Come è noto l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato introdotto con il d.lg. n. 28 del 2015, emanato in ottemperanza alla legge delega n. 67 del 104, art. 1, comma 1, lett. m). La suddetta disciplina si compone di poche disposizioni che investono tanto il codice penale che quello di procedura. Di seguito, si propone una rassegna delle principali questioni affrontate dalla recente giurisprudenza di legittimità in materia.
Le novità di carattere sostanziale
Con riferimento al diritto penale sostanziale, la riforma ha introdotto nel codice penale una sola nuova disposizione, sia pur di importanza fondamentale. Con l’art. 1 del decreto in commento è stato inserito nel codice penale l’art. 131-bis, intitolato “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” ed in base al quale “1. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. 2. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. 3. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. 4. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. 5. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.
Chiare sono le ragioni dell’innovazione che si va illustrando: l’intento è quello di deflazionare il carico di lavoro dell’amministrazione della giustizia, nella consapevolezza che il ricorso allo strumentario penale ha assunto nel nostro paese connotazioni ormai patologiche e rispetto alle quali era necessario un intervento radicale. Sotto questo profilo la disposizione sopra illustrata pare ricalcare l’istituto analogo presente nel processo davanti al giudice di pace laddove con riferimento ai reati devoluti alla competenza di questo giudice la scarsa rilevanza offensiva della vicenda consente di escludere la punibilità del soggetto agente.
Va detto tuttavia che non poche sono le differenze correnti fra la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. e la similare disciplina dettata con riferimento al giudice di pace. In primo luogo, va osservato che la normativa per i procedimenti davanti al giudice onorario richiama l’istituto della improcedibilità e conformemente a ciò rinviene nell’atteggiamento della persona offesa rispetto al procedimento penale il profilo centrale per definire un comportamento criminoso come tenue o meno: il comma secondo dell’art. 34 d.lg n. 274 del 2000 è chiaro sul punto, laddove dispone che “nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto d'archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento”; detto altrimenti, nel disegno complessivo del decreto del 2000, un “fatto è tenue” se della sorte del giudizio non si interessa nemmeno la persona offesa e siccome l’atteggiamento della persona offesa di frequente si riverbera nella presentazione di apposite istanze di punizione che rappresentano una condizione di procedibilità dell’azione penale, la tenuità dell’accaduto si configura come ragione di improcedibilità. Nulla di ciò può sostenersi con riferimento alla previsione di cui all’art. 131-bis c.p.: come detto in tale disposizione si parla di “non punibilità” e nessun riferimento è operato all’atteggiamento assunto dalla vittima rispetto allo svolgersi del procedimento penale, sicché – almeno per questo aspetto – il richiamo, per l’interpretazione del disposto di cui all’art. 131-bis, all’art. 34 d.lg. n. 274 del 2000 è privo di ogni rilevanza.
In secondo luogo, nel configurare i parametri per la definizione di una condotta conforme ad una fattispecie criminosa ma comunque sfornita di ogni profilo di offensività, l’art. 34 citato fa riferimento all'interesse tutelato, all'esiguità del danno o del pericolo che è derivato dal comportamento assunto, all’occasionalità ed al grado della colpevolezza della condotta, nonché al pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato: nessuna di tali considerazioni pare destinata ad operare nel procedimento penale ordinario, alcune perché non minimamente richiamate dalla norma – è il caso del pregiudizio che la prosecuzione del procedimento cagiona al singolo -, altre perché, trasposte dal procedimento davanti al giudice di pace al giudizio regolamentato dal codice di procedura penale, subiscono una mutazione “genetica”, che ne modifica radicalmente le modalità con cui operano.
