giovedì 30 ottobre 2014

Diffamazione, niente carcere ma multe salate

Un voto largamente favorevole del Senato e prossimamente un ultimo passaggio alla Camera: così stanno velocemente cambiando le norme sulla diffamazione. Dopo il caso Sallusti, il giornalista condannato al carcere che solo grazie a Giorgio Napolitano è potuto tornare in libertà, e sotto le pressioni internazionali, il Parlamento ha deciso di cancellare la cella per i giornalisti. In compenso ci sono multe salate. La legge in discussione, che per una volta vede quasi tutti i partiti d’accordo - 170 sì, 10 no e 47 astenuti -, introduce rilevanti novità: si prevede il diritto all’oblio; il giornalista non potrà più tutelare la segretezza delle sue fonti davanti al giudice; la rettifica dovrà essere pubblicata senza titolo e senza commento; rientrano nella disciplina prevista per la carta stampata anche le testate giornalistiche on-line, rischiano per la prima volta anche quelli che intentano «querele temerarie» al solo scopo di zittire i giornalisti.



Protestano i giornalisti

«Bene la cancellazione del carcere per i giornalisti, malissimo il bavaglino delle mega multe e delle norme restrittive per il web», sostiene il sindacato Fnsi. «L’insieme delle norme mantiene l’effetto intimidatorio», commenta Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti.

Sanzioni salate

L’abolizione del carcere è la novità principale della legge. Non una depenalizzazione assoluta, come chiedeva Ossigeno, l’osservatorio congiunto tra Fnsi e Ordine sulla libertà di stampa. Restano le multe in caso di condanna: fino a 10.000 euro per una diffamazione semplice, fino a 50.000 se aggravata. Inoltre c’è la pubblicazione obbligatoria della sentenza e l’interdizione dalla professione per un periodo da uno a sei mesi.

La rettifica

È obbligatoria. Il giornale, o il sito Internet, o la televisione, sono tenuti a pubblicarla e che sia senza titolazione e senza commento. Se pubblicata tal quale, il giornalista e il direttore responsabile non sono più punibili. Si possono opporre soltanto se nella rettifica vi siano affermazioni «suscettibili di incriminazione penale» o «documentalmente false». È già immaginabile il quesito: chi decide se una rettifica è documentalmente falsa?

Diritto all’oblio

Un’altra novità: la richiesta di essere cancellati dai motori di ricerca e dagli archivi on-line. Vale sia per chi si ritiene diffamato, sia per chiunque si senta «leso nell’onore o nella reputazione». La platea potenziale è infinita. Conferma la senatrice Rosanna Filippin, Pd, relatrice: «Ogni cittadino, in qualunque momento, avrà diritto a chiedere di oscurare i dati che lo riguardano in nome del diritto all’oblio, però solo un magistrato potrà ordinare l’oscuramento. E sarà il magistrato a valutare se c’è un interesse storico a mantenere in vita quei dati oppure a cancellarli».

Nuove norme per la Rete

C’è già chi grida al «bavaglio» per Internet. Il ddl prevede infatti che l’obbligo di rettifica, ma anche le sanzioni conseguenti a una condanna per diffamazione, valgano per le testate giornalistiche registrate e on-line. Finora le regole valevano solo per la carta stampata. È stato il M5S a volere questa norma. E il senatore Maurizio Buccarella la difende: «Chi parla di bavaglio o afferma il falso oppure sostiene che le testate on-line debbano essere libere di poter diffamare impunemente». A ben vedere, i blog sono esentati da queste regole. Ma per questi ultimi c’è un’insidia ancora più pericolosa: per il reato di “ingiuria” c’è una multa fino a 5.000 euro. E alla stessa pena «soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, telefonica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa». Gli ingiurianti di professione, i cosiddetti «Troll», sono avvisati.

La Stampa - Diffamazione, niente carcere ma multe salate

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