giovedì 3 marzo 2016

Codice appalti, via libera del governo: «Stop gare con il massimo ribasso»

Via libera al nuovo Codice degli appalti, con il primario obiettivo della semplificazione della normativa, della trasparenza e della qualità. Lo ha detto il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato il nuovo testo, «una corposa riforma che mira a rendere il sistema lavori pubblici finalmente all'altezza di un grande paese europeo». Il nuovo Codice recepisce il vecchio e tre direttive europee e passa da oltre 600 articoli e 1.500 commi a 217 articoli. Al centro del nuovo testo anche norme sulla qualità del progetto che deve garantire la certezza dell'opera, i suoi tempi e costi.
«Basta alle gare al massimo ribasso, la scelta coniuga prezzo e qualità», ha sottolineato Delrio, illustrando le novità principali del nuovo codice degli appalti. «Il tema delle concessioni per la prima volta è stato normato per legge e si stabilisce che il rischio operativo deve essere in carico al privato che non deve essere in grado di rientrare negli investimenti. Lo Stato non è obbligato al riequilibrio per forza». «Sembra banale - ha aggiunto - ma è una rivoluzione».
Nel codice degli appalti «c'è la scelta di superare la legge obiettivo: basta con le procedure straordinarie, si applica la rivoluzione della normalità», ha sottolinato ancora il ministro. Nel provvedimento «si richiama molto a una buona programmazione, le opere sono scelte sulla base della loro utilità, vengono inserite sulla base degli strumenti di programmazione. È una scelta molto chiara e forte, siamo contenti», sottolinea il ministro delle Infrastrutture.
Altri punti importanti del decreto saranno una forte attenzione alla programmazione degli interventi e alla trasparenza delle gare anche tramite procedure informatiche, la riduzione delle stazioni appaltanti, la semplificazione delle procedure, il nuovo ruolo dell'Anac. Il testo dovrà ora raccogliere i pareri delle Commissioni parlamentari, del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata, per avere poi il via libero definitivo entro il 18 aprile, termine per recepire le indicazioni di Bruxelles.
Il nuovo codice «rappresenta una piccola rivoluzione copernicana nel sistema degli appalti nel nostro paese», ha detto il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, al convegno 'La gestione del rischio nel settore delle costruzioni' organizzati dal Settore costruzioni Aicq. «Da sola - continua Cantone - una legge non è in grado di risolvere i problemi e anche questa legge non avrà un effetto salvifico ma alcune novità la porta, anche nel provare a evitare uno dei rischi principale degli appalti, il rischio di corruzione».​
Ecco alcuni dei punti principali del codice
CABINA DI REGIA: è l'Organo nazionale di riferimento per la cooperazione con la Commissione europea per quanto riguarda l'applicazione della normativa in materia di appalti pubblici e di concessioni.
OFFERTA ECONOMICAMENTE PIÙ VANTAGGIOSA: nel nuovo testo sarà abbandonato il criterio del massimo ribasso, resterà solo per le gare di importo più basso, in favore dell'offerta economica più vantaggiosa che permette di valutare anche la qualità dell'offerta e le garanzie offerte in termini sociali e ambientali.
PROGETTAZIONE: assume un ruolo fondamentale e si articola in tre livelli: progetto di fattibilità, progetto definitivo e progetto esecutivo. Questo dovrebbe limitare il numero di varianti di progetti e l'aumento di costi e tempi.
RUOLO ANAC: All'Autorità è affidato un ruolo centrale nella riforma con funzioni di controllo, monitoraggio ed anche capacità sanzionatorie nonchè di adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi e contratti tipo.
PUNTI CONTROVERSI: nelle bozze del testo sono presenti alcuni punti che preoccupano le parti sociali. I sindacati sono infatti sul piede di guerra per la norma che limita al 20% gli affidamenti in house per le concessioni autostradali, affermando che c'è il rischio di perdere 2 mila posti di lavoro, e hanno indetto uno sciopero per l'11 marzo. Dal punto di vista delle associazioni di categoria invece l'Ance, tramite il presidente Claudio De Albertis, indica come criticità la mancanza di una qualificazione unica tramite Soa obbligatoria per le gare sopra i 150 mila euro e non il milione di euro, il pagamento diretto ai sub-appaltatori e la mancanza di un sistema anti-turbativa per le gare sotto soglia. Per gli ingegneri, per bocca del Presidente di Fondazione Inarcassa Andrea Tomasi, invece «la  entralità del progetto, espressamente valorizzata nella legge di delega, non ha trovato adeguato sviluppo nel codice». Mentre l'Oice, l'associazione delle società di architettura e ingegneria, invita a fare molta attenzione «alla disciplina transitoria che, se applicata male, rischia di bloccare il settore».