Il punto da considerare attiene all’omogeneità strutturale degli illeciti devoluti alla cognizione del magistrato onorario rispetto a quelli di competenza del giudice togato, con il che mentre il primo può fare una valutazione omogenea dei parametri inerenti l’interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo derivato dalla vicenda, l’occasionalità ed il grado della colpevolezza, tale possibilità è preclusa al secondo che deve confrontarsi con una pluralità di fattispecie criminose assai diverse fra loro e rispetto alle quali i suddetti parametri si atteggiano in maniera radicalmente differente. In particolare, riprendendo le considerazioni sopra esposte, il giudice di pace si “confronta” con illeciti che si caratterizzano per l’aggressione di interessi tendenzialmente omogenei e soprattutto di carattere “individuale”, nel senso che il bene giuridico protetto dalle singole disposizioni incriminatrici fa capo a soggetti singoli, sicché – come detto – che l’aggressione sia stata o meno tenue lo si può facilmente e correttamente desumere dall’intensità con cui il soggetto offeso segue le vicende processuali che lo interessano; di contro, l’art. 131-bis c.p. è destinato a trovare applicazione con riferimento ad illeciti criminali in cui sono diversi il bene giuridico - come rilevanza e come titolarità (dovendosi distinguere i beni giuridici a titolarità individuale da quelli a titolarità diffusa) – le modalità di aggressione dello stesso – andando differenziati non solo i reati di pericolo da quelli di danno, ma anche i delitti dalle contravvenzioni -, le forme della colpevolezza – giacché alla differenza fra reati dolosi e colposi, presente anche nell’ambito dei delitti di competenza del giudice di pace, si affiancano delitti che richiedono atteggiamenti psicologici particolarmente intensi e connotati, come il dolo specifico, il dolo diretto - ecc.
Le novità di carattere processuale
Quanto alle modifiche apportate al codice di procedura penale si segnala il nuovo comma 1-bis dell’art. 411 c.p.p. giusto il quale “se l'archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l'opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell'articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'articolo 409, commi 4 e 5».
In secondo luogo poi è stato introdotto un nuovo comma 1-bis nell’art. 469 c.p.p., giusto il quale “la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l'imputato non è punibile ai sensi dell'articolo 131-bis c.p., previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare”, audizione i cui contenuti ovviamente il giudice può tenere tranquillamente in non cale).
L’innovazione processuale più rilevante è però rappresentata dal nuovo art. 651-bis c.p.p. in tema di efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno: “1. la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto a norma dell'articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato”.
Comprensibili le ragioni che hanno portato all’adozione di tale disciplina: una volta giudizialmente accertati i profili della vicenda ed individuate le responsabilità dell’imputato, il quale non merita una sanzione in sede penale solo per l’irrisorietà del danno arrecato, rimanendo comunque dimostrata la fondatezza delle pretese della persona offesa, non si vede per quale motivo non prevedere l’utilizzabilità in altra sede giurisdizionale di tali acquisizioni probatorie, non influendo certo sulla correttezza della ricostruzione giudiziale dell’accaduto la circostanza che i fatti sia andati esenti da punizione in ragione della tenuità del fatto.
I profili problematici della riforma ed i primi interventi della giurisprudenza. Le principali tematiche di diritto penale sostanziale
Trattandosi di una riforma epocale, fin dalla sua entrata in vigore numerose sono state le questioni interpretative sollevate dalla dottrina rispetto alle quali si è attesa una risposta da parte della giurisprudenza.
In questo breve lasso di tempo, non sono mancate alcune rilevanti pronunce della Corte di Cassazione che hanno investito tanto profili di carattere sostanziale che questioni di natura processuale. Nelle pagine che seguono andremo brevemente a ricostruire lo stato attuale della giurisprudenza, esaminando separatamente le decisioni inerenti la natura dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto dalle pronunce di diritto processuale, che hanno cercato di ricostruire le modalità con cui tale nuova figura opera nel giudizio penale italiano.
In proposito va innanzitutto richiamata la decisione Cass., sez. III, 2 settembre 2014, n. 35901, secondo cui “nel valutare la particolare tenuità del fatto, al fine di ritenere operante la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., il giudice non deve limitarsi a valutare la sola astratta applicabilità dell’istituto in relazione al reato contestato nel caso di specie, ma deve prestare attenzione anche al profilo della non abitualità del reato, come può essere desunta dalla recidivanza dell’imputato”.
