martedì 7 aprile 2015

Datore di lavoro in crisi, preferire gli stipendi alle ritenute non lo salva dalla pena

La legge affida al datore di lavoro (debitore delle retribuzioni nei confronti dei prestatori di lavoro dipendenti) il compito di detrarre l'importo delle ritenute assistenziali e previdenziali da quelli dovute e di corrisponderlo all'Erario quale sostituto dei soggetto obbligato. Perciò, è vincolato al pagamento delle ritenute così come al pagamento delle retribuzioni. Così si è espressa la Cassazione nella sentenza 11353/15.

Il caso

Il tribunale assolve un imputato, accusato di non aver versato le ritenute previdenziali ed assistenziali all’INPS. Le omissioni erano riferite ad un periodo in cui c’era stato il tracollo finanziario della società di cui l’imputato era amministratore unico. La crisi non aveva consentito neanche di pagare con regolarità gli stipendi ai dipendenti, portando poi alla cessazione dell’attività ed alla messa in liquidazione della società. Mancava, quindi, secondo i giudici di merito, l’elemento soggettivo del reato, avendo l’imputato fatto ogni sforzo per pagare prioritariamente i dipendenti e sanare le omissioni nei confronti dell’INPS.

Il Procuratore Generale ricorreva in Cassazione, affermando che il reato contestato non richiede il dolo specifico, perchè bastano la coscienza e volontà di non versare. Irrilevanti sarebbero poi la crisi aziendale ed il fatto che le risorse erano state utilizzate per debiti ritenuti di maggior urgenza. La Corte di Cassazione concorda con il ricorrente: il reato contestato non richiede il dolo specifico.

E' irrilevante la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti urgenti. La legge affida al datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei prestatori di lavoro dipendenti, il compito di detrarre dalle stesse l'importo delle ritenute assistenziali e previdenziali da quelli dovute e di corrisponderlo all'Erario quale sostituto dei soggetto obbligato. Perciò, è vincolato al pagamento delle ritenute così come al pagamento delle retribuzioni.

La conseguenza è che lo stato di insolvenza non libera il sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all'Inps, così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono, del resto, parte. La punibilità della condotta è proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all'Istituto (in nome e per conto del quale tali somme sono state trattenute), per cui non può ipotizzarsi l'impossibilità di versamento per fatti sopravvenuti, come appunto una pretesa situazione di illiquidità della società. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Datore di lavoro in crisi, preferire gli stipendi alle ritenute non lo salva dalla pena - La Stampa

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