Ricavi 2011 ancora in contrazione
Gli ultimi dati pubblicati da Cassa Forense e relativi ai redditi dichiarati nel 2011 hanno messo in luce una condizione molto preoccupante perché, oltre a confermare l’endemica debolezza economica di giovani e donne, hanno dato conto di una sostanziale contrazione dei ricavi e di un progressivo impoverimento della avvocatura.
A dispetto di un reddito medio di € 47.561, la realtà è molto meno rosea: per 143.182 avvocati (tanti sono quelli che non superano il tetto contributivo di € 90.100 e rappresentano l’89% del totale) il reddito medio irpef è di appena € 25.349.
Una cifra che smentisce l’idea della professione come ascensore sociale e che è indicativa di una concreta sofferenza economica rispetto alla quale non può certo consolare apprendere che anche i colleghi d’oltre Manica starebbero vivendo un momento non proprio felice: secondo una recente indagine avviata dalla “Solicitors Regulation Authority”, circa il 50% di un campione di mille studi legali presenterebbe indicatori di difficoltà economica.
Una condizione, tornando ai legali italiani, destinata certamente ad aggravarsi sia a causa di una crisi senza segnali di controtendenza sia a causa dei parametri, approvati con il decreto ministeriale n. 140/2012, che hanno sostituito le abolite tariffe.
Basterebbe confrontare gli importi di una parcella media per una causa di valore sino ad € 25.000 liquidata con le tariffe del 2004 con quelli, invece, di una notula determinata con i compensi previsti dal suddetto decreto ministeriale per il medesimo scaglione, per constatare un abbattimento del 50%.
I nuovi parametri
I nuovi parametri, e gli aumenti previsti unitamente ad una più dettagliata individuazione dei procedimenti giudiziali (solo a titolo esemplificativo, lo schema di regolamento contempla specifiche tariffe per i procedimenti per convalida di sfratto o per quelli di istruzione preventiva e cautelari mentre il Dm n. 140/2012 stabilisce valori unici per tutti i giudizi di cognizione ordinaria, individuando solamente l’autorità giudiziaria adita e gli scaglioni di riferimento in base al valore della causa), dovrebbero complessivamente far migliorare le parcelle degli avvocati, anche se non consentirebbero di recuperare interamente i livelli delle tariffe del 2004.
Le novità non si fermano ad un aumento nominale dei compensi (comunque inferiore a quello proposto dal Cnf perché, si legge nella relazione di accompagnamento, “un tale incremento pare, invero, ingiustificato, sia sul piano tecnico, alla luce dei rilievi che il Consiglio di Stato aveva formulato con riferimento ad importi ben più contenuti, sia sul piano politico, alla luce della delicata congiuntura economica che sta attraversando il Paese per le inevitabili ricadute su altri settori e, quindi, sul tasso di inflazione”), ma concernono anche i criteri di determinazione degli stessi.
Al riguardo, ferma restando la previsione che i parametri non sono vincolanti neppure per il giudice che dovrà liquidare i compensi, lo schema di regolamento amplia e dettaglia gli aspetti di cui si dovrà tenere conto per calibrare l’onorario.
Debuttano le “condizioni soggettive del cliente”
Se il DM 140/2012 faceva riferimento al valore, alla natura ed alla complessità della controversia, al numero, all’importanza ed alla complessità delle questioni trattate anche in relazione alla urgenza, al pregio dell’opera prestata, al risultato del giudizio ed ai vantaggi, con il nuovo regolamento si dovranno considerare anche le “condizioni soggettive del cliente” e, per quanto concerne la difficoltà dell’affare, si dovrà tenere conto “dei contrasti giurisprudenziali e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente o con altri soggetti”.
Francamente, non è chiaro cosa intenda il Ministero con “condizioni soggettive del cliente” perché la relazione di accompagnamento non fornisce delucidazioni.
Tuttavia, se per condizioni soggettive del cliente si intendessero quelle finanziarie, l’inciso sarebbe davvero stravagante perché o il cliente ha diritto ad essere ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (con il già previsto dimezzamento dei compensi dell’avvocato), oppure no, ed il tal caso ogni valutazione sulle sue condizioni soggettive sarebbe ingiustificata.
Il “premio” per la conciliazione della controversia
Una certa enfasi ha accolto quella previsione dei nuovi parametri che stabilisce un aumento del compenso cui ha diritto l’avvocato nel caso in cui la controversia sia stata conciliata giudizialmente o sia stata transatta.
In effetti il regolamento chiarisce, in senso migliorativo, le modalità di determinazione dell’incremento già previsto dal DM 140/2012 perché il professionista avrebbe diritto non ad un compenso commisurato a quello corrispondente alla attività svolta secondo le singole fasi e maggiorato del 25%, bensì ad un “compenso aumentato fino ad un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta”.
Volendo chiarire il concetto con un esempio, se fosse rimasto inalterato il criterio di maggiorazione previsto dal Dm 140/2012, per una causa di tribunale di valore sino ad € 26.000, con le nuove tabelle, agli avvocati sarebbe spettato un compenso, ove la causa si fosse conciliata all’esito della fase istruttoria, di € 3.468,75; con il nuovo criterio, ai professionisti sarà liquidato un compenso di € 4.719,00.
La “soccombenza qualificata”
Costituisce una novità, invece, il comma 8 dell’art. 4, ai sensi del quale “il compenso liquidato giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino a un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate”.
La relazione di accompagnamento allo schema di regolamento la definisce come una ipotesi di “soccombenza qualificata”, la cui finalità sarebbe quella di scoraggiare le azioni processuali manifestamente destituite di fondamento.
Si tratta di una disposizione che farà molto discutere almeno per due ordini di motivi: innanzitutto perché sarebbe l’ennesimo intervento diretto a rendere ancor più difficoltoso l’accesso alla giustizia; in secondo luogo perché esula dalla materia riservata alla potestà regolamentare la introduzione di una nuova sanzione processuale, per la quale occorrerebbe una norma di rango primario.
(continua)
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