Sulla scorta di tali argomentazioni, è stato escluso che possa parlarsi di particolare tenuità del fatto con riferimento al reato continuato. Secondo la Cassazione, infatti, la sussistenza di una continuazione fra più illeciti - siano essi omogenei fra loro o disomogenei – presuppone che l’indagato abbia tenuto una pluralità di azioni illecite, sia pure unificate dal vincolo derivante dall’unicità del disegno criminoso e ciò attesterebbe come si sia in presenza di un soggetto che abitualmente delinque ed in quanto tale non merita di godere del beneficio previsto dall’art. 131-bis c.p. (Cass., sez. III, 30 novembre 2015, n. 47256, relativa ad una vicenda in tema di omesso versamento di contributi previdenziali: la decisione importante perché sostanzialmente dimostra come per reati questo tipo - si pensi, ad esempio, ai reati di omesso versamento delle ritenute fiscali o degli acconti Iva - sarà di fatto sempre precluso il ricorso alla disposizione codicistica in parola).
Tale conclusione della Cassazione è imposta chiaramente dal dettato normativo, ma ciò non significa che a fronte di tali affermazioni non si possa rimanere fortemente perplessi ed anzi ritenere che il profilo suddetto rappresenti il vero punto critico della riforma. A nostro parere, infatti, la valutazione sulla particolare tenuità del fatto andrebbe sempre e solo ancorata al piano obiettivo della fattispecie criminosa, fondandosi su una valutazione della condotta e del danno o del pericolo, mentre il comma 2 dell’art. 131-bis c.p. introduce una sorta di presunzione legale negativa della “particolare tenuità”, in presenza di una serie di circostanze, di cui solo l’ultima, concernente le eventuali conseguenze della condotta (morte o lesioni personali gravissime), si mantiene in una dimensione obiettiva, risultando le altre strettamente connesse al giudizio di colpevolezza: i motivi abietti o futili, la crudeltà e il profittare della minorata difesa della vittima esprimono atteggiamenti interiori che non modificano né punto né poco l’entità dell’offesa, ma elevano il grado di colpevolezza in termini di rimproverabilità personale.
Tale situazione lascia perplessi, non solo per considerazioni di ordine sistematico – non essendo plausibile la pretesa di ricondurre a una esclusione normativa della particolare tenuità dell’offesa elementi che sono invece tipici del giudizio di colpevolezza -, ma anche perché sembra l’affacciarsi di un diritto d’autore, dove non è la conseguenza dell’agire a venire in considerazione quale presupposto per la punizione, quanto le motivazioni con cui il singolo ha agito: non è il male cagionato a giustificare la pena ma la “cattiveria” con cui quel pochissimo male si è arrecato.
Una seconda questione che si è posta con riferimento alla definizione dell’ambito di applicazione dell’art. 131-bis c.p. attiene alla possibilità di applicare la causa di non punibilità introdotta da tale disposizione anche con riferimento ad illeciti rispetto ai quali è lo stesso legislatore a configurare, in astratto, la condizione perché la condotta conforme alla fattispecie possa ritenersi anche offensiva degli interessi protetti: un esempio per tutti è dato da alcuni illeciti tributari per i quali è previsto il superamento da parte del contribuente di una soglia di punibilità, rappresentato nel caso di specie dall’importo dell’imposta evase.
Anche su tale profilo la Cassazione si è pronunciata, in particolare esaminando la suddetta questione con riferimento ai reati tributari. In due decisioni (Cass., sez. III, 8 aprile 2015, Mazzarotto e Cass., sez. III, 9 settembre 2015, n. 35733), la Corte di legittimità ha formulato una risposta positiva, sostenendo in particolare che il principale criterio da tenere in considerazione per valutare la sussistenza meno la particolare tenuità del fatto è rappresentato dall'importo dell'imposta non versata; al contempo deve però criticamente osservarsi come in altre occasioni la Cassazione (Cass., sez. III, n. 40350/2015), relativamente al reato di omesso versamento di contributi previdenziali, abbia ritenuto penalmente rilevante e meritevoli di punizione anche omessi versamenti di importi irrisori (nel caso di specie l'importo non versato era di circa € 5.000,00): è evidente che a seguire questa impostazione deve concludersi nel senso che inadempimenti relativi ad obblighi di versamento di somme nei confronti dell’erario o delle casse dello Stato dovranno sempre essere ritenute penalmente rilevanti.
Peraltro, che qualche perplessità sulla possibilità di applicare la causa di non punibilità per tenuità del fatto in relazione ai reati per i quali sia prevista una causa di non punibilità è dimostrato anche dalla circostanza che è stata rimessa alle sezioni unite la questione circa la possibilità di applicare tali istituti ai reati di guida in stato di ebbrezza (Cass., sez. IV, 3 dicembre 2015, Tusha).
