mercoledì 23 luglio 2014

Prima o dopo non importa: se il denaro è delle prostitute, fonte di ricchezza è il mestiere più antico del mondo

Lo sfruttamento della prostituzione si configura in tutti i casi in cui il reo tragga un vantaggio economico dal meretricio, non essendo necessario che tale vantaggio sia contestuale all’esercizio dell’attività, a condizione che esso abbia la sua specifica causa in tale attività e non in una generica ingiusta pretesa di carattere economico nei confronti della vittima. È quanto emerge dalla sentenza della Cassazione 19588/14.

Il caso

La Corte d’Appello di Venezia condannava un uomo per i reati di cui agli artt. 626 e 61, n. 2, c.p. perché costringeva due donne a consegnargli la somma di 500 euro ciascuna, quale parte del corrispettivo da lui preteso per l’uso di un appartamento che aveva in precedenza concesso loro per esercitare la prostituzione, procurandosi in tal modo un ingiusto profitto con altrui danno, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di conseguire il profitto dei reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

L’imputato propone ricorso per cassazione. Occorre premettere che lo sfruttamento della prostituzione si configura in tutti i casi in cui il reo tragga un vantaggio economico dal meretricio, non essendo necessario che tale vantaggio sia contestuale all’esercizio dell’attività, a condizione che esso abbia la sua specifica causa in tale attività e non in una generica ingiusta pretesa di carattere economico nei confronti della vittima. A rilevare, allora, è la causa illecita dell’obbligazione e non la contestualità della pretesa rispetto al sorgere dell’obbligazione stessa, né tantomeno la provenienza materiale delle somme con le quali la persona offesa procede all’adempimento di detta obbligazione.

La Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione di questi principi: essa ha sostenuto che la causa del credito dell’imputato nei confronti delle persone offese è lo sfruttamento della prostituzione, attraverso la locazione di appartamenti a canoni molto superiori a quelli del mercato.

Essendo cessata l’attività di prostituzione, la pretesa dell’imputato non poteva più essere ritenuta connessa all’attività stessa. Per quest’ultimo, infatti, era indifferente il modo in cui le donne si sarebbero procurate le somme pretese, pur essendo queste parte dei canoni di locazione per l’utilizzazione degli immobili nei quali la prostituzione era esercitata. Ragionando in questi termini, però, la Corte distrettuale valorizza due elementi irrilevanti per configurare l’estorsione in luogo dello sfruttamento della prostituzione: la distanza temporale fra l’esercizio della prostituzione e il momento in cui il corrispettivo relativo viene richiesto; la materiale provenienza della somma necessaria per il pagamento. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata quanto al reato di estorsione.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Prima o dopo non importa: se il denaro è delle prostitute, fonte di ricchezza è il mestiere più antico del mondo

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