sabato 25 febbraio 2017

Non bastano 22 sanzioni disciplinari per il licenziamento

Rimesso in discussione l’esonero deciso da un’azienda di trasporto pubblico nei confronti di un suo autista. Necessario valutare con attenzione il comportamento tenuto dal dipendente. Insufficiente il richiamo alle numerose sanzioni.
Sanzioni disciplinari a ripetizione per il lavoratore, autista per una ditta di trasporto pubblico: ben 22 in appena 3 anni. Tale dato, però, non è sufficiente per parlare di scarso rendimento. Messo così in discussione il licenziamento deciso dalla società (Cassazione, sentenza n. 3855/2017).
Scarso rendimento. Diversi i comportamenti del dipendente censurati dall’azienda. Nello specifico, si parla di «ritardi, anche di notevole entità, nel prendere servizio; mancato rispetto degli orari di partenza e di marcia dei mezzi di servizio condotti; mancata effettuazione delle fermate di servizio; inottemperanza a disposizioni aziendali; omessa giustificazione di assenze». Consequenziale, nell’ottica societaria, è l’«esonero» dell’autista per «scarso rendimento».
Il provvedimento aziendale è ritenuto corretto in Appello. Ciò perché «lo scarso rendimento che giustifica l’esonero definitivo dal servizio può essere integrato dal cumulo di infrazioni disciplinari pregresse».
Sanzioni. Per i Giudici, in sostanza, il lavoratore si è reso colpevole di una «grave inadempienza», sotto il «profilo qualitativo», ai «doveri di diligenza, puntualità e responsabilità relativi alle mansioni», mettendo in pratica comportamenti risultati «pregiudizievoli per il regolare svolgimento del servizio di trasporto pubblico».