La giurisprudenza infine tende ad escludere l'applicazione della causa di punibilità in discorso per i reati permanenti, a cagione della “perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, per effetto della condotta delittuosa compiuto dall'autore del fatto, non potendosi considerare tenue … un'offesa all'interesse penalmente tutelato che continua a protrarsi nel tempo” (Cass., sez. III, 22 dicembre 2015, n. 50215; Cass., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039). Tuttavia, la preclusione a ritenere tenui illeciti permanenti non è assoluta, dovendo anche tale tipologia di reato essere oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, il quale in particolare dovrà tenere in considerazione la durata della condotta delittuosa.
Le principali tematiche di diritto penale processuale
Non minori, né meno complesse sono le tematiche di carattere processuale che con il tempo la giurisprudenza si è trovata a dover esaminare.
In primo luogo, si è discusso se la causa di non punibilità rappresentata dalla particolare tenuità del fatto sia o meno applicabile ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma. In proposito la risposta della Cassazione è stata nel senso che, avendo la causa di non punibilità in discorso natura sostanziale, la stessa è sicuramente applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del nuovo istituto (Cass., sez. III, 8 aprile 2015, Mazzarotto, in Mass. Uff., n. 263308; Cass., sez. IV, 17 aprile 2015, Mauri, in Mass. Uff., n. 263496). Tale conclusione opera anche laddove il procedimento nel corso del quale si voglia dare applicazione al disposto di cui all’art. 131-bis c.p. sia già nella fase di legittimità (Cass., sez. III, 22 aprile 2015, Fantoni, in Mass. Uff., n. 263693), potendo la Cassazione, per verificare se la vicenda sottoposta a giudizio è o meno particolarmente tenue, far riferimento a quanto emerge dalle sentenze di merito impugnate ed in particolare all’eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi o che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto o che invece, per il loro contenuto, consentano un esito favorevole per l’imputato (Cass., sez. IV, 13 gennaio 2016, n. 1035); in tale ipotesi, laddove la Cassazione, sulla base degli indici predetti, ritenga che il fatto per cui si procede sia di particolare tenuità provvederà ad annullare la sentenza di condanna con rinvio al giudice di merito.
In ogni caso, allorquando la Cassazione annulli la sentenza con rinvio al giudice di merito per l'eventuale applicabilità dell’art. 131-bis c.p., trattandosi di un annullamento parziale avente ad oggetto statuizione diverse da autonomi rispetto al riconoscimento dell'esistenza del fatto di reato e della responsabilità dell'imputato, nel giudizio di rinvio non può essere dichiarato prescritto il reato quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza la Corte di Cassazione che abbia rinvenuto una possibile particolare tenuità del fatto (Cass., sez. III, 22 dicembre 2015, n. 50215).
L'esame del profilo della sussistenza della causa di punibilità in sede di legittimità non è subordinato alla circostanza che la difesa abbia sollevato relativa eccezione (si evidenzia che secondo Cass., sez. III, 30 novembre 2015, n. 47256 lo stesso difensore che intenda sollecitare la pronuncia di assoluzione ai sensi dell’art. 131-bis non deve essere munito di procura speciale, trattandosi di atto che non comporta la disposizione dei diritti personale dell’imputato e che non presuppone la conclusione di alcun negozio processuale da parte di quest’ultimo): considerate infatti la natura sostanziale dell'istituto in parola e ritenuto che la tenuità inerisce ad una caratteristica obiettiva del fatto addebitato all’imputato, la sussistenza di tale condizione di non punibilità può essere apprezzata d’ufficio dalla stessa Suprema Corte (Cass., sez. III, 30 novembre 2015, n. 47256). Tuttavia rimane necessario, perché la causa di non punibilità in discorso possa essere rilevata ex officio in sede di legittimità, che il relativo ricorso per cassazione presentato dalla difesa non sia comunque inammissibile per manifesta infondatezza degli altri motivi prospettati dalla difesa: in questo caso infatti il vizio del gravami precluderebbe la possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., pur trattandosi di ius superveniens più favorevole al ricorrente (Cass., sez. III, 24 giugno 2015; Cass., sez. F., 18 agosto 2015, n. 40152).
