giovedì 29 agosto 2013

Niente assegno divorzile, niente pensione di reversibilità alla ex moglie

 Niente assegno divorzile, niente pensione di reversibilità alla ex moglie

Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto. Non è sufficiente, infatti, che egli versi nelle condizioni per ottenere l’assegno o che, di fatto o grazie a una convenzione privata, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 9660/13.

Il caso
Dopo la morte dell’ex marito, una donna chiede il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità, percepita per intero dalla seconda moglie dell’uomo, la quale si era poi separata dallo stesso. La domanda, tuttavia, non viene accolta dai giudici di merito per mancanza di uno dei requisiti previsti: la sentenza di cessazione degli effetti civili, infatti, non faceva riferimento ad un assegno divorzile né il ricorso introduttivo di questo giudizio faceva riferimento a pretese economiche da parte della donna, se non il contributo di mantenimento a favore della figlia allora minorenne. La donna ricorre in Cssazione, lamentando che la Corte di merito non avrebbe considerato il costante apporto economico dell’ex marito all’andamento della famiglia, dimostrato dalle copie dei vaglia postali. Quanto all’assenza di riferimenti a spettanze economiche nella sentenza di divorzio, precisa che la domanda aveva per oggetto la conferma della statuizione del provvedimento di omologazione della separazione tra i coniugi, che prevedeva un assegno periodico di mantenimento alla moglie. Gli Ermellini precisano che, in riferimento ai requisiti per la pensione di reversibilità, la titolarità dell’assegno va intesa come avvenuto riconoscimento dello stesso da parte del Tribunale ai sensi della l. n. 898/1970. Tale disposizione è stata esplicitata dalla l. n. 263/2005, ma la giurisprudenza era già arrivata alla medesima conclusione, affermando che il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo o che, di fatto o grazie a una convenzione privata, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche. Ricostruito in tal modo il quadro normativo, la Suprema Corte non può far altro che confermare quanto deciso in sede di merito: la richiamata sentenza di divorzio non contiene alcuna pronuncia di condanna alla corresponsione di un assegno divorzile; l’accordo tra i coniugi riguardava il contributo per il mantenimento della figlia minorenne e non rileva il fatto che l’ex marito abbia continuato negli anni a fornire un contributo per le esigenze della ragazza, nonostante questa avesse ormai raggiunto l’indipendenza. La Cassazione rigetta il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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