Per chi è ai domiciliari anche recarsi nel portico del palazzo integra il reato di evasione, essendo un luogo dove è possibile incontrare altre persone. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 42819/2013, respingendo il ricorso di un uomo agli arresti per spaccio.
Secondo la Suprema corte dunque: “In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà”.
“Ne discende, entro tale prospettiva - continua la sentenza -, che il portico di uno stabile condominiale non può ritenersi di stretta pertinenza dell’abitazione privata ove l’imputato si trovi ristretto agii arresti domiciliari, poiché le stesse (su menzionate) esigenze applicative connesse ai regime cautelare o espiatorio degli arresti o della detenzione domiciliari risulterebbero senz’altro frustrate da un allontanamento del soggetto dallo spazio strettamente definito dalla sua abitazione, ovvero dalle sue immediate adiacenze (senza alcuna frattura spaziale), sia pure per recarsi per breve tempo in un luogo vicino, ma frequentabile da una generalità di persone e non certo raggiungibile in altro modo se non uscendo dal proprio alloggio”.
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