L'omicidio stradale è legge

L’introduzione dei reati di omicidio colposo stradale e di lesioni colpose stradali è avvenuta sulla spinta di un’opinione pubblica allarmata dalla pubblicità data a gravi incidenti (forse in passato passati sotto silenzio) e dalla sensazione di condanne non adeguate alla dimensione del fenomeno ma ha suscitato perplessità nell’ambiente giuridico. Pur comprendendo la rilevanza di alcune critiche va detto che la giurisprudenza ha tirato la volata alla nuova legge neutralizzando l’utilizzabilità del reato di omicidio doloso (sotto il profilo del dolo eventuale), che consentirebbe di stigmatizzare con pene adeguate vicende gravissime come quella evocata nell’editoriale.
Di seguito l’articolo del Prof. Paolo Pisa, pubblicato su Diritto Penale e Processo, 2/2016, 145-147. Ricordiamo che ieri il Senato ha approvato, in via definitiva e con 149 voti favorevoli, 3 contrari e 15 astenuti, il provvedimento di introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali (ddl n. 859-1357-1378-1484-1553-D).

Una riforma mediaticamente ispirata
Il tormentato iter del disegno di legge volto ad introdurre come figure autonome di reato l’omicidio stradale e le lesioni stradali (gravi e gravissime) è entrato nella fase finale, anche se un marginale emendamento ha impedito l’approvazione definitiva e ha reso necessario un ulteriore passaggio parlamentare.
Le linee generali della riforma sono così sintetizzabili: viene introdotto nel codice penale l’art. 589 bis, che punisce nel comma 1 chi cagiona per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale; a questa figura generale (punita con la reclusione da due a sette anni) si affiancano fattispecie specifiche caratterizzate dal (grave) stato di ebbrezza alcolica o dall’alterazione conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti (comma 2: reclusione da otto a dodici anni) o dal superamento significativo dei limiti di velocità, dall’inosservanza del semaforo rosso, dalla guida contromano o altre manovre pericolose (ulteriormente indicate nel comma 5: reclusione da cinque a dieci anni). Qualora venga cagionata la morte di più persone, a seguito delle predette violazioni, la pena è aumentata fino al triplo entro il limite massimo di diciotto anni (art. 589 bis, ultimo comma).
L’art. 590 bis costruisce, simmetricamente alla disciplina dell’omicidio stradale, il reato di lesioni colpose gravi o gravissime (con pene ovviamente più elevate rispetto a quanto previsto dall’art. 590 c.p.). Completano il nuovo quadro la previsione della “fuga” dopo l’incidente (con aumento della pena “da un terzo a due terzi”, comunque non inferiore a cinque anni in caso di incidente mortale, o a tre anni in caso di lesioni gravi o gravissime), norme processuali (concernenti tra l’altro l’arresto in flagranza) e sensibili inasprimenti in tema di revoca o sospensione della patente di guida.
L’esegesi puntuale delle nuove norme verrà sviluppata in altra parte della rivista; in questa sede si intende proporre una riflessione complessiva.
È indubbio che la riforma abbia subito forti pressioni mediatiche, alimentate da episodi di cronaca indubbiamente gravi, seguiti da condanne a torto o a ragione ritenute troppo miti e non sufficientemente dissuasive. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, un peso non trascurabile potrebbero averlo avuto le oscillazioni giurisprudenziali manifestatesi, in questi ultimi anni, nella qualificazione giuridica di incidenti stradali di elevata gravità.
Le incertezze della giurisprudenza nella qualificazione degl incidenti più gravi in termini di omicidio doloso
