martedì 14 gennaio 2014

Art. 73 comma 5 dpr 309/90: è figura autonoma di reato e non (più) circostanza attenuante

Depositata l’8 gennaio 2014 un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione in tema di stupefacenti.

Come si apprende, infatti, dall’informazione provvisoria resa nota dal servizio novità della Corte di Cassazione la sesta sezione della Corte di cassazione (Presidente A. S. Agro’, Relatore G. Leo) ha affermato che la nuova formulazione dell’art 73 comma 5 dpr 309/90 (introdotta dall’art. 2 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146) configura un titolo autonomo di reato per fatti di lieve entità riconducibili alle altre previsioni contenute nel medesimo art 73, precisando che il più breve termine di prescrizione di sei anni previsto per tale reato ex art. 157 comma 1 cod. pen., debba applicarsi anche retroattivamente, a norma dell’art. 2, c. 4 cod. pen.

Ricordiamo ai lettori che l’art. 2 lett. a) del recentissimo decreto legge (“Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entita‘) ha modificato l’art 73 comma 5 dpr 309/90 sostituendolo con il seguente comma “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalita’ o le circostanze dell’azione ovvero per la qualita’ e quantita’ delle sostanze, e’ di lieve entita’, e’ punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.“ La riforma, pertanto, ha inserito nel testo della disposizione una clausola di sussidiarietà («salvo che il fatto non costituisca più grave reato») e ha rimodulato il limite massimo edittale della pena detentiva portandolo a cinque anni.

In attesa di conoscere le motivazioni può essere utile rileggere quanto affermato – prima del deposito della pronuncia – dall’ufficio del massimario della Corte di Cassazione in una relazione al citato decreto legge nella quale si sottolineava proprio come «la prima e più urgente questione che si pone all’interprete consista nello stabilire se attraverso di esse il legislatore abbia inteso mutare la qualificazione giuridica della fattispecie, trasformando quella che era considerata, come detto, una circostanza attenuante in un titolo autonomo di reato» spingendosi fino ad affermare che «le modifiche apportate alla disposizione in oggetto sembrano contenere plurimi indici sintomatici del proposito di qualificare un autonomo titolo di reato».

Tra questi indici sintomatici i giudici del massimario annoveravano, anzitutto, proprio l’inserimento della suddetta clausola di sussidiarietà, evidenziando che «l’ambito di applicazione della norma è segnato in negativo dalla configurabilità di un “più grave reato”, espressione la quale apparentemente presuppone che il fatto considerato dal quinto comma dell’art. 73 costituisca esso stesso già un reato»; si poneva, inoltre, l’attenzione sulle espressioni utilizzate dal legislatore sottolineando come «l’inedita previsione di un soggetto attivo («chiunque») e di una condotta («commette») sembrano scelte indicative della volontà di incriminare in maniera autonoma fatti la cui descrizione è pur sempre in parte mutuata da altre disposizioni incriminatrici»; infine «la modifica della formula punitiva, pur non essendo di per sé univocamente significativa, appare non solo corrispondere all’esigenza di una sua coerente declinazione con la già ricordata proposizione che ora domina la costruzione normativa, ma altresì alla volontà di condividere il lessico proprio delle disposizioni autonomamente incriminatrici».

fonte: giurisprudenzapenale.com/Art. 73 comma 5 dpr 309/90: è figura autonoma di reato e non (più) circostanza attenuante

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