E’ questo il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte con la recente sentenza n. 33207/2013, con la quale gli ermellini hanno ribadito la massima giurisprudenziale riportata ed hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Lecce.
La Corte territoriale, in particolare, aveva confermato la sentenza emessa dal Giudice di prima cure con la quale l’appellante veniva ritenuta colpevole del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., per aver cagionato, per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (ex art. 141 del Codice della Strada), la morte di un pedone.
Il caso – Nell’anno 2004 un automobilista, che aveva investito un pedone poi deceduto in conseguenza del sinistro, veniva ritenuto colpevole dal Tribunale di omicidio colposo ex art. 589 c.p., con sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello.
L’imputato ricorreva alla Suprema Corte, denunciando l’erronea valutazione delle risultanze probatorie – facendo riferimento in particolare ad un’impronta di una scarpa sulla propria auto - e ribadendo che il corpo si trovava già sull’asfalto al momento dell’investimento e di conseguenza chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte, ma dall’attenta analisi della pronuncia si ricava un principio assai interessante, che riguarda la condotta dell’automobilista e del pedone, proprio in caso di investimento.
La decisione della Corte – I Giudici della Suprema Corte procedono inizialmente ad esaminare le norme che sono alla base del comportamento del conducente del veicolo, tra le quali principalmente l’art. 140 del Codice della Strada, che pone, quale principio generale della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione, in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, nonché l’art. 191, che puntualizza le specifiche regole di condotta con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni.
In questa prospettiva, la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve rispettare il conducente, è sintetizzata “nell’obbligo di attenzione” che questi deve tenere al fine di “avvistare” il pedone in modo da poter porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone in particolare, secondo la Corte, si sostanzia essenzialmente in tre obblighi comportamentali: “quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, soprattutto dei pedoni”.
Tali obblighi comportamentali sono essenziali per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari ed imprudenti dello stesso pedone, o che violino obblighi comportamentali specifici, dettati ex art. 190 del C.d.S. Il conducente quindi ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (Cass. Pen. Sez. IV sentenza n. 1207/1992).
In definitiva, in caso di investimento del pedone, il conducente del veicolo va esente da responsabilità se, e solo se, sia accertato che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola a produrre l’evento, ex art. 41 c.p. comma 2. In sostanza quindi, tale fattispecie può accadere solo allorquando il conducente del veicolo investitore – nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, sia generica che specifica – si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nell’oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l’incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.
(Altalex, 23 dicembre 2013. Nota di Raffaele Plenteda e Giuseppe Scordari)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. UCCELLA Fulvio - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da: C.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1358/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del 28/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
udito il difensore avv. De Luca per il responsabile civile che si riporta alla memoria difensiva; è altresì presente anche in sostituzione dell'avv. Pallara difensore dell'imputata e si riporta ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del Tribunale di Lecce, resa in data 13/9/2008, C.D. veniva ritenuta colpevole del reato di cui all'art. 589 c.p., per avere cagionato, per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (art. 141, comma 1 C.d.S.), la morte di M.A.; in particolare, secondo la contestazione, l'imputata mentre percorreva (OMISSIS), con direzione di marcia periferia-centro, alla guida dell'autovettura Fiat punto tg. (OMISSIS), dopo aver superato il sottovia ferroviario, non prestando la dovuta attenzione nella sua marcia, non accorgendosi della presenza del pedone M.A. che era appena sceso dal marciapiede di destra in attesa di attraversare la sede stradale, era passata con la ruota anteriore destra sopra il piede sinistro del M. che, a seguito di tale collisione, aveva subito il piegamento in avanti del corpo per poi scivolare in avanti e subire il successivo arrotamento, con il passaggio completo della vettura sul corpo del M. stesso (fatto avvenuto in (OMISSIS)). Tale affermazione di colpevolezza veniva pronunciata in base alle deposizioni dei testi escussi in dibattimento, alle relazioni tecniche redatte dai consulenti delle parti - attraverso le quali era stata ricostruita la dinamica del sinistro - nonchè sulla scorta della consulenza medico-legale relativa all'esame autoptico della salma della giovane vittima.