Come è noto, per lungo tempo la causazione per colpa di morte o lesioni nel contesto di sinistri stradali ha trovato collocazione pressoché esclusiva nello schema dell’omicidio colposo o delle lesioni colpose, sanzionati con pene modeste, anche alla luce della neutralizzabilità (fino al 2008) delle aggravanti specifiche nell’ambito del giudizio di bilanciamento con circostanze attenuanti (magari le generiche). Negli ultimi anni - come abbiamo documentato in altra sede (P. Pisa, Incidenti stradali e dolo eventuale: l’evoluzione della giurisprudenza, in questa Rivista, Speciale Dolo e colpa negli incidenti stradali, 2011, 13 ss.) - si era invece profilata una visione più articolata: alcune vicende particolarmente gravi erano state ricondotte all’omicidio o alle lesioni dolose valorizzando la figura del dolo eventuale. Ricordiamo la morte causata dal conducente di un tir a seguito di una vietata inversione di marcia e fuga condotta con l’auto della vittima incastrata sotto il rimorchio (Cass., Sez. fer., 31 ottobre 2008, n. 40878, in Riv. pen., 2009, 171), oppure la morte provocata dal guidatore di un grosso furgone dopo ripetuti attraversamenti di incroci con semaforo rosso per sfuggire alla polizia.
Dopo qualche esitazione la stessa Corte di cassazione (Cass., Sez. I, 15 marzo 2011, n.10411) ritenne plausibile l’inquadramento nell’omicidio doloso alla luce della tradizionale ricostruzione del dolo eventuale. Il nuovo trendgiurisprudenziale consentiva, in effetti, di selezionare alcuni (pochi) comportamenti di rilevantissima gravità lasciando alla disciplina ordinaria degli artt. 589 e 590 la stragrande maggioranza degli incidenti stradali, per i quali il legislatore aveva nel frattempo irrigidito le sanzioni (anche con la parziale inapplicabilità del bilanciamento delle circostanze).
In questo panorama la proposta, proveniente da più parti, di dar vita ad un autonomo reato di omicidio stradale poteva apparire quasi superflua e perfino controproducente in quanto lo schema semplificato di un delitto colposo pesantemente sanzionato può indurre pubblici ministeri e giudici, magari inconsciamente, ad accontentarsi del nuovo reato evitando la strada più complicata della prova del dolo eventuale. Anche chi scrive ha nutrito inizialmente forti perplessità sull’opportunità di enfatizzare un reato colposo speciale alla luce dell’articolato sistema offerto dal codice penale di cui la giurisprudenza si era finalmente accorta.
Senonché una recente offensiva condotta da parte della dottrina nei confronti del dolo eventuale è penetrata nella giurisprudenza mutando il quadro di riferimento. La riesumazione della discutibile “formula di Frank”, che rende ultradiabolica la prova del dolo eventuale, sta portando a mio avviso ad un’abrogazione per via giurisprudenziale del dolo eventuale. Le prime avvisaglie, individuabili nella pur condivisibile sentenza delle Sezioni Unite in tema di ricettazione, si sono materializzate nella decisione sul caso Thyssenkrupp; e di recente la nuova linea interpretativa si è riflessa anche nella giurisprudenza concernente incidenti stradali (Cass., Sez. I, 11 marzo 2015, n.18220, in www.iusexplorer.it).
La vicenda a cui stiamo facendo riferimento è particolarmente istruttiva. Un soggetto alla guida di un Suv, con tasso alcolemico fuori norma ma con buone capacità di governo del veicolo, dopo aver percorso l’autostrada A26 dalla Riviera ligure ad Alessandria, si reimmette contromano nella stessa autostrada e la percorre per molti chilometri, in presenza di traffico significativo (ora notturna ma alla vigilia del ferragosto), ignorando segnali coi fari ed acustici degli automobilisti che incontra: alla fine ha una collisione quasi frontale con altra auto con conseguente morte di quattro giovani (il guidatore del Suv rimane illeso). Il caso viene qualificato come omicidio con dolo eventuale da parte del G.I.P., del Tribunale del riesame e della Corte di cassazione in sede di valutazione del provvedimento cautelare (custodia in carcere); in primo grado il G.U.P. competente condanna a venti anni di reclusione (con l’abbreviato), decisione confermata dalla Corte di Assise d’appello di Torino, sempre per omicidio con dolo eventuale.