È invece da escludere che la disciplina in parola possa applicazione per i fatti già giudicati con sentenza irrevocabile, anche laddove si rinvenga, nel fatto oggetto della sentenza passata in giudicato, il carattere della particolare tenuità (Trib. Milano, 3 novembre 2015, giud. Corbetta). Nonostante alcune pronunce di merito abbiano ritenuto altrimenti (Trib. Palmi, Corte d’Assise, Sezione Prima, 19 ottobre 2015, Capone, Estensore) sostenendo che, dopo la riforma in discorso, i fatti particolarmente tenui sarebbero stati oggetto di una sostanziale abolitio criminis, posto che la previsione di cui all’art. 131-bis c.p. avrebbe una natura sostanziale e, pertanto, ne sarebbe possibile una applicazione retroattiva trattandosi di una disposizione più favorevole che introduce una nuova causa di non punibilità nell’ordinamento penale, riteniamo più corretto sostenere che l’introduzione della disposizione in commento non abbia comportato alcuna abolitio criminis come dimostrato dal fatto che l’operatività di tale disposizione presuppone (non la scomparsa del reato, ma) la persistente qualificazione in termini di penale rilevanza del fatto per cui si procede e ciò conformemente all’inquadramento dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. quale causa di esclusione della punibilità, che in quanto tale, per l’appunto, presuppone l'attuale rilevanza penale del fatto, che il legislatore, per le più svariate ragioni di opportunità, rinuncia a punire.
Queste osservazioni risultano confortate dalla considerazione che l’operare della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto si fonda su una valutazione circa la serietà e gravità degli effetti dannosi – anche in termini di mera messa in pericolo – sopportati dalla persona offesa o dal bene giuridico tutelato in conseguenza della vicenda delittuosa: quando tali effetti si presentino “tenui” allora pare congruo non procedere all’applicazione della sanzione, pure astrattamente prevista per fatti quali quelli oggetto del singolo giudizio all’interno del quale la valutazione di insignificanza è operata. Tuttavia, la scelta del legislatore di rinunciare a punire condotte conformi ad una determinata fattispecie incriminatrice in ragione della loro insignificanza presuppone necessariamente che la valutazione circa la tenuità del fatto sia attuale, sia cioè operata in tempi pressoché contestuali rispetto all’assunzione del comportamento vietato e comunque al momento in cui il fatto stesso è giudicato.
Da ultimo va riscontrato come la cassazione abbia ritenuto che anche la sentenza di non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 469, comma 1-bis, c.p.p., richiede che l'imputato medesimo ed il pubblico ministero consensualmente non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale (Cass., sez. III, 27 novembre 2015). La decisione della Cassazione si fonda in particolare su una lettura strettamente letterale dell’art. 469, laddove si sostiene che la formulazione del nuovo comma 1-bis in nulla autorizza un trattamento differenziato – ovvero non consente di prescindere dal consenso delle parti – quando la sentenza di assoluzione predibattimentale sia pronunciata per la sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 131-bis c.p. rispetto all’ipotesi, per così dire, più generale di cui al primo comma dello stesso art. 469, anche in considerazione del fatto che non si riscontra alcuna ragione per differenziare la disciplina applicabile a seconda della motivazione su cui si fonda la decisione predibattimentale.
Questa conclusione tuttavia pare assai opinabile. In primo luogo l’indubbia differente formulazione linguista fra i commi 1 ed 1-bis dell’art. 469 c.p.p. può far fondatamente ritenere che il giudice dibattimentale possa pronunciarsi in sede predibattimentale nel senso della tenuità del fatto pure in caso di mancato consenso di una delle parti: il citato comma 1-bis senz’altro pone in capo al giudice l’obbligo di sentire il pubblico ministero e l’imputato nonché la persona offesa, ma al contempo non contiene alcun nessun riferimento alla facoltà – per nessuna delle parti processuali – di opporsi alla sentenza predibattimentale, offrendo così il destro alla tesi secondo cui né la difesa né il pubblico ministero possono efficacemente precludere la pronuncia di sentenza predibattimentale di non punibilità per particolare tenuità.
