lunedì 15 settembre 2014

Quando le condotte vessatorie in danno del convivente non costituiscono reato

Fatti lesivi episodici, derivanti da contingenti e particolari situazioni familiari, pur conservando la propria autonomia di reati contro la persona, non integrano il delitto di maltrattamenti. Lo stabilisce la Cassazione con sentenza 27987/14.

Il caso

La Corte di Appello di Lecce, confermando la sentenza del GIP, condannava l’imputato per i reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) in danno della convivente. Avverso tale sentenza l’uomo ricorreva in Cassazione, in primo luogo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 89 c.p., atteso che i fatti di reato a lui ascritti potevano essere iscritti nello spettro della patologia psichica riscontrata dal perito, e, in secondo luogo, per violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla sussistenza dei reati contestati, attesa la mancanza dello stato psicologico di ansia per la propria incolumità nella parte offesa e delle continue vessazioni morali, indispensabili per la configurazione dei delitti di cui all’art. 615 bis c.p. e 572 c.p..

L’oggetto giuridico nel reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. non è costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia e alla tutela della famiglia, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate dalla norma. Per la configurabilità del reato, infatti, non è sufficiente la presenza di semplici fatti lesivi dell’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona della famiglia, ma è necessario che tali fatti facciano parte di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile.

Al contrario, fatti episodici e lesivi anche di diritti fondamentali, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, pur conservando la propria autonomia di reati contro la persona (Cass., Sez. VI, n. 37019/2013). Nel caso di specie, già la sentenza di primo grado aveva descritto le condotte costitutive del reato di cui all’art. 572 c.p. in termini di reiterate minacce, scoppi d’ira, aggressioni verbali, una volta anche percosse – scaturenti verosimilmente anche a seguito della patologia psichica dell’imputato - ma mai offese e denigrazioni della parte lesa.

Secondo la Corte di Cassazione, spetta sempre alla Corte territoriale valutare in maniera puntuale e specifica le condotte costituenti fatti di reato, onde valutare se le condotte ascritte all’imputato abbiano determinato la sottoposizione della parte offesa ad un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile ovvero non abbiano integrato altri e diversi reati contro la sua persona. Essendo la sentenza impugnata del tutto carente in ordine alla motivazione nella parte concernente la sussistenza di abituali condotte vessatorie ai danni della denunziante, la Cassazione accoglieva il ricorso e annullava la sentenza limitatamente al reato di cui all’art. 572 c.p..

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