In Cassazione, tuttavia, la sentenza è annullata: richiamato l’ossequio alla “formula di Frank” evocata dalle Sezioni Unite nel caso Thyssenkrupp i giudici della I sezione affermano che “non sembra che, nel caso di specie, i giudici di merito … abbiano risposto al quesito fondamentale …consistente nel comprendere se (l’imputato) …procedeva contromano inconsapevolmente, per effetto dello stato di alterazione alcolica nella quale versava; procedeva contromano consapevolmente, prevedendo l’evento mortale che correva e accettandolo …ovvero procedeva contromano, consapevolmente, prevedendo l’evento rischioso che poteva correre con il suo comportamento, ma non accettandolo”; inoltre i giudici di appello non avrebbero spiegato “le ragioni che avrebbero indotto (l’imputato) a effettuare un’inversione di marcia repentina, dopo aver oltrepassato l’uscita” dall’autostrada (in realtà il movente appare irrilevante alla luce dell’evidente percezione di guidare contromano per molti chilometri incontrando numerosi veicoli provenienti dalla direzione opposta); infine sarebbe stata trascurata “la circostanza che il ricorrente, al momento del sinistro, versava in stato di ebbrezza alcolica”, atteso che “nella ricostruzione dei fatti delittuosi non era possibile ignorare gli effetti che lo stato di ebbrezza avrebbe potuto provocare nel processo di determinazione” dell’imputato e “non veniva precisato se e in quale misura lo stato di alterazione alcolica …avesse influito sulle sue condizioni psichiche, tenuto conto del processo di determinazione volitiva sotteso al delitto contestato”; non si possono ignorare, secondo la sentenza, “gli effetti che tale stato di alterazione psichica …era idoneo a produrre sui processi rappresentativi e volitivi del ricorrente”.
Una serie di argomentazioni discutibili (che finiscono per privilegiare gli autori di omicidi pesantemente ubriachi e sotto forte effetto di droghe): tanto discutibili che non sembrano aver persuaso i giudici chiamati in causa dall’annullamento con rinvio; la Corte d’Assise d’Appello di Torino (sezione diversa da quella della condanna annullata) ha infatti ribadito il 20 gennaio la qualificazione della vicenda quale omicidio doloso ed ha condannato l’imputato a diciotto anni e quattro mesi. Naturalmente la sentenza verrà impugnata dalla difesa ed avremo un nuovo round in Cassazione.
Conclusioni
Certo che se gli standards probatori del dolo eventuale continuassero ad essere quelli delineati dalla sentenza del 2015 la conclusione, ad avviso di chi scrive, sarebbe probabilmente la seguente: negli incidenti stradali il dolo eventuale è pressoché indimostrabile, soprattutto di fronte ad un guidatore ubriaco o sotto l’effetto di stupefacenti, e a questo punto andrebbe rivalutata la scelta del legislatore di costruire un “omicidio stradale” a prova semplificata, lasciando fuori il dolo eventuale; il livello della pena sarà più contenuto ma si tratta pur sempre della reclusione con massimi di dieci/dodici anni, elevabili a diciotto anni in presenza di pluralità di vittime; se poi il responsabile si dà alla fuga è assicurato un supplemento di almeno cinque anni (aumento “blindato” dall’art. 590 quater). Per le lesioni gravi o gravissime il nuovo quadro sanzionatorio è ovviamente meno rigoroso ma non lontano comunque dalle pene per le lesioni dolose (si noti che le aggravanti dell’art. 583 c.p. sono suscettibili di bilanciamento, a differenza della fattispecie “stradale” colposa).
È difficile per ora prevedere se il legislatore si fermerà qui o se assisteremo, sotto nuove pressioni mediatiche, al varo di ulteriori figure specifiche di omicidio colposo (“industriale”, “ecologico”, “sportivo” e così via), accompagnate da analoghe fattispecie di lesioni gravi o gravissime. Appare sicuro, invece, qualche eccesso sanzionatorio per i casi meno gravi: basta rileggere separatamente alcune delle ipotesi previste dal comma 5 del nuovo art. 589 bis e collocarle in contesti particolari.
Può darsi che i limiti alla discrezionalità giudiziale vengano sottoposti all’attenzione della Corte costituzionale ma non è agevole prefigurare l’esito di eccezioni di incostituzionalità. Comunque l’appiattimento di casi molto diversi nello schema dell’omicidio colposo stradale non è risultato soddisfacente ed è quindi augurabile che non sia precluso, sia pure in vicende gravissime, l’inquadramento nell’ambito dell’omicidio doloso, rimandando in soffitta la formula di Frank.

