La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo si ulteriore diffusione di essa. Questo l’orientamento che la Cassazione ha deciso di condividere con la sentenza 43986/15.
Il caso
L’imputato ricorrere in Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze lo condannava per averlo riconosciuto responsabile della violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, per aver coltivato due piante di canapa indiana, atte alla produzione di sostanza stupefacente. Il motivo di ricorso che merita accoglimento è quello con il quale il ricorrente si duole, quanto alla coltivazione di piante atte alla produzione di stupefacente, la mancanza di offensività della condotta ascrittagli data la sua modestia, tale da giustificare la destinazione all’esclusivo uso personale. I giudici di legittimità hanno ricordato come sul punto la giurisprudenza non è stata sempre univoca.
Nel caso, in particolare, il Collegio ha deciso di condividere l’orientamento in base al quale «la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo si ulteriore diffusione di essa». Si precisa, altresì, che ai fini della verifica in concreto della offensività della condotta di coltivazione, non è sufficiente considerare il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, ma è necessario esaminare anche quale sia «l’estensione della coltivazione, il livello di strutturazione di tale coltivazione al fine di verificare se da essa possa o meno derivare una produzione di sostanza stupefacente esulante rispetto all’autoconsumo, ma potenzialmente idonea ad incrementare il mercato».
La Corte rileva che, data la modestissima rilevanza quantitativa della piantagione, la sostanza da essa prodotta, in quanto destinata all’autoconsumo, non aveva minimamente l’attitudine ad incrementare il mercato degli stupefacenti. Ciò rende manifestamente illogico il ragionamento accusatorio della Corte territoriale. Questo il motivo per il quale la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al capo relativo alla coltivazione, perché il fatto non sussiste e ha rinviato, in ordine al trattamento sanzionatorio, ad altra sezione della Corte d’appello.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La coltivazione di due piantine di canapa indiana in casa non è reato - La Stampa
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lunedì 14 dicembre 2015
La coltivazione di due piantine di canapa indiana in casa non è reato
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