Con la sentenza n. 37 del 25 febbraio 2015, depositata il 17 marzo 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 co. 24 del Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, intervenendo in una vicenda giudiziaria iniziata nel 2011, allorquando il T.A.R. Lazio, su ricorso proposto da Dirpubblica, dichiarava l’invalidità di tutte le nomine dirigenziali effettuate senza l’esperimento di un regolare concorso, annullando (1) la delibera del comitato di gestione n. 55 del 02 dicembre 2009 con cui è stato istituito l’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, nonché (2) il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, prot. n. 146687/2010 e (3) il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 settembre 2010, con i quali veniva “sanata” la posizione di una serie di funzionari che da anni svolgono funzioni dirigenziali senza averne la qualifica, in violazione dell’art. 52 co. 5 del D.Lgs. n. 165/2001, che sancisce la nullità dell’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore “al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2”.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva al Consiglio di Stato, ribadendo l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di Dirpubblica, già disattesa dal T.A.R.
Nelle more del giudizio pendente innanzi al Consiglio di Stato, il Legislatore, con Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16 convertito in Legge n. 44/2012, è intervenuto nel maldestro tentativo di porre rimedio alle potenziali conseguenze scaturenti dalle pronunce sopra richiamate, autorizzando l’attribuzione di incarichi dirigenziali a propri funzionari per il tempo necessario “per la copertura del posto vacante tramite concorso” (art. 8 co. 24 D.L. n. 16/2012).
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5451 del 18 novembre 2013, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 co. 24 D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conv. in Legge 26 aprile 2012, n. 44, osservando come “per un verso […] la norma autorizza l’attribuzione di incarichi dirigenziali […] nelle more dello svolgimento dei concorsi; per altro verso, fa salvi gli incarichi “già affidati”, vale a dire gli incarichi dirigenziali già affidati a funzionari privi di qualifica dirigenziale”. A parere del Consiglio, quindi, “occorre[va] rimettere alla Corte Costituzionale, stante la sua rilevanza ai fini della decisione e la sua non manifesta infondatezza, la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 24, D.L. 2 marzo 2012 n. 16, conv. in l. 26 aprile 2012 n. 44”.
La Corte Costituzionale, con una pronuncia che ha avuto ampio risalto sulle prime pagine della stampa nazionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 co. 24 del Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito dall’art. 1 co. 1 Legge 26 aprile 2012, n. 44.
Occorre premettere che già in passato la Consulta si era espressa in senso analogo[6], negando la costituzionalità di una dirigenza “di fiducia”, evidenziando la necessità di procedere alla selezione dei dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti, nel pieno rispetto delle norme costituzionali.
Preliminarmente la Corte, nel ribadire che “il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica de[ve] avvenire previo esperimento di un pubblico concorso […] anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio”, osserva come l’assegnazione di posizioni dirigenziali ad un funzionario possa avvenire soltanto facendo ricorso all’istituto della reggenza (art. 20 D.P.R. n. 266/1987) che, in ogni caso, è destinato a sopperire ad esigenze transitorie ed emergenziali circoscritte nel tempo e si accompagna, per legge, all’avvio di un procedimento per la copertura dei posti vacanti (Cfr. Cass. Civ. SS. UU. 22 febbraio 2010, n. 4063).
Ciò in quanto l’affidamento del lavoratore a mansioni superiori in caso di vacanza di un posto in organico (art. 52 D.Lgs. n. 165/2001) può trovare applicazione con riferimento al sistema di classificazione del personale per livelli, ma non può essere utilizzato “laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente” (nello stesso senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 17/2014; Cass. civ. sez. lav. 12 aprile 2006, n. 8529).
Così chiarito l’ambito normativo di riferimento, la Consulta procede ad esaminare la norma impugnata, rilevando che “l’obiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali […] le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso”. Sennonché, osserva la Corte, nelle more del giudizio “il termine originariamente fissato per il completamento delle procedure concorsuali viene prorogato due volte”, ciò che ha “aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il Legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato la temporaneità della disciplina […] ma dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità”.
L’art. 8 co. 24 del Decreto Legge n. 16/2012, aggiungono i Giudici della Consulta, “inserisce in tale costruzione un [ulteriore – n.d.r.] elemento d’incertezza, nella parte in cui stabilisce che […] le Agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma» […] In questo senso, in contraddizione con l’affermata temporaneità, il termine finale fissato dalla disposizione impugnata finisce per non essere «certo, preciso e sicuro»”, dal momento che tra il completamento delle procedure di concorso e l’assunzione dei vincitori trascorre sovente un notevole lasso di tempo.
La regola del concorso non è soddisfatta, a parere della Corte, nemmeno “dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 […] In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili […] il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili […] e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati”, sicché i contratti non risulterebbero assegnati attraverso il ricorso ad una procedura selettiva pubblica ed aperta, come richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
“In definitiva”, concludono i Giudici, “l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.”.