Per leggere il ddl clicca qui: 859-1357-1378-1484-1553-D 1..12

Fonte: www.quotidianogiuridico.it

mercoledì 2 marzo 2016

Canone Rai, l'Agenzia delle Entrate: i comuni dovranno inviare i dati delle famiglie anagrafiche

Al fine di evitare errori e duplicazioni nell'addebito del canone Rai "assume cruciale importanza la corretta individuazione della famiglia anagrafica che costituisce di fatto il soggetto passivo del tributo". Ma "allo stato attuale, in attesa della costituzione della nuova Anagrafe nazionale della popolazione residente, l'individuazione della famiglia anagrafica risulta particolarmente complessa".

Lo sostiene l'Agenzia delle Entrate in un'audizione alla Camera spiegando che per superare questo scoglio il decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, in corso di emanazione, dovrà prevedere che i Comuni siano tenuti a trasmettere all'Agenzia delle Entrate (Direzione provinciale I di Torino - Sportello SAT), i dati relativi alle famiglie anagrafiche, tenute a pagare il canone Rai, come prevede la legge di Stabilità 2016.

"Sarà, quindi, necessario che l'Agenzia delle entrate trasmetta alle imprese elettriche, per il tramite di Acquirente unico, le informazioni relative ai soggetti che risultano aver presentato la dichiarazione di non detenzione di apparecchi televisivi, con le relative decorrenze, nonché i dati relativi ai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica nei cui confronti non si deve procedere all'addebito in quanto il pagamento è stato già effettuato con altre modalità (ad esempio trattenuta sulla pensione) oppure perché almeno uno dei componenti della famiglia risulta esente dal pagamento per effetto di Convenzioni internazionali - è il caso, ad esempio, degli appartenenti alle forze armate Nato o degli agenti diplomatici - o perché in possesso di altri requisiti previsti per legge".

Inoltre, tutti gli scambi di informazioni tra l'Agenzia delle entrate e l'Acquirente Unico spa dovranno essere regolati secondo modalità e contenuti definiti di comune intesa. Sarà, infine, necessario prevedere forme di rendicontazione delle operazioni effettuate da parte delle imprese elettriche all'Agenzia delle Entrate. Tali informazioni saranno utilizzate per verificare il corretto versamento del canone da parte dei contribuenti e procedere alle eventuali azioni di recupero, nonché per verificare il corretto addebito del canone e riversamento delle somme riscosse da parte delle imprese elettriche.

fonte: www.italiaoggi.it//Canone Rai, l'Agenzia delle Entrate: i comuni dovranno inviare i dati delle famiglie anagrafiche - News - Italiaoggi

martedì 1 marzo 2016

Divorzio in Comune anche per procura: non serve la presenza fisica di entrambi i coniugi

L’Ufficiale di Stato Civile non può rifiutarsi di ratificare gli accordi dei coniugi ex art. 12 d.l. n. 132 del 2014 con la relativa annotazione, anche quando una parte sia rappresentata da un procuratore speciale.

