I presupposti che devono concorrere affinché il giudice conceda l’assegno di mantenimento sono sostanzialmente tre: la non addebitabilità della separazione al coniuge a cui favore viene disposto il mantenimento, la mancanza per il beneficiario di adeguati redditi propri, la sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi.
La nozione di reddito
Occorre concentrarsi su cosa il legislatore abbia inteso riferendosi al concetto di “reddito”. Certamente il termine reddito è stato utilizzato nella sua accezione più ampia. Il riferimento va, innanzitutto, al denaro ma si intendono comprese anche altre utilità differenti dal denaro, purché economicamente valutabili (Cassazione civile n. 19291/2005; Cassazione civile n. 4543/1998; Cassazione civile n. 961/1992). A titolo esemplificativo, il giudice dovrà tener conto anche dei beni immobili posseduti, sia dal punto di vista del valore implicito che essi hanno, sia dal punto di vista del ricavato di una eventuale locazione o vendita degli stessi; dei crediti esigibili di cui il coniuge obbligato sia ancora titolare; dei risparmi investiti o produttivi; della disponibilità della casa coniugale, dei titoli di credito, delle partecipazioni in società, della titolarità di aziende. La reale difficoltà nell’applicazione di questo articolo risiede nell’esigenza di trovare un parametro in base al quale valutare l’inadeguatezza dei redditi propri di un coniuge.
Il tenore di vita in costanza di matrimonio
Per molto tempo si è ritenuto che il fondamento per l’erogazione dell’assegno di mantenimento fosse la necessità di assicurare al coniuge beneficiario un tenore di vita pari o almeno simile a quello che possedeva in costanza di matrimonio. Una impostazione di tale tipo era soggetta a diverse critiche e perplessità.
Innanzitutto, la prima è di ordine logico – pratico: ben si sa che la convivenza ha riflessi economicamente positivi. Vi è, di fatti, la possibilità di ammortizzare le spese, di dividerle equamente. Il mantenimento di un determinato tenore di vita risulta certamente più facile se a contribuire alle casse del nucleo familiare vi sono due soggetti, con due stipendi che si cumulano.
Nel caso di separazione, certamente le spese aumentano: basti pensare alla necessità, per il coniuge che non benefici della casa coniugale, di cercarsi una nuova sistemazione, con le conseguenti spese per l’affitto e per la gestione dell’alloggio. È ovvio che, in una situazione di tale tipo, caratterizzata da un sicuro aumento delle spese, non sarà facilmente ipotizzabile la possibilità di mantenere lo stesso standard di vita che si aveva in regime di comunione. E questo vale sia per il coniuge obbligato che per il coniuge beneficiario. Se si accetta questa ricostruzione, non si può non notare come sarebbe eccessivamente penalizzante per il coniuge obbligato assicurare al coniuge beneficiario il medesimo stile di vita che si conduceva durante il matrimonio.
Inoltre, si devono considerare le ipotesi in cui i coniugi, in costanza di matrimonio, avevano un tenore di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità: anche in questa ipotesi sarebbe depenalizzante imporre al coniuge obbligato di assicurare che il coniuge beneficiario conservi il medesimo tenore di vita, proprio perché eccessivo.
Ancora, ben può accadere che i coniugi decidano di avere un tenore di vita ridotto, minore alle proprie potenzialità, per esempio investendo e risparmiando capitale; in questa ipotesi, la regola del mantenimento del medesimo tenore di vita suona quanto mai iniqua, in questo caso a sfavore del coniuge beneficiario (Cassazione civile n. 3490/1998).
Verificare i mezzi a disposizione di ciascuno
La giurisprudenza, in tempi recenti, ha provveduto a individuare un parametro di riferimento sicuramente più corretto: “il giudice di merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione” (Cassazione civile 12.06.2006 n. 13592).
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