Ad avviso della Cassazione, correttamente quindi la Corte di Appello di Genova "ha escluso la consapevolezza della illiceità della condotta quanto all'attività di verifica dei beni degli alunni, per ravvisarla invece in un comportamento che incidendo sulla dignità e riservatezza personale degli stessi, si connotava in termini di ben diversa gravità, immediatamente percepibile anche da parte di chi poteva, in relazione al primo segmento di condotta, avere erroneamente ritenuto di agire all'interno dei poteri disciplinari finalizzati ad un retto comportamento scolastico". Spiegano gli ermellini che sebbene sia identico l'obiettivo perseguito con "l'attività di perquisizione dei beni e quella di ispezione degli alunni", lo stesso non può dirsi quanto alla "materialità della condotta e della natura dei beni sacrificati".
Insomma un conto è rovistare tasche e zaini, controlli sui quali si può chiudere un occhio, mentre altra cosa, inescusabile, è sottoporre bambini a ispezioni corporali. La maestra condannata, nel novembre 2005, "aveva costretto gli alunni a restare in slip e canottiera, mediante minaccia consistita nel condurli a due alla volta all'interno del locale utilizzato dal personale scolastico e nell'intimare loro di togliersi i vestiti". Assolta invece per non aver commesso il fatto un'altra docente, Piera P., condannata in appello con verdetto del cinque giugno 2012, anche lei a venti giorni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nessun commento:
Posta un commento