Il Tribunale di Milano, adìto da una coppia di coniugi alla l’Ufficiale di Stato Civile aveva negato l’annotazione dell’accordo divorzile ex art. 12, d.l. 132 del 2014, a causa della mancata presenza fisica di entrambe le parti, come previsto dalla legge di conversione n. 162 del 2014, ha ritenuto che l’iter azionato dai coniugi non sia stato inficiato dalla presenza di un procuratore speciale in sostituzione del rappresentato e, per l’effetto, ha ordinato all’Ufficiale di Stato Civile di dare corso al procedimento per lo scioglimento del matrimonio.
La decisione del Tribunale. I giudici ambrosiani sono stati investiti di una questione che non ha ancora precedenti di merito nel nostro ordinamento e che riguarda l’applicazione della legge 132 del 2014 in materia di “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.
Nel caso in esame due coniugi hanno azionato l’art. 12 della legge predetta per ottenere lo scioglimento del matrimonio secondo la procedura semplificata ivi prevista. L’assenza fisica di uno dei coniugi (residente nella Repubblica Popolare cinese) sostituito da un procuratore speciale - seppur munito di regolare procura - ha però impedito l’annotazione del divorzio a causa del rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile di procedere ai relativi incombenti.
A tale negazione ha fatto seguito il ricorso depositato dal coniuge e dal procuratore speciale i quali instavano il Tribunale di Milano ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 98 c.c., disciplinante l’azione contro il rifiuto dell’Ufficiale di stato civile che non crede di poter procedere alla pubblicazione ante matrimonio. La norma citata riguarda esclusivamente la formalità dell’affissione nella casa comunale dell’atto preliminare al matrimonio e non può trovare applicazione, nemmeno analogica, al caso in esamecome correttamente motivato dal Collegio.
A questo punto i giudici, per uscire dall’impasse venutosi a creare, identificano d’ufficio la normativa applicabile al caso di specie, ovvero gli artt. 95 e 96 D.P.R. 396/2000 afferenti il generale regime impugnatorio del “rifiuto dell’ufficiale dello Stato Civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione”. La domanda proposta dai ricorrenti, per l’effetto, viene riqualificata come ricorso avverso il rifiuto opposto dall’ufficiale di Stato Civile a ricevere le dichiarazioni di cui all’art. 12 d.l. 132 del 2014, donde la procedura in camera di consiglio dalla quale è scaturito il provvedimento in esame avente natura di decreto motivato.
Per meglio comprendere la vicenda e la sua necessaria contestualizzazione nel nostro ordinamento giuridico, appare imprescindibile volgere un rapido sguardo alla ratio che ha ispirato il d.l. 132/2014, evincibile con chiarezza dalla relazione illustrativa all’originario progetto di legge. L’obiettivo del decreto legge, poi convertito, con modifiche, in legge 162/2014, era dichiaratamente quello di degiurisdizionalizzare i procedimenti di separazione e divorzio (oltre a quelli ad essi afferenti) con l’evidente scopo di semplificare la procedura classica evitando di dover adire l’autorità giudiziaria in taluni specifici casi, dettagliatamente previsti e descritti.
L’art. 12 prevede infatti la possibilità per i coniugi di separarsi e di divorziare (oltre a modificare le condizioni di separazione o di divorzio) direttamente davanti al Sindaco, ovvero al delegato Ufficiale di Stato Civile, affinché, con una mera dichiarazione da ripetersi in due incontri, le parti possono ottenere l’annotazione/trascrizione della separazione, dello scioglimento del matrimonio o dell’annullamento degli effetti civili del matrimonio o delle relative modifiche.
