a lenire il trauma psicologico conseguente all’aver appreso che il match clou dell’intera stagione ammontava a una colossale farsa. Sennonché balza all’occhio come la somma così ricavata, come si è detto pari a 400 euro, si riveli inferiore alla metà di quanto liquidato dal menzionato precedente in riferimento a due partite ordinarie, prive di quelle peculiarità che contraddistinguono il derby.

fonte: www.altalex.com//Combine nel derby: risarcibili i danni subiti dai tifosi | Altalex

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