Può essere disposta a favore di ciascuno dei componenti della coppia omogenitoriale l’adozione del figlio del rispettivo partner, in base all’art. 44, comma 1 lett. d) l. 184/1983, se con ciò si realizza il preminente interesse dei minori.
Con separati ricorsi, proposti in pari data, due donne – che, sin dal novembre 2005, avevano instaurato una relazione sentimentale e, nel successivo mese di febbraio, avevano iniziato a convivere – hanno chiesto rispettivamente che fosse disposta nei confronti di ciascuna di esse l’adozione della figlia della propria compagna.
Il Tribunale, acquisita una relazione del competente Servizio Sociale e sentite le ricorrenti e le minori, ha trasmesso gli atti al P.M.M. per il parere.
Il P.M.M. ha reso un parere negativo all'accoglimento del ricorso, ritenendo mancante, nel caso di specie, il presupposto ineludibile dell’adozione ex art. 44, lett. d) l. 4.5.1983, n. 184, costituito dalla “situazione di abbandono” del minore.
Il Collegio ha accolto i ricorsi, osservando che, nella normativa di settore, per la persona singola, quale che sia il suo orientamento sessuale, non v’è divieto alcuno ad adottare.
Esclusivamente per l’adozione legittimante, sia nazionale sia internazionale, la legge richiede che ad adottare siano due persone coniugate, cioè unite da matrimonio, riconosciuto dall'ordinamento italiano e che rispettino i previsti limiti di età.
Ma il legislatore, oltre all’adozione piena, ha previsto un’altra ipotesi di adozione, denominata “adozione in casi particolari”.
Questa speciale forma di adozione, in ossequio al principio dell’interesse superiore del minore, può essere proposta anche dalla persona singola, ai sensi del combinato disposto dell’art. 44 lettera d) e dell’art. 7 della medesima L. 184|83.
E nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all'orientamento sessuale dell'adottante o del genitore dell'adottando, qualora tra di loro vi sia un rapporto di convivenza.
Si tratta di un tipo di adozione, che mira a realizzare l’interesse del minore ad una famiglia in quattro specifiche ipotesi, in cui legislatore ha, per un verso, ampliato il novero dei soggetti legittimati a diventare genitori adottivi e, per altro verso, ha semplificato la procedura.
La ratio legis trova una espressa manifestazione nell'art. 57, n. 2, laddove si richiede al Tribunale di verificare se l'adozione ex art. 44 L. 184/83 "realizza il preminente interesse del minore".
Pertanto, il legislatore, oltre ad aver individuato dei casi tassativi per limitare la portata dell'istituto, lo ha circondato di ulteriori cautele, prevedendo, quale valutazione supplementare, che l'adozione realizzi il “preminente interesse del fanciullo”.
Nella fattispecie in esame, disciplinata dalla lettera d) del comma 1 del citato articolo 44, il minore può essere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni per l'adozione legittimante, “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
Il Collegio capitolino, disattendendo la lettura della norma proposta dal P.M.M., ritiene che l'impossibilità di affidamento preadottivo può essere una impossibilità non solo di fatto, (alla quale il P.M.M. è rimasto ancorato), bensì anche di diritto, che permette di tutelare l'interesse di minori (pur se non in stato di abbandono) attraverso il riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi.
Tale interpretazione è stata recepita dalla Corte Costituzionale nella sentenza 383/99, secondo cui l’intera materia dell’adozione in casi particolari si caratterizza per l’assenza delle condizioni previste dall’art.7.
In tali ipotesi, non è necessario il previo accertamento dello stato di abbandono del minore, purché l’adozione risulti, comunque, rispondente all’interesse superiore del minore.
Ad avviso del Tribunale, é realizzato nel caso di specie il presupposto di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) (cioè l'impossibilità dell'affidamento preadottivo di diritto), in quanto le minori, rispettivamente adottande dalle ricorrenti, non si trovano in una situazione di abbandono e mai potrebbero essere collocate in affidamento preadottivo.
Né può essere di ostacolo all’applicazione della norma richiamata il fatto che i conviventi siano del medesimo sesso.
Ciò, in primo luogo, alla luce dell'inequivoco dato letterale di cui all'art. 44, co. 1, lett. d). Tale norma non discrimina, infatti, tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una lettura in senso diverso sarebbe, peraltro, contraria alla ratio legis, al dettato costituzionale, nonché ai principi della Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali ("CEDU").
Non può presumersi, inoltre, che l'interesse del minore non possa realizzarsi nell'ambito di un nucleo familiare costituito da una coppia di soggetti del medesimo sesso. Al riguardo secondo la Suprema Corte (Cass. n. 601/2013) non è affatto scontato ma è, anzi, tutto da dimostrare che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale.
In secondo luogo, una lettura dell'art. 44, co. 1, lett. d) che, contrariamente al dato letterale della norma, pretendesse di discriminare coppie omosessuali si porrebbe in conflitto con il dato costituzionale. A tal proposito, il Giudice delle leggi ha riconosciuto alle unioni omosessuali il diritto fondamentale di vivere liberamente la propria condizione di coppia, così come è per le unioni di fatto fra persone di sesso diverso (Corte Cost. n. 138/2010).
Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti a prendersene cura, un’interpretazione dell’art 44, co. 1, lett. d) L. 184/83 che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali solo in ragione della predetta omosessualità, al tempo stesso riconoscendo la possibilità di ricorrere a tale istituto alle coppie di fatto eterosessuali, sarebbe un’interpretazione lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del principio posto a presidio dei diritti fondamentali (art. 2 Cost.).
In terzo luogo, se si precludesse alle coppie omosessuali la possibilità di ricorrere all'adozione in casi particolari, si violerebbero gli artt. 8 e 14 CEDU. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è recentemente pronunciata su una fattispecie analoga a quella in esame, ritenendo discriminatoria, per violazione dell’art. 14 in combinato disposto con l’art. 8 della CEDU, la legge austriaca che non consente, in caso di coppia omosessuale, l’adozione del figlio del partner (Corte EDU, Grande Camera, 19.2.2013, X e altri c. Austria, ric. n. 19010/07).
In conclusione, il Collegio ha accolto entrambi i ricorsi perché, nel caso concreto, ha ritenuto l'adozione pienamente rispondente all’interesse delle minori. In particolare, i Giudici romani hanno rilevato che non si tratta di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da molti anni, nell’esclusivo interesse di due minori amorevolmente allevate da entrambe le due donne.
La sentenza in rassegna si inserisce in un filone giurisprudenziale che valorizza sempre di più l’interesse del minore e dà rilevanza ai rapporti familiari di fatto instauratisi anche tra persone del medesimo sesso. Invero, già con la sentenza del 22.10.2015, il medesimo Collegio capitolino era pervenuto a conclusioni analoghe, pronunciandosi per l’adozione di una minore in favore della compagna della madre, con la quale, da anni, conviveva stabilmente.
Per leggere la sentenza clicca qui: roma30 pdf.pdf
Fonte: www.quotidianogiuridico.it
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