Il sinistro in questione si era verificato nel pomeriggio del (OMISSIS): M.A. era stato trovato cadavere sul manto stradale di via (OMISSIS), nei pressi del sottopassaggio ferroviario. Era immediatamente emerso che il giovane era stato investito da un mezzo, circostanza successivamente confermata dall'esame autoptico effettuato sul suo cadavere. Dopo alcune ore dall'incidente era giunta sul posto la Fiat Punto, con a bordo C.D.; quest'ultima, in evidente stato di shock, aveva dichiarato agli operanti di essere stata lei ad investire la vittima: la circostanza era risultata confermata dalla presenza sull'auto di alcune tracce del passaggio del mezzo sul corpo del M.. Il Giudice di prime cure riteneva quindi acclarato che ad investire il giovane era stata l'autovettura condotta dalla C., e ciò in ragione dei seguenti elementi: le numerose tracce dell'incidente rinvenute sull'auto del tutto compatibili con l'investimento del pedone; il ritorno della C. sul luogo del sinistro dopo essere venuta a conoscenza dell'incidente; le dichiarazioni rese da R.S., unico teste oculare in grado di fornire elementi utili in ordine alla dinamica dell'incidente.
Dalla deposizione del R. era emerso che: egli, quel pomeriggio, alla guida della propria auto, dopo aver concluso la discesa e superato il sottopasso con direzione (OMISSIS), era stato costretto a sterzare repentinamente a sinistra perchè l'autovettura che lo precedeva, in posizione quasi parallela a quella da lui condotta, a sua volta aveva effettuato un movimento di sterzata leggera, impercettibile ma netta, a sinistra; in quel momento, voltatosi sulla destra verso l'auto che aveva effettuato il repentino cambio di direzione, aveva notato una sagoma - all'altezza dell'estremità anteriore destra dell'autovettura che l'affiancava - che non aveva individuato come umana, convinto che un cartellone pubblicitario fosse caduto dall'alto; il R. aveva, inoltre, riconosciuto il conducente della vettura che lo precedeva in C.D., una sua collega avvocato con la quale, alla fine della salita, si era fermato per capire cosa fosse successo;
entrambi erano scesi dalle rispettive auto ma nessuno dei due era riuscito a decifrare l'accaduto; si erano, quindi, entrambi allontanati da quel luogo e dopo qualche ora il R. aveva ricevuto una telefonata dalla sua fidanzata che gli aveva raccontato dell'incidente; il R. era accorso nei pressi del sottopassaggio dove aveva trovato anche la C. e dove aveva appreso che quest'ultima era tornata sul posto avendo verificato l'esistenza di alcuni danni sulla sua autovettura e volendo verificare se erano stati causati da un'insidia che avrebbe potuto comportare una richiesta di risarcimento.
Evidenziava ancora il Tribunale che dall'esame autoptico del cadavere era emersa l'esistenza di ferite lacero-contuse a livello del capo, del tronco e degli arti, ed in corrispondenza della prima era stata apprezzata la frattura dell'osso frontale mentre altre fratture scheletriche avevano interessato l'avambraccio sinistro, l'emitorace sinistro, il bacino ed il piede sinistro; rilevante era immediatamente apparsa l'impronta nerastra, sovrapposta a numerose ecchimosi escoriate, posta in corrispondenza dell'emitorace destro, estesa anche in regione lombare, ed imputabile, con ogni probabilità, all'arrotamento da parte della ruota; il piede sinistro, inoltre, presentava un vistoso abbassamento del profilo della volta, in corrispondenza delle fratture delle ossa metatarsali;
il complesso lesivo, dunque, si componeva di lesioni da urto, da arrotamento e la frattura dell'osso frontale poteva essere imputata al caricamento del pedone sul veicolo: tutte le lesioni erano pertanto apparse compatibili con un trauma da investimento.
Dalle consulenze tecniche, redatte sia su incarico del P.M. sia su incarico delle parti private, era emersa un'ammaccatura del parafango anteriore destro dell'auto, un'abrasione dello spigolo destro del paraurti anteriore, una sensibile deformazione dello spigolo superiore destro della targa, dall'alto verso il basso, confermata dalla presenza di alcuni fili di cotone conficcati nella targa, riferibili all'imbottitura del giubbotto del M.; altri elementi erano riconducibili a segni di urto e strisciamento sul pianale inferiore dell'auto e sul pannello motore, con tracce di sostanza ematica; alla stregua di tali elementi il consulente del P.M. aveva ricostruito la dinamica dell'investimento ritenendo che l'auto della C. fosse passata con la ruota anteriore destra sopra il piede sinistro del pedone che era appena sceso dal marciapiede di destra: in seguito a tale collisione il giovane aveva subito un piegamento in avanti del corpo procurando, con uno degli arti inferiori, l'ammaccatura alla facciata del parafango anteriore destro dell'auto per poi scivolare in avanti lungo il cofano anteriore della vettura.
