venerdì 3 ottobre 2014

I compensi “in nero” ai dipendenti fanno presumere maggiori ricavi

Appunti contenenti importi di denaro al fianco dei nominativi dei dipendenti. Da qui, tutto il resto: la presunzione di pagamenti fuori busta, l’accertamento induttivo sulla base dell’infedeltà della dichiarazione, emersa dal confronto con gli appunti, la determinazione di maggiori ricavi non contabilizzati ai fini delle imposte dirette e indirette (di uguale importo alle cifre segnate), e ulteriori ricavi pari al 2% dei compensi elargiti. Tutto secondo una corretta procedura, come affermato dall’Appello e confermato dalla Cassazione.

Con la sentenza del 1° ottobre scorso, n. 20675, la Suprema Corte rigetta il ricorso del contribuente: la sentenza di merito, che riconosce la legittimità dell’accertamento e del relativo avviso, non contiene errori. Il ricorso all’accertamento induttivo, come chiarito dalla Corte, è, infatti, autorizzato anche in base ad “altri documenti”, “ad altre scritture contabili”, diverse da quelle “previste per legge eventualmente regolari” (art. 54, comma 1, D.P.R. n. 633/72). Che, in altre parole, vuol dire che l’infedeltà della dichiarazione dev’essere accertata mediante il confronto della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta, fra l’altro, di “altri documenti”. Nel caso, i menzionati appunti.

Fatte queste precisazioni, la Corte, ha negato l’uso di presunzioni a catena lamentato dal ricorrente, respingendo anche le accuse circa l’impossibilità di presumere dai pagamenti in nero maggiori ricavi non contabilizzati costituenti base imponibile IRAP. Ma per gli Ermellini “sarebbe stato contradditorio” riconoscerli “ai fini IVA e non ai fini IRAP”.

Fonte: Fiscopiù - Giuffrè per i Commercialisti - www.fiscopiu.it/La Stampa - I compensi “in nero” ai dipendenti fanno presumere maggiori ricavi

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