In secondo luogo, la decisione della Cassazione in maniera del tutto incongrua equipara – con riferimento all’interesse alla prosecuzione del processo – la posizione del pubblico ministero a quella dell’imputato. Mentre a quest’ultimo, stanti le conseguenze deleterie che a suo carico possono derivare da tale modalità di definizione del procedimento deve riconoscersi il diritto ad un accertamento pieno ed in contraddittorio sull’accaduto, per cui potrebbe correttamente affermarsi che un suo diniego precluda l’applicazione dell’art. 649 c.p.p., non ha senso riconoscere analogo potere di veto al pubblico ministero, per il quale la valenza significativa dell’offesa arrecata con una condotta conforme alla fattispecie astratta è un dato di fatto, rispetto al cui accertamento – laddove se ne rinvenga una particolare tenuità – non sono date soluzioni alternative alla pronuncia della sentenza di assoluzione.
Detto altrimenti, per l’imputato è assolutamente ragionevole ritenere affermare che lo stesso voglia dimostrare la sua piena innocenza sul fatto contestatogli, a prescindere dalla significanza offensiva dell’accaduto, ed in ragione di tale interesse è doveroso riconoscergli la possibilità di dimostrare la sua estraneità al reato e di conseguenza rimettergli la scelta circa lo svolgimento o meno di un dibattimento; di contro, per il pubblico ministero, una volta che risulti accertata la particolare tenuità della circostanza per cui si procede, è indifferente il momento in cui tale valutazione venga operata posto che riconosciuta la sostanziale irrilevanza penale del fatto non sarà possibile pervenire ad un esito diverso dalla assoluzione – con il che ammettere che il dissenso del pubblico ministero possa paralizzare l’adozione della decisione di cui al comma 1-bis dell’art. 469 c.p.p. vale solo a depotenziare fortemente la valenza deflattiva della riforma, che per l’appunto si fonda (anche) sulla previsione di un meccanismo che consenta un vaglio preventivo della punibilità del fatto, senza necessità di procedere al dibattimento.
In realtà, in tema di pronuncia predibattimentale per particolare tenuità del fatto, ciò cui ha interesse il pubblico ministero - e quindi il profilo rispetto al quale è corretto porsi un problema di tutela di questa parte processuale - è che il giudice sia effettivamente in grado di pronunciarsi sul punto ovvero sia, in quale modo e secondo le modalità che vedremo fra un attimo, effettivamente in grado di percepire correttamente la significanza dell’accaduto.
E’ evidente, infatti, che in alcuni casi tale profilo non presenta alcun tasso di problematicità: a fronte di un’accusa di furto di un bene di pochi euro o di una truffa di altrettanto minimo valore, come dubitare che la sola lettura sia sufficiente per il giudice a ritenere il fatto penalmente non significativo (e quindi che ratio avrebbe attribuire alla opposizione di un pervicace sostenitore della pubblica accusa una forza preclusiva rispetto all’adozione della decisione di cui all’art. 469, comma 1-bis c.p.p.)?.
Ben diversa l’ipotesi in cui la formulazione dell’imputazione sia insufficiente per l’adozione di un tale verdetto, essendo invece necessario un approfondimento che necessariamente deve passare per la verifica dibattimentale: in questo caso eventuali decisioni di non procedibilità emessi dal giudice di merito in sede predibattimentale andranno censurate non per la presenza di una presunta nullità ai sensi dell’art. 178 lett. b) c.p.p. quanto per la mancanza di motivazione della pronuncia essendo mancato un adeguato approfondimento del fatto posto a base dell’accusa (sul punto si segnala che secondo alcune decisioni di merito – cfr. Tribunale di Bari, composizione monocratica, sentenza n. 1523 del 2015 – il giudice del dibattimento, allo scopo di formulare una decisione in termini di scarsa offensività dell’accaduto, ben potrebbe acquisire il fascicolo del pubblico ministero, trattandosi di soluzione “suggerita, in via analogica da quanto è previsto per il patteggiamento della pena, ipotesi che più si avvicina processualmente alla situazione prospettata e che richiede, per l’appunto, l’acquisizione del fascicolo del pubblico ministero ai fini del decidere”).
fonte: www.quotidianogiuridico.it//La non punibilità per la tenuità del fatto: esame delle prime decisioni della Cassazione | Quotidiano Giuridico
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giovedì 21 gennaio 2016
La non punibilità per la tenuità del fatto: esame delle prime decisioni della Cassazione
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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