giovedì 14 gennaio 2016

Cassazione: la liberazione speciale esclude chi è ai domiciliari

La liberazione speciale anticipata non si applica a chi è agli arresti domiciliari, ma solo a chi è detenuto in carcere. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 987 della Prima sezione penale depositata ieri, che ha giudicato infondata la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla difesa di un detenuto domiciliare che si era visto respingere la richiesta di applicazione del beneficio introdotto nella sua versione definitiva con la legge n. 10 del 2014. Beneficio che si traduce in uno sconto più cospicuo dei giorni di carcere, 75 giorni, al posto degli ordinari 45, per ogni semestre di pena espiata con condotta «regolare e partecipativa».
La Cassazione sottolinea che l’istituto della liberazione anticipata speciale ha natura eccezionale di strumento predisposto per contribuire alla soluzione di uno dei problemi storici della giustizia italiana, il sovraffollamento delle carceri. A favore dell’eccezionalità milita poi anche la collocazione nell’Ordinamento penitenziario: non nell’articolo 54 che si occupa della liberazione anticipata ordinaria, ma in una disposizione specifica, dedicata a metterne in evidenza la natura di rimedio particolare e circoscritto nella sua applicazione a favore dei detenuti per un arco di due anni.
Quanto poi alle finalità della misura sono certo di rieducazione del condannato ma nello stesso tempo anche deflattive e risarcitorie che, per essere realizzate in concreto, presuppongono l’effettiva permanenza in carcere del condannato nei periodi di riferimento. Si tratta oltretutto di una misura da leggere in chiave europea, indispensabile anzi per adeguarsi a quanto sottolineato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Torreggiani che ha sanzionato l’Italia per le condizioni degli istituti di pena. Così, la liberazione anticipata speciale, che fa parte di un pacchetto di misure con la medesima finalità, è indirizzata a risolvere le carenze del nostro sistema carcerario, incidendo sui flussi sia in entrata sia in uscita.
La Cassazione nega poi qualsiasi rischio di discriminazione rispetto ai detenuti che hanno scontato la pena in un ambiente esterno al carcere. Non può infatti essere confrontata la condizione di chi ha trascorso anni in carcere in condizioni di sovraffollamento che contribuiscono ad aggravare la situazione detentiva e quella di chi è potuto restare nel domicilio scelto, a contatto con congiunti o conviventi.
Così, «la constatazione della più invasiva incidenza delle limitazioni alla libertà personale, della diversa qualità di vita, e della ben maggiore afflittività in genere dell’esecuzione per i condannati effettivamente ristretti in ambito inframurario, giustifica un trattamento di favore “speciale” per quanti abbiano versato in condizioni oggettive di incrementata sofferenza, eccedenti la normale condizione restrittiva».
Non vale poi sostenere la discriminazione a danno dei condannati ai domiciliari riferendosi ai condannati ammessi alla semilibertà e ai permessi premio (che invece possono accedere alla liberazione anticipata speciale): si tratta infatti di detenuti che continuano a espiare la pena o parte di questa all’interno delle carceri.

fonte: www.ilsole24ore.com/Giovanni Negri/Organismo Unitario Avvocatura Italiana

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