mercoledì 25 settembre 2013

«Mi scappa...», farla in pubblico è di pessimo gusto. Ma ci vuole altro per la sanzione penale

Chiara la ricostruzione dell’episodio, addebitato a un uomo di colore, su segnalazione di un cittadino. Fermo il principio della difesa della pubblica decenza. Ma resta, comunque, da ‘pesare’ la gravità del fatto, anche alla luce del contesto (Cassazione, sentenza 37823/13). Principio assolutamente fermo, nonostante l’evoluzione dei costumi: da tutelare, a prescindere, la pubblica decenza. Ma dalla teoria, comunque, bisogna passare sempre alla pratica... Così, il gesto, assolutamente incivile, di far pipì in pubblico va sempre contestualizzato, anche per ‘pesarne’ davvero la gravità. A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è la telefonata di un cittadino alla Questura: così viene ‘segnalato’ un «uomo di colore», ‘beccato’ a urinare «davanti la recinzione delimitante un palazzo». Pronto l’intervento di una pattuglia, che provvede ad identificare l’«autore del fatto». Consequenziale è la condanna a 400 euro di ammenda per «atti contrari alla pubblica decenza»: questa la decisione del Giudice di pace, che ritiene «non necessaria la percezione dell’atto o la visibilità dei genitali». Passaggio, questo, rilevante, soprattutto perché il cittadino, che ha segnalato l’episodio, ha dichiarato, in dibattimento, «di non aver visto le parti intime, né l’espletamento di funzioni corporali». Di fronte alla condanna, seppur lieve, lo straniero sceglie, comunque, di percorrere la strada del ricorso in Cassazione, puntando, soprattutto, sulla «evoluzione dei costumi» per mettere in discussione le valutazioni del Giudice di pace. Allo stesso tempo, viene anche criticata «la indeterminatezza della previsione normativa» che ha portato ad «estendere l’ambito di applicazione della norma a qualsiasi atto contrario al buon comportamento civile e sociale». E, infine, viene denunciata una «violazione di legge» per essere stato «ritenuto sanzionabile penalmente», ex art. 726 c.p., «il comportamento di chi urina in luogo appartato, anche se esposto al pubblico, con l’accorgimento di evitare la visione dei propri organi genitali». A queste osservazioni, però, i giudici della Cassazione rispondono ribadendo che «gli atti contrari alla pubblica decenza ledono il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione», come, ad esempio, «l’urinare in luogo pubblico». Ciò a prescindere dal fatto che il gesto ‘incriminato’ «sia stato percepito». Questo punto fermo è, quindi, non discutibile. Eppure, chiariscono i giudici, mettendo in discussione la decisione del Giudice di pace, il richiamo a quel “punto fermo” non può bastare... Perché, viene chiarito, analizzando la vicenda in esame, è necessario «esaminare le modalità» della condotta e «le circostanze di tempo e di luogo», per poi valutare se «il fatto è di particolare tenuità», ossia per ‘pesare’ «l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza» e poter così valutare la legittimità dell’«azione penale». Tutti questi nodi vanno sciolti, prima di decidere sulla posizione dello straniero: per questo, la questione viene riaffidata nuovamente al Giudice di pace.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - «Mi scappa...», farla in pubblico è di pessimo gusto. Ma ci vuole altro per la sanzione penale

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