Confermata la condanna a oltre cinque anni di carcere, così come tratteggiata dai Giudici di Appello. Respinta la tesi difensiva, tutta puntata sulla incapacità di intendere e di volere dell’uomo al momento dei terribili fatti. Non può bastare lo stress derivante dalla crisi del rapporto coniugale per parlare di status patologico.
Il caso
Famiglia ridotta come un vaso di coccio caduto rovinosamente a terra: completamente a pezzi! Così il marito vive la crisi del proprio rapporto coniugale, con una evidente, e consequenziale, condizione di forte stress. Ma ciò – abbinato alla dequalificazione del ruolo genitoriale della moglie – non basta per considerare acclarato il vizio di mente dell’uomo, tale da ‘alleggerirne’ la drammatica responsabilità per il tentato omicidio del figlioletto (Cassazione, sentenza 15831/14). Chiara la ricostruzione della drammatica condotta del padre di famiglia, accusato per il reato di «tentato omicidio», avendo «compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte del proprio figlio, tenendo premuto, con forza, un cuscino sul suo volto, fino a quando il bambino non aveva perso i sensi per anossia». Logica la condanna, definita, in Appello, in «cinque anni e quattro mesi di reclusione», condanna che, secondo i giudici, non può essere attenuata, nonostante lo «stato di sofferenza emotiva» dell’uomo – all’epoca dei fatti – frutto della «separazione di fatto dalla moglie, legatasi ad un altro uomo». Nessun dubbio, quindi, sulla «imputabilità» dell’uomo: difatti, pur «rilevando la relativa modestia» del suo «patrimonio intellettuale», è cristallina la sua «piena capacità di intendere e di volere». Secondo il legale dell’uomo, però, i giudici di merito hanno compiuto errori clamorosi. Soprattutto perché era stata «accertata l’esistenza di un’alterazione psichica, già a pochi minuti dalla consumazione del fatto, in occasione del ricovero in ‘Pronto soccorso’», senza dimenticare, poi, il «sovrapporsi, a tale stato patologico, di un intenso stato emotivo». Come escludere, allora, domanda il legale, che «tale sovrapposizione esisteva già al momento» del terribile gesto compiuto dall’uomo? Ancora una volta, quindi, il nodo gordiano è l’equilibrio psichico della persona. Ma su questo punto i giudici del ‘Palazzaccio’, mostrando di condividere le valutazioni compiute in appello – e confermando la relativa pronunzia di condanna –, ritengono di «escludere che la condizione di stress derivante dalla crisi del rapporto coniugale potesse integrare un vero e proprio status patologico – sia pure transeunte – in grado» di compromettere «la capacità di intendere e di volere» dell’uomo.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it/La Stampa - Crisi coniugale: stress per l’uomo, che si ‘sfoga’ sul figlio. Non regge la tesi del vizio di mente
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giovedì 5 giugno 2014
Crisi coniugale: stress per l’uomo, che si ‘sfoga’ sul figlio. Non regge la tesi del vizio di mente

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