Tali conclusioni non erano state condivise dal consulente dell'imputata: questi, in particolare, aveva rilevato che difficilmente, nel caso di investimento di pedone da parte di un'autovettura, sussisterebbe la fase di arrotamento perchè l'urto iniziale riguarderebbe una parte del pedone sottostante il suo baricentro e quindi il primo piegamento del corpo avverrebbe verso il cofano anteriore del veicolo investitore; l'arrotamento del pedone si verificherebbe solo nell'ipotesi in cui lo stesso sia già piegato verso il basso al momento dell'urto ovvero già giacente sulla pavimentazione stradale.
2. Proponeva rituale gravame la C., sostenendo che il giudice di primo grado, per ricondurre ad unità gli elementi emersi nel corso del dibattimento, aveva dovuto escludere che l'impronta di scarpa rilevata sulla fiancata destra dell'autovettura della C. fosse riconducibile alla calzatura sinistra del povero M., dato questo che, invece, sarebbe risultato pacifico in quanto, nel corso dell'accertamento tecnico disposto dal Pubblico Ministero ed eseguito ai sensi dell'art. 360 c.p.p., era stata constatata la corrispondenza dell'impronta esistente sulla fiancata dell'autovettura con il disegno e la sagoma della scarpa sinistra del pedone; osservava ancora l'appellante che i consulenti tecnici della difesa e del responsabile civile avevano dimostrato l'impossibilità che la prima collisione fra pedone e veicolo fosse avvenuta con l'urto della ruota anteriore destra dell'autovettura contro il piede sinistro del giovane, perchè, se così fosse stato, trovandosi l'arto inferiore sinistro della vittima sotto la autovettura, sarebbe stato impossibile spiegare la presenza dell'impronta della scarpa sinistra della stessa vittima sulla fiancata dell'automobile;
inoltre, i suddetti tecnici avevano evidenziato come l'impatto fra la parte frontale dell'autovettura ed una persona adulta che si trovi davanti alla stessa, in posizione eretta, comporterebbe il sollevamento del pedone ed il suo caricamento sul cofano del veicolo, non l'abbattimento dell'investito ed il suo successivo arrotamento:
donde, l'assoluta improponibilità della ricostruzione della dinamica del sinistro come esposta in sentenza.
3. La Corte d'Appello di Lecce, per la parte che in questa sede rileva, disattendeva le prospettazioni dell'appellante, e confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata dal primo giudice nei confronti della C., dando conto di tale convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi: a) la C. non aveva offerto, nè nel corso delle indagini, nè durante lo svolgimento dei due gradi di giudizio, una sua versione dei fatti: sarebbe stato utile comprendere come ella non si fosse avveduta del notevole sobbalzo conseguente all'arrotamento della vittima e del perchè non fosse ritornata nel punto dove ciò era accaduto nonostante avesse arrestato l'auto a poca distanza da quel luogo discendendo dalla stessa per verificare quanto occorsole; b) le dichiarazioni rese dal teste R. e l'incrinatura dello spigolo superiore sinistro della targa anteriore dell'auto condotta dall'imputata smentivano la tesi difensiva: il teste, nel descrivere il momento dell'incidente, aveva riferito di avere nettamente intravisto, a fianco della vettura condotta dalla donna, una figura, sul momento non riconosciuta come umana, che si abbatteva al suolo, tanto da indurlo a pensare alla caduta di un cartellone pubblicitario; inoltre la lieve, ma decisa sterzata a sinistra descritta dal R., appariva compatibile con la necessità di evitare un ostacolo ma non era necessariamente conseguente all'arrotamento; orbene, tale ricostruzione, per un verso, non risultava contestata dalla difesa dell'imputata, e, per altro verso, risultava incompatibile con la tesi della presenza sul manto stradale del corpo del M. precedentemente al sopraggiungere della vettura, posto che il teste aveva affermato di aver guardato alla sua destra, scorgendo tale figura solo successivamente ed in conseguenza del suddetto mutamento di direzione dell'auto dell'imputata: dal che doveva dedursi che al passaggio della Fiat Punto della C. il M. era ancora in piedi accanto all'auto; c) siffatta conclusione risultava altresì avvalorata dalla circostanza che lo spigolo superiore sinistro della targa anteriore del veicolo era rimasto impigliato nel giubbotto indossato dal giovane; si trattava di un dato incontestato ed incontestabile posto che erano stati rinvenuti i filamenti appartenenti all'imbottitura di tale indumento;
orbene, se il corpo della vittima si fosse trovato già sul manto stradale al passaggio dell'auto, la stessa spinta in avanti data dal moto dell'auto avrebbe pressochè impedito che quella parte della targa potesse incappare nel giubbotto venendone a sua volta divelta:
il corpo del M., in caduta da un punto più alto, aveva investito la parte anteriore del mezzo e scivolando su di essa aveva fatto sì che i vestiti avvolgessero le singole componenti;
