Il superamento dei valori soglia nel possesso di sostanze stupefacenti non può automaticamente tradursi nella presunzione del reato di spaccio. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 44881, accogliendo il ricorso di un uomo di 30 anni tetraplegico e “notoriamente tossicodipendente” nella cui abitazione siano rinvenute 127 dosi di hashish usate anche come antidolorifico.
La Suprema corte chiarisce che “il superamento dei limiti massimi indicati nel decreto ministeriale cui fa riferimento l’art. 73, comma 1 bis, lett. a), Dpr n. 309/1990 non costituisce una presunzione, assoluta o relativa, in ordine alla destinazione della sostanza stupefacente a un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati dalla norma, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da provare la destinazione illecita della sostanza detenuta”.
“Nel caso concreto - prosegue la sentenza -, l’imputato - come riconoscono I giudici del merito - è soggetto notoriamente tossicodipendente, affetto da tetraplegia, che si presenta come forte consumatore di hashish, usato anche come antidolorifico. Non è dunque inverosimile ch’egli detenesse nella sua abitazione una scorta di droga in quantità superiore alla soglia massima prevista per farne uso personale, considerato anche che l’incapacità di movimento dovuta alla cennata patologia gli rendeva difficoltoso ricorrere a frequenti approvvigionamenti”.
“In questo contesto il mero superamento del valore-soglia non appare, dunque, sufficiente a provare la destinazione allo spaccio”, concludono gli ermellini.
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