martedì 11 agosto 2020

Albergo lontano dal mare e in precarie condizioni igieniche: escluso il risarcimento del danno

Respinta la richiesta di risarcimento presentata da una donna nei confronti del tour operator che le aveva venduto un pacchetto “all inclusive” a Santorini. Nonostante le lamentele della donna, i Giudici ritengono che il prodotto fornito era conforme a quello indicato nel contratto, lì dove si parlava di piccolo hotel.
Optare per un pacchetto turistico “all inclusive” in un piccolo hotel – pur nella splendida cornice di Santorini – comporta un logico abbassamento delle proprie aspettative da viaggiatore in vacanza. Ciò significa che non può esserci risarcimento se la struttura alberghiera offre precarie condizioni igieniche e si trova distante dal mare (Cassazione, ordinanza n. 11758/20, sezione sesta civile, depositata il 18 giugno).

Il caso. La vicenda ha origine quando una donna parte per una vacanza a Santorini, dopo avere acquistato un pacchetto turistico da un’agenzia di viaggi. Una volta arrivata in albergo, però, la prima sorpresa negativa: la notevole distanza dal mare. Poi, a soggiorno in corso, la constatazione di quelle che, secondo la donna, sono precarie condizioni igieniche.
Finito il soggiorno, e ultimato il rientro in Italia, scattano le rimostranze contro l’agenzia di viaggi, rimostranze che sfociano poi in un’azione legale finalizzata ad ottenere un ristoro economico per l’insoddisfacente vacanza.

In Tribunale «alla donna viene riconosciuto, a titolo di risarcimento, il costo del pacchetto turistico» con l’aggiunta delle spese «relative al viaggio di ritorno» e a quelle «legali per la fase stragiudiziale». Respinta, invece, la richiesta concernente «il danno da vacanza rovinata».
In appello, invece, i Giudici accolgono il ricorso proposto dall’agenzia che ha venduto il pacchetto turistico “all inclusive” a Santorini alla donna, che viene perciò condannata a restituire il denaro già ricevuto come risarcimento.
Decisiva in secondo grado una semplice constatazione: «il tenore letterale della descrizione del prodotto acquistato, e, in particolare, la locuzione ‘piccolo hotel’» sono sufficienti per ipotizzare «quali potevano essere le aspettative della turista».
Per i giudici, in sostanza, la donna non aveva alcun diritto di lamentarsi, poiché «il prodotto fornito era conforme a quello indicato nel contratto» siglato col tour operator.
La decisione della Suprema Corte. A confermare la beffa per la donna sono i Magistrati della Cassazione. Inutile il ricorso da lei presentato. Impossibile, quindi, anche un minimo ristoro economico per una vacanza che lei ha ritenuto non soddisfacente e non all’altezza dei propri desideri.
Per i giudici del ‘Palazzaccio’ è corretto il ragionamento seguito in appello e centrato, come detto, anche sulla «locuzione ‘piccolo hotel’» e sulle connesse plausibili aspettative della turista.
Priva di peso specifico, poi, la produzione fotografica con cui la donna ha provato a «dimostrare le precarie condizioni» della struttura alberghiera in cui era stata ospitata durante il soggiorno a Santorini.
Su questo fronte i Giudici spiegano che, «una volta acclarato che il prodotto fornito era conforme a quello indicato nel contratto» con l’agenzia di viaggi, non possono essere rilevanti per provare le presunte «pessime condizioni igieniche» dell’hotel le fotografie prive di data prodotte dalla donna. Così come non può essere significativo il richiamo alla «presenza di scarafaggi» e a un fastidioso «fetore».
Manca, in sostanza, «una prova rigorosa e specifica che il danno sia stato conseguenza dell’inadempimento contrattuale del gestore» o «della sua attività».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Marito separato torna a vivere nella casa coniugale: è riconciliazione

