mercoledì 20 gennaio 2021

Vittime di reati sessuali ammesse al gratuito patrocinio a prescindere dal reddito

È legittima la previsione del patrocinio gratuito per le vittime di reati contro la libertà e l'autodeterminazione sessuale, in particolare se trattasi di minori, a prescindere dalle condizioni economiche. E' quanto emerge dalla sentenza della Corte Costituzionale dell'11 gennaio 2021, n. 1.

La Corte era stata chiamata a decidere sulla questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 3, Cost., dell'art. 76, comma 4-ter del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, nella parte in cui, come interpretato dalla Corte di Cassazione, determina l'automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma 1 e senza riservare alcuno spazio di apprezzamento a discrezionalità valutativa al giudice.
Secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, è affermato il diritto della persona offesa da uno dei reati indicati sopra a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire detta qualifica, a prescindere dalle proprie condizioni di reddito che, quindi, non devono nemmeno essere oggetto di dichiarazione o attestazione. Tale soluzione sarebbe imposta proprio dalla ratio della normativa, posto che la finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di tale tipologia di reato un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell'assistenza legale (Cass. pen., Sez. IV, 23 novembre 2018, n. 52822).
Detta interpretazione istituisce un automatismo legislativo poiché, al solo verificarsi del suo presupposto, ovvero assumere l'istante la veste di persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma, determina una conseguenza inderogabile, ossia l'ammissione al beneficio senza che vi sia alcun margine di valutazione in capo al giudice in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali.
Il remittente assumeva il contrasto della disposizione censurata con l'art. 3 Cost., in quanto istituisca un automatismo legislativo di ammissione al beneficio al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa di uno dei reati indicati dalla norma, con esclusione di qualsiasi spazio di apprezzamento e discrezionalità valutativa del giudice, disciplinando in modo identico situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico, nonché con l'art. 24, comma 3, Cost., in quanto l'ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma medesima porterebbe a includere anche soggetti di eccezionali capacità economiche, a discapito della necessaria salvaguardia dell'equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia.
Secondo il giudice delle leggi detta normativa non appare lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati in materia sessuale, oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati.
Non a caso, nel preambolo del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella l. n. 38 del 2009, che ha introdotto la disposizione in esame, si richiama la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime di suddetti reati.
Appare evidente, quindi, che la ratio della disciplina in commento sia rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l'obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità; valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore.
Per tali motivi, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-ter, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui determina l'automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dai reati indicati dalla norma medesima, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 3, Cost.
fonte: altalex.com

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