lunedì 7 ottobre 2013

Cartellino fatale per l’autista comunale. Ufficialmente a lavoro, in realtà nell’edicola della moglie: domiciliari per truffa

Mala tempora currunt per i lavoratori, soprattutto per quelli – minoranza, certo, ma inevitabilmente destinata a conquistare i (dis)onori delle cronache – che bluffano sui propri tempi effettivi di operatività. Ciò vale, ancor di più, per i dipendenti pubblici: timbrare il cartellino, risultando così in attività, per poi dedicarsi ad altre ‘commissioni’ è non solo disdicevole ma anche condannabile. Legittimo arrivare anche – come esemplificato dalla vicenda di un autista comunale – agli arresti domiciliari (Cassazione, sentenza 21661/13). A legittimare il ricorso alla «misura cautelare degli arresti domiciliari», su cui non transigono né il Giudice per le indagini preliminari né il Tribunale del riesame, è la contestazione del «delitto di truffa ai danni dello Stato». Questo l’addebito a carico di un autista comunale, beccato, grazie ad appostamenti ad hoc dei carabinieri, a dare una mano, in orario d’ufficio, alla moglie – edicolante – nonostante la regolare timbratura del cartellino, sia in entrata che in uscita. Secondo l’uomo, però, non si può parlare di «truffa ai danni dello Stato», perché – viene spiegato nel ricorso proposto in Cassazione – «la natura dell’incarico di autista non sarebbe compatibile con tale sistema di controllo», quello della timbratura del cartellino, e, comunque, «i soggetti» da trasportare sono stati «sempre serviti». Dov’è, allora, l’elemento dell’«ingiusto profitto maturato con altrui danno», si chiede l’uomo? A rispondere sono i giudici della Cassazione, i quali si rifanno alla ricostruzione della vicenda, così come delineata nei precedenti gradi di giudizio. Ebbene, è acclarato il «grave quadro indiziario», sostenuto dalle «risultanze di appostamenti dei carabinieri»: l’uomo «usava recarsi regolarmente, in costanza di orario di lavoro, presso l’edicola di giornali della moglie, aiutandola nella attività, segna segnalare ciò al proprio datore di lavoro», e, ancor più in dettaglio, egli «timbrava il cartellino soltanto due volte: a inizio e a fine giornata di lavoro, omettendo così di segnalare le sue assenze intermedie». Nessun dubbio, quindi, per i giudici, sul fatto che con questa condotta l’uomo «si sottraeva ai suoi doveri, fruendo di una retribuzione» illegittima, poiché calcolata anche «in considerazione delle ore» ufficialmente trascorse in Comune ma in realtà impiegate «presso l’edicola della moglie».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it //La Stampa - Cartellino fatale per l’autista comunale. Ufficialmente a lavoro, in realtà nell’edicola della moglie: domiciliari per truffa

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