Si considera riconciliazione, ai sensi dell’art. 157 c.c., la ripresa della convivenza da parte dei coniugi separati, durata otto anni. Rilevano la comunione di vita e la ripresa di relazioni rilevanti incompatibili con lo stato di separazione.
Non conta che i coniugi non dormano insieme, che la moglie percepisca il mantenimento concordato e che il marito abbia una relazione con un’altra donna.
La Corte di Cassazione con l'ordinanza 18 ottobre 2019 - 16 giugno 2020, n. 11636  ha confermato l’improcedibilità della domanda di divorzio per mancanza del presupposto dell’ininterrotta separazione, avendo considerato riconciliazione il ritorno del marito nella casa coniugale protrattosi per otto anni.

Il caso
Dopo la separazione consensuale omologata con decreto del giugno 2003, i coniugi avevano convissuto nell'immobile adibito a casa coniugale dal 2004 al 2012, con entrambi i figli. La Corte d’appello di Milano aveva dichiarato improcedibile la domanda del marito per ottenere il divorzio, confermando la decisione del tribunale di merito.
Secondo la ricostruzione dei fatti in giudizio, l’uomo, dopo la separazione, aveva convinto la donna a rientrare con i figli nell'abitazione coniugale.
Per ben otto anni i coniugi avevano fatto vita comune, trascorrendo le vacanze insieme, recandosi insieme a far visita ai parenti e ricevendo questi ultimi nella loro abitazione.
Secondo l’uomo si era trattata di mera coabitazione volta a facilitare il rapporto con i figli, precisando che i coniugi dormivano in letti separati.
Tale convivenza post separazione era finita nel 2012 quando la moglie si era stancata delle promesse del marito di interrompere la relazione extraconiugale con un’altra donna, dalla quale l’uomo aveva pure avuto una figlia dallo stesso riconosciuta.
Secondo la Corte territoriale la riconciliazione, ai fini di cui all'art. 157 c.c., “implica la ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, ossia la ripresa di relazione reciproche oggettivamente rilevanti, che si siano concretizzate in un comportamento inequivoco, incompatibile con lo stato di separazione”.


Irrilevanza della corresponsione del mantenimento e della sussistenza di una relazione extra coniugale
L’uomo ricorre in Cassazione ritenendo errata la valutazione dei giudici di merito, i quali non avrebbero considerato alcuni fatti decisivi:
-la moglie aveva percepito in ogni caso il mantenimento concordato in separazione;
-le parti avevano depositato domanda congiunta di modifica delle condizioni di separazione;
-l’uomo aveva ricevuto una lettera da un avvocato come difensore della donna, che lo invitava a valutare l'opportunità di presentare un ricorso congiunto per lo scioglimento del matrimonio.
Tutte queste circostanze, secondo la Corte, sono state correttamente esaminate e ritenute ininfluenti e non incompatibili con la riconciliazione.
Secondo il ricorrente, inoltre, sarebbe stato dato rilievo alla mera coabitazione mentre era manifesta l’esclusione del dovere di fedeltà, avendo l’uomo, un’altra relazione.
La Cassazione ha considerato privi di decisività ai fini della riconciliazione, sia il fatto che i coniugi dormissero in letti separati o che si concedessero vacanze separate, sia che il ricorrente avesse una relazione extraconiugale, che è stata la causa della cessazione della ripresa convivenza.
Irrilevante anche la circostanza che dalla relazione fosse nata una bambina, anche riconosciuta dal ricorrente.
Infine, quanto all’aspetto probatorio, la Cassazione ribadisce che l’onere di dimostrare l’intervenuta riconciliazione grava sulla parte convenuta nel giudizio di divorzio (Cass. Civ. 19 novembre 2010, n. 23510).
Il ricorrente avrebbe soltanto dovuto richiedere prove contrarie a quelle ammesse per contestare la riconciliazione, richiesta che non è avvenuta tempestivamente nel caso di specie.

fonte:www.altalex.com

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