giovedì 10 luglio 2014

Presta i soldi al convivente: ma se li rivuole indietro, deve dimostrare che non erano in dono

La persona che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuta a provare gli elementi costitutivi della domanda, quindi, non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. Infatti, l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare, per intero, il fatto costitutivo della sua pretesa. Lo afferma la Cassazione nella sentenza 9864/14.

Il caso

La Corte d’appello di Roma respingeva la domanda di una donna alla restituzione di alcune somme prestate all’ex convivente durante il periodo in cui vivevano insieme. I giudici di merito rilevavano che le richieste di restituzione erano state avanzate solo dopo la cessazione della convivenza, da cui era nato anche un figlio. Perciò, le attribuzioni patrimoniali avevano una componente che faceva leva sull’affetto e la solidarietà familiare. Questa finalità solidaristica obbligava la donna a dimostrare che il pagamento delle somme portate da assegni incassati dall’ex convivente fosse da ritenere un prestito, ma di ciò non erano stati forniti degli indizi chiari. Anche le missive delle parti con i rispettivi difensori e dei legali tra di loro non avevano particolare valore, poiché da esse non si poteva dedurre un qualche riconoscimento di debito, trattandosi di un carteggio finalizzato a risolvere bonariamente la vicenda.

La donna ricorreva in Cassazione, contestando, con il primo motivo, l’errata lettura dell’epistolario intercorso tra le parti, da cui doveva desumersi il riconoscimento, da parte dell’uomo, dell’esistenza del debito. Secondo la Corte di Cassazione, però, le missive antecedenti l’inizio del processo e le affermazioni contenute in atti processuali provenienti dal legale di una parte non hanno valore confessorio, ma solo carattere indiziario, e quindi sono liberamente valutabili dal giudice. Inoltre, pure le dichiarazioni rese dal difensore, anche in giudizio, che contengono affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte non hanno efficacia di confessione, ma costituiscono elementi di libero apprezzamento. Perciò, dalla corrispondenza intercorsa tra i due legali non potevano essere estrapolate delle frasi su cui fondare un riconoscimento del debito. Il primo motivo veniva, quindi, rigettato. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente affermava l’esistenza, tra le due parti, a fondamento dei ripetuti prestiti, di un vero contratto di mutuo.

Tuttavia, i giudici di legittimità rilevavano che la ricorrente basava la sua contestazione, richiamando solamente il contenuto del proprio interrogatorio formale, che, però, non può avere valore di prova legale, ma, piuttosto, di mero indizio soggetto alla libera valutazione del giudice. Inoltre, veniva sottolineato dalla Cassazione che l’attore, il quale chieda la restituzione di somme date a mutuo, è tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, quindi, non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. Infatti, l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare, per intero, il fatto costitutivo della sua pretesa. Per cui, la circostanza che il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce un’eccezione in senso sostanziale, che inverte l’onere della prova. Di conseguenza, rimane fermo, a carico dell’attore, l’onere di dimostrare che la consegna del denaro è avvenuta in base ad un titolo che ne imponga la restituzione. La Corte di Cassazione rigettava, quindi, anche il secondo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo di ricorso, la donna desumeva un contratto di mutuo dal complessivo comportamento delle parti. Infatti, i versamenti di denaro non potevano costituire né un’obbligazione naturale, né una donazione di modico valore, che imporrebbe l’uso della forma scritta. Inoltre, la donna, consegnando gli assegni all’ex convivente, da lui poi incassati, aveva sempre preteso che questi le rendesse la ricevuta bancaria dell’incasso. La Corte di Cassazione, tuttavia, ricordava che per le donazioni di modico valore, aventi ad oggetto beni mobili, è sufficiente la traditio, anche in mancanza di atto pubblico. In più, nel caso specifico, i versamenti di denaro non erano avvenuti tutti in un’unica soluzione, bensì in circostanze diverse e distanziate, per cui la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare il carattere non modico dei versamenti. Perciò, anche il terzo motivo, e, di conseguenza, l’intero ricorso veniva rigettato dalla Corte di Cassazione.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Presta i soldi al convivente: ma se li rivuole indietro, deve dimostrare che non erano in dono

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