Compresa la finalità pratica della norma, ritorniamo al caso sottoposto all’esame del Tribunale di Milano, vale a dire se sia possibile perfezionare validamente un accordo di separazione o divorzio ex art. 12 d.l. 132/2014 in mancanza della presenza fisica di un delle parti, sostituita da un procuratore speciale all’uopo delegato.
L’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano (ma immaginiamo sia capitato in molti altre città), a fronte della lapalissiana previsione legislativa non ha avuto dubbi interpretativi: la mancata comparizione personale di ambedue le parti (come prevede la norma) ha interrotto ed impedito il perfezionamento del c.d. divorzio semplificato, ingenerando l’immediata impugnazione del diniego (anch’essa non senza problemi sotto un profilo prettamente procedurale).
La IX Sezione civile del Tribunale di Milano alla fine ha, comunque, potuto prendere posizione su una questione che sta creando non poche perplessità negli operatori, muovendo dalla evidente discrasia venutasi irragionevolmente a creare tra i procedimenti giudiziali e quelli c.d. “semplificati”.
Gli snodi argomentativi del tribunale muovono dalla constatazione che se le parti possono validamente separarsi o divorziare avanti all’Autorità giudiziaria anche qualora siano rappresentati da un procuratore speciale, perché non possono fare altrettanto nell’ambito della procedura de quo, tesa proprio alla semplificazione e alla degiurisdizionalizzazione? Partendo dai paralleli procedimenti giudiziali in materia di diritto di famiglia, i giudici evidenziano come nel nostro ordinamento sia espressamente previsto, dall’art. 111, 2° co., c.c., il c.d. “matrimonio per procura” ove – nel caso in cui uno dei nubendi risieda all’estero – la formazione dell’unione matrimoniale è ammissibile anche a mezzo di procuratore speciale.
Negli stessi termini la procedura per la disgregazione del vincolo è ammessa per rappresentanza dall’art. 4, legge n. 898 del 1970 laddove al 7° comma richiede la presenza delle parti “salvo gravi e comprovati motivi”, non precludendo con ciò la rappresentanza a mezzo di procuratore speciale.
Se una prima chiave risolutiva trova scaturigine sul piano logico-sistematico mediante il parallelo con la procedura giudiziale di divorzio, un secondo approdo interpretativo lo si può rinvenire nella ratio della normativa, la cui finalità è quella di “garantire procedura alternative al servizio pubblico Giustizia, istituendo delle misure semplificate tese ad incrementare il tasso di degiurisdizionalizzazione”. Logico corollario è la necessità che “le procedure ‘altre’ devono munire gli utenti del servizio delle stesse possibilità di agire che verrebbero loro riconosciute mediante il modulo giusisdizionalizzato; altrimenti (…) si assisterebbe a un percorso alternativo diverso e di qualità inferiore” con l’effetto di disincentivare il ricorso alle procedure semplificate piuttosto che favorirlo.
Non si può dimenticare come la finalità della normativa sia proprio quella di diminuire il carico giudiziale dell’apparato giustizia e, dunque, le procedure ivi previste “devono distinguersi per la ‘semplificazione’ e coerentemente con gli scopi del d.l. 132 del 2014, devono dunque consentire un maggiore ricorso agli strumenti alternativi piuttosto che irrigidirne l’accesso”.
Sulla scorta di ciò il Tribunale, in totale adesione alle argomentazioni espresse dalla Procura della Repubblica - alla quale era stato richiesto un preliminare parere – ha coniato un principio che fungerà da “apri-pista” in tutti i Comuni italiani per cui i coniugi possono avvalersi della rappresentanza di un procuratore speciale per svolgere tutte le azioni previste dall’art. 12 del d.l. 132 del 2014.

Per leggere il provvedimento clicca qui: Microsoft Word - Trib Milano 16 Accordi semplificati Sindaco dl 132 2014 Procura Speciale