Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con sentenza 7 luglio 2014, n. 29556 si sono interrogate se, nel caso in cui il giudice abbia sospeso i termini di fase avvalendosi del disposto dell'art. 304, comma 2, c.p.p., che consente tale sospensione nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi relativi ai reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a), il limite del doppio del termine di fase (previsto dal comma 6 dell'art. 304) possa essere ulteriormente superato in forza del n. 3-bis dell'art. 303, comma 1, lett. b), che prevede (sempre nel caso dei processi per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) un ulteriore aumento fino a sei mesi del termine di fase da imputarsi o alla fase precedente (qualora il termine di quella fase non sia stato completamente utilizzato) ovvero ai termini di cui alla lett. d) del medesimo art. 303 (relativo al giudizio di legittimità).
Un primo orientamento era monoliticamente orientato nel dare al quesito risposta negativa, fondando tale soluzione sull'espressione letterale usata dal comma 6 dell'art. 304, che, nel prevedere il raddoppio dei termini di fase nel caso di dichiarata sospensione dei termini per la complessità del giudizio, precisa che non si debba tener conto “dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis”.
Gli ermellini ricordano come, a parte un'isolata pronuncia (Cass. pen., Sez. II, sent. n. 9148 del 30 maggio 2002) la giurisprudenza successiva è stata per molti anni unanime nel ritenere non cumulabili le cause di aumento (art. 304) e sospensione (art. 303), sulla base di alcune ragioni che possono essere così sintetizzate: a) la formulazione letterale della norma (art. 304, comma 6), ed in particolare l'espressione utilizzata (“senza tenere conto dell'ulteriore termine”), non consentirebbe un'interpretazione diversa da quella che conduce all'esclusione della possibilità di pervenire al cumulo dei periodi di sospensione; b) anche le decisioni che ritengono non decisiva la formulazione dell'espressione ricordata affermano che l'uso dell'avverbio "comunque" utilizzato nella prima parte della norma (“La durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio [...]”) rafforzerebbe l'interpretazione che esclude la possibilità di cui trattasi costituendo un insuperabile confine del limite indicato (Cass. pen., Sez. VI, n. 26127 del 27 giugno 2011; Cass. pen., Sez. VI, n. 38671 del 7 ottobre 2011); c) il procedimento di formazione della norma dimostra che il legislatore ha volutamente escluso la possibilità di cumulare i termini in esame prevedendo, nella legge di conversione, questo divieto che il decreto-legge non contemplava (Cass. pen., Sez. I, n. 6239 del 18 dicembre 2009).
Il difforme orientamento, riportato integralmente dal ricorrente e richiamato e condiviso dall'ordinanza di rimessione, è rappresentato (oltre che dal risalente citato precedente del 2002) dalla già richiamata sentenza della Sez. 5, n. 30759 del 11/07/2012, Ali Sulaiman, Rv. 252938.
Questa decisione si pone consapevolmente in contrasto con il precedente orientamento uniforme della giurisprudenza di legittimità e contesta, preliminarmente, la tesi secondo cui la formulazione letterale della norma osterebbe all'interpretazione costantemente seguita. Secondo questa decisione esisterebbe inconciliabilità tra l'avverbio "comunque" e la frase successiva "senza tenere conto" perché la prima espressione “sembra introdurre una previsione perentoria di insuperabilità” mentre la locuzione successiva “sembrerebbe, invece, alludere ad una deroga”. Tale ultima impostazione contesta, preliminarmente, la tesi secondo cui la formulazione letterale della norma osterebbe all'interpretazione costantemente seguita.
Secondo questa decisione esisterebbe inconciliabilità tra l'avverbio "comunque" e la frase successiva "senza tenere conto" perché la prima espressione “sembra introdurre una previsione perentoria di insuperabilità” mentre la locuzione successiva “sembrerebbe, invece, alludere ad una deroga”.
Ciò considerato, le Sezioni Unite affermano che nel caso di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare, disposta in base all'art. 304, comma 2 c.p.p. nell'ipotesi di dibattimento o di giudizio abbreviato particolarmente complesso relativo ai reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a), il limite del doppio del termine di fase (previsto dal comma 6 dell'art. 304) non può essere ulteriormente superato in forza del n. 3-bis dell'art. 303, comma 1, lett. b) che prevede (sempre nel caso di processi per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) un ulteriore aumento fino a sei mesi del termine di fase da imputarsi o alla fase precedente (qualora il temrine di quella fase non sia stato completamente utilizzato) ovvero ai termini di cui alla lett. d) del medesimo art. 303 (relativo al giudizio di legittimità).
fonte: Altalex.com//Custodia cautelare: il doppio del termine di fase non è superabile
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lunedì 28 luglio 2014
Custodia cautelare: il doppio del termine di fase non è superabile
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