giovedì 19 marzo 2020

Sì alla geolocalizzazione anti-Covid

Sì, ma solo a certe condizioni alla geolocalizzazione anti-Covid. Occorre che ci sia proporzionalità e devono essere garantiti i diritti di difesa gli interessati. È la sintesi delle convergenti risposte del Comitato Europeo per la protezione dei dati e del Garante italiano della privacy al fenomeno della localizzazione delle persone attraverso l'analisi del dispositivo elettronico nelle loro mani.

È di questi giorni la notizia della analisi nella regione Lombardia sulla mobilità dei cittadini con l'utilizzo delle celle telefoniche. E, in effetti, tutti gli operatori telefonici possono individuare la posizione di un telefono cellulare, sia esso dotato oppure no di sistemi Gps.
La Lombardia ha raccolto dati aggregati e anonimi, ma la tecnologia consente di risalire alle persone.
Ritorna in pista, quindi, il problema della compatibilità di misure oggettivamente lesive di libertà e diritti individuai, come quelli alla privacy, rispetto ad obiettivi come la tutela della sicurezza nazionale o della salute pubblica. In materia e in via generale si è pronunciato Antonello Soro, presidente del Garante per la protezione dei dati personali, che così si è espresso: «Non esistono preclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali. Vanno studiate però molto attentamente le modalità più opportune e proporzionate alle esigenze di prevenzione, senza cedere alla tentazione della scorciatoia tecnologia solo perché apparentemente più comoda, ma valutando attentamente benefici attesi e ''costi'', anche in termini di sacrifici imposti alle nostre libertà».
Sulla stessa linea è Andrea Jelinek, presidente del Comitato Europeo per la protezione dei dati (Edpb), il quale ha ricordato che ci sono tre condizioni per usare la geolocalizzazione, quale misura di prevenzione del contagio da Covid-19: una base giuridica normativa; il rispetto dei principio di proporzionalità e di congruità rispetto allo scopo; la possibilità per l'interessato di difendersi in giudizio, per lo meno (aggiungiamo noi) a posteriori.
Per regolamentare il fenomeno, bisogna applicare due discipline: quella della protezione dei dati e quella sulle comunicazioni elettroniche.
Quanto alle norme sulla privacy l'articolo 9, paragrafo 2, lettera i), del Gdpr detta una specifica base giuridica per perseguire motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute, purché siano previste misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato. A questo proposito gioca il suo ruolo anche l'articolo 14 del decreto legge 14/2020, dedicato appunto al trattamento dei dati personali nel contesto emergenziale.
Le norme sulla comunicazione elettronica distinguono la possibilità di raccolta di dati aggregati e anonimi, come i report generali sulla concentrazione di dispositivi in una certa area.
Per passare alla raccolta di dati nominativi, l'articolo 15 della direttiva e-privacy (2002/58), ci vuole un apposito intervento del legislatore finalizzato a introdurre misure nell'interesse della sicurezza nazionale e della salute pubblica.
In sostanza, le norme sulla protezione dei dati di per sé non ostacolano certo la salute pubblica, ma si preoccupano di ricordare che le misure straordinarie devono essere temporanee e proporzionate.
Così se una autorità pubblica intende usare la geolocalizzazione, deve andare a stabilire sulla base di quale norma lo fa, come e per quanto tempo lo fa, stabilendo in maniera chiara le operazioni del trattamento e le garanzie per gli interessati. Tutto ciò deve essere comprovato in un atto di documentazione delle scelte, che specifichi gli elementi salienti del trattamento.
fonte: www.italiaoggi.it

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