Così riassunte le motivazioni della sentenza della Corte, occorre interrogarsi sui possibili risvolti pratici della decisione in commento.
A parere della Direzione centrale Affari legali e contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, “la pronuncia di illegittimità della Consulta non produce effetti sugli atti firmati dal personale incaricato di funzioni dirigenziali. In termini molto chiari, nella decisione è affermato che gli atti emessi sono legittimi. […] Ai fini della legittimità dell’atto, è sufficiente che lo stesso provenga e sia riferibile all’ufficio che lo ha emanato […] La sentenza non si riflette sulla funzionalità dell’Agenzia né sulla idoneità degli atti emessi ad esprimere la volontà all’esterno dell’amministrazione finanziaria la cui legittimità è pertanto fuori discussione […] Sarebbero prive di fondamento e, quindi, perdenti le iniziative di contribuenti che intendessero far valere in giudizio l’illegittimità degli atti firmati da personale incaricato di funzioni dirigenziali” (intervista rilasciata al Sole24Ore da Vincenzo Busa, direttore centrale Affari legali e contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 19 marzo 2015).
L'assunto dell’Agenzia delle Entrate fa riferimento all’inciso con il quale la Corte Costituzionale, nel negare che la funzionalità delle Agenzie potesse essere condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla norma poi dichiarata incostituzionale, opera un richiamo alle sentenze della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2014, n. 220 e del 10 luglio 2013, n. 17044.
A sommesso avviso di chi scrive, la posizione espressa dalla Direzione centrale Affari legali e contenzioso dell’Agenzia delle Entrate non può essere condivisa.
In primis, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 220/2014 cui fa riferimento la Consulta, è stata chiamata a giudicare sulla validità ed efficacia di un atto impositivo sottoscritto dal Direttore dell’Agenzia locale, asseritamente sprovvisto di qualifica dirigenziale.
I Giudici di legittimità concludevano che gli atti dell’Agenzia delle Entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal Direttore Generale, in considerazione del fatto che l’art. 5 co. 1 del Regolamento di amministrazione attribuisce agli uffici locali le funzioni operative dell’Agenzia (gestione dei tributi, accertamento, riscossione e trattazione del contenzioso) e che l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia attribuisce al Direttore Generale potere di delega, senza richiedere la qualifica dirigenziale del delegato.
Diversa è, invero, l’ipotesi in cui sia il funzionario delegato dal Direttore dell’Agenzia locale ad essere sprovvisto della qualifica dirigenziale.
E' pacifico, infatti, che l’avviso di accertamento sia nullo se non reca la sottoscrizione del Capo dell’Ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva dallo stesso delegato (art. 42 D.P.R. n. 600/1973) e, in caso di contestazioni, grava sull’Amministrazione finanziaria la prova del corretto esercizio del potere di delega (Cass. civ. n. 14942/2013).
Come correttamente osservato da autorevole Dottrina, “solo in casi particolari come la cartella esattoriale (Cassazione 13461/2012), il diniego di condono (Cassazione 11458/2012 e 220/2014), l’avviso di mora (Cassazione 4283/2010), l’attribuzione di rendita (Cassazione 8248/2006), tributi locali […] per cui manca una sanzione espressa, la giurisprudenza ammette la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere” (Andrea Carinci, Effetti sul contenzioso da pesare, articolo pubblicato su il Sole24Ore del 18 marzo 2015).
Ne consegue che, al di fuori delle ipotesi sopra ricordate, l’atto sottoscritto da funzionario meramente incaricato di funzioni dirigenziali non può che essere considerato affetto da nullità insanabile.
Sul punto, la Commissione Tributaria Provinciale di Messina si è già espressa con una nota datata 07 marzo 2013, affrontando il problema della sorte degli atti sottoscritti dai dirigenti dell’Agenzia delle Entrate la cui nomina era stata sospesa dal Tribunale di Messina[8], in quanto “effettuata in violazione delle procedure concorsuali previste dalla legge” (si veda l’articolo pubblicato su ItaliaOggi del 20 febbraio 2013), giungendo alla conclusione che “gli atti in questione mantengono validità se favorevoli al privato (si tratta di un’applicazione del principio di apparenza ed è questo il caso in cui può parlarsi propriamente di funzionario di fatto) [mentre sono da considerarsi – n.d.r.] illegittimi […] per difetto di competenza se sfavorevoli” (si veda l’articolo pubblicato su ItaliaOggi dell’11 aprile 2013).
E’ evidente, quindi, che, al di là delle smentite di rito, l’intera vicenda rischia di avere una concreta ripercussione sulla validità degli atti impositivi sottoscritti da funzionari meramente incaricati di funzioni dirigenziali e, conseguentemente, sul contenzioso in essere.
fonte: www.altalex.com//Agenzia delle Entrate e delle Dogane: illegittime nomine di 1200 dirigenti
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