dell'auto, mentre queste ultime avevano ceduto alla forza che conduceva il corpo al di sotto del veicolo, determinando l'incrinatura dello spigolo sinistro della targa dell'auto della C.; d) la caduta del M., a seguito del suo investimento, risultava del tutto compatibile con l'altro dato, anch'esso oggettivo e non contestato, relativo alla constatata frattura delle ossa metatarsali del piede sinistro della vittima, segno questo collegato necessariamente al passaggio su di esso del mezzo allorquando era perfettamente orizzontale al piano di calpestio, cioè poggiato per terra; e) le suddette argomentazioni, fondate sui soli dati oggettivi, e non contestati, disponibili, dimostravano che le deduzioni svolte dai consulenti tecnici della difesa non si attagliavano alla fattispecie; f) infine, quanto alla dosimetria della pena infitta dal primo giudice alla C., le doglianze dell'appellante apparivano al riguardo prive di fondamento:
l'incidente era avvenuto a causa della totale carenza di attenzione da parte della conducente che non si era avveduta affatto non soltanto dell'esistenza di un pedone ma anche che questi avesse impegnato la corsia, evidentemente in fase di attraversamento, e persino di averlo investito, dapprima arrotandogli il piede e poi passandogli sopra con l'auto; il conseguente sobbalzo della vettura avrebbe dovuto provocare condotte diverse da parte dell'imputata che inspiegabilmente non erano state poste In essere; non vi era dunque spazio per dedurre realisticamente l'imprevedibilità ed inevitabilità dell'evento in quanto esso non era stato per nulla percepito e ben poteva esserlo; troppo superficiale era stato il comportamento successivamente tenuto dalla C. per non risultare oltremodo sospetto; a fronte di tali modalità del fatto non vi era motivo alcuno per accedere alla richiesta di prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulla circostanza aggravante contestata; quanto all'entità della pena, la stessa appariva certamente adeguata alla gravità ed alle modalità di commissione del fatto reato.
4. Ricorre per cassazione l'imputata, denunciando l'erronea valutazione delle risultanze probatorie - con particolare riferimento all'impronta della scarpa sulla fiancata dell'auto - ribadendo quindi la tesi secondo cui l'impatto della propria auto con il corpo del M. sarebbe avvenuto quando lo stesso era già sull'asfalto e sostenendo che risulterebbe del tutto ingiustificato il diniego di una valutazione di prevalenza delle riconosciute attenuanti genetiche sulla contestata aggravante.
Motivi della decisione
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle dedotte censure, a fronte di una doppia conforme sentenza di condanna e, in particolare, di una sentenza di appello che fornisce una adeguata ricostruzione dell'incidente e della relativa responsabilità.
5.1. Come è noto, le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell'art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, cpn riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle stabilite, dettagliatamente, nell'art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, stabilisce le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell'"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine di "avvistare" il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel I richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare;
quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni) (cfr., per riferimenti, Sezione 4, gennaio 1991, Del Frate; Sezione 4, 12 ottobre 2005, Leonini; Sezione 4, 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell'attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi in violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'art. 190 C.d.S.. Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (Sezione 4, 30 novembre 1992, n. 1207, Cat Berrò, rv. 193014).
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o in violazione di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, invero, concausa dell'evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41 c.p., comma 1), ma occorre che la condotta del pedone i configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non i prevista nè prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento (cfr. art. 41 c.p., comma 2). Ciò che può ritenersi, solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di "avvistare" il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l'incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima.
5.2. Nello specifico, l'imputata non ha prospettato eventuali comportamenti imprudenti del pedone nè, nel rivendicare la propria innocenza, si è preoccupata di contestare addebiti a suo carico di profili colposi nell'eziologia dell'incidente, ma ha sostenuto una tesi basata unicamente sulla prospettata presenza sull'asfalto del corpo del M. privo di vita, già prima del sopraggiungere dell'auto da lei condotta; ed ha ritenuto di poter suffragare tale versione con il richiamo all'elemento oggettivo dell'impronta di una scarpa rilevata sulla fiancata destra della propria auto.
La Corte distrettuale, nell'esaminare e nel disattendere le deduzioni difensive della difesa concernenti la rilevata impronta della scarpa sulla fiancata dell'auto - dalla Corte stessa considerata quale unica circostanza apparentemente favorevole alla tesi difensiva - ha sottolineato che trattavasi di dato non idoneo di per sè ad inficiare la dinamica dell'incidente quale ricostruita dal primo giudice sulla base del compendio probatorio acquisito, ed ha dato conto di detto convincimento osservando che: 1) l'accertata comparazione tra la traccia di scarpa e quella indossata dalla vittima non specificava in quale posizione essa fosse stata impressa:
a giudicare dalle foto in atti, le impronte risultavano più di una, come se il piede avesse più volte impattato contro la fiancata da diverse posizioni; 2) in secondo luogo doveva rilevarsi che la parte più nitida dell'impronta presupponeva una posizione verticale del piede rispetto alla superficie d'impatto, che, non solo, non era quella rappresentata nella consulenza tecnica prodotta dal responsabile civile, ma risultava pressochè impossibile una flessione del ginocchio e dell'anca all'indietro tale da permettere alla pianta del piede sinistro dell'uomo a terra, schiacciato dall'autovettura, di giungere a 70 cm d'altezza dal suolo; 3) a ciò bisognava aggiungere che il tipo di calzatura risultava di ampia commercializzazione, e che l'auto dell'imputata si era allontanata dal luogo del sinistro per farvi ritorno solo successivamente a circa mezz'ora dalla verificazione del sinistro, rimanendo alla mercè della folla che nelle more si era radunata lì nei pressi: tant'è ch'e, una volta fatta salire l'imputata all'interno dell'auto di servizio, uno degli Agenti della "volante" intervenuta prima della pattuglia di Polizia Municipale era rimasto a presidio della stessa;
di tal che, la prospettazione che l'impronta in questione appartenesse alla vittima non poteva assumere i caratteri della certezza processuale rimanendo nel limbo di una Ipotesi, peraltro avversata da una netta incompatibilità di tipo fisico quale prima descritta; 4) infine, tutti i restanti danni accertati, erano risultati, dall'esame della Fiat Punto in questione, idei tutto compatibili con la dinamica dell'incidente quale accreditata dal primo giudice: il che rafforzava l'ipotesi accusatoria.
5.3. Orbene, il giudizio espresso dalla Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, è conforme alle risultanze dell'istruttoria svolta. Tale giudizio attiene al merito dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perchè frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali - in ordine alla condotta della ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati ed alla loro incidenza sotto il profilo causale - del quale è stata data congrua e coerente giustificazione.
Le censure proposte si risolvono dunque in asserzioni e in considerazioni di merito dirette a contestare il valore probatorio degli elementi utilizzati dal giudice per pervenire al convincimento di responsabilità e non tengono conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie contenuti nella motivazione della sentenza impugnata. In definitiva, la ricorrente ha sostanzialmente riproposto le tesi difensive già sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte d'Appello poi. Al riguardo giova ricordare che nella giurisprudenza di questa Corte è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; conf.: Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 Ud. - dep. 16/05/2012 -Rv. 253849).
E va altresì evidenziato che già il primo giudice aveva affrontato e risolto le questioni sollevate dall'imputata, in ordine alla dinamica del sinistro ed alla ritenuta colpevolezza dell'imputata stessa, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza legittimamente hanno anche richiamato la motivazione addotta dal Tribunale a fondamento del convincimento espresso, senza peraltro limitarsi ad un semplice richiamo meramente ricettizio a detta motivazione, non avendo mancato di fornire autonome valutazioni ed indicare specifiche risultanze processuali a fronte delle deduzioni dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. - dep. 05/12/1997 - Rv. 209145).
6. Quanto infine alla censura concernente il mancato giudizio di plusvalenza delle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha ritenuto di dover confermare la statuizione del primo giudice, valorizzando al riguardo il rilevante profilo di colpa: orbene si tratta di apprezzamento di merito incensurabile in questa sede perchè non espresso in modo apodittico e privo di connotazioni di illogicità (cfr. Sez. 6, 25.8.1992, Lafleur, RV 192244; secondo cui, ai fini del giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dalle parti, essendo sufficiente, invece, che egli dia rilievo a quelli ritenuti di valore decisivo).
7. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
fonte: Altalex.com/Investimento pedone: presupposti per esonero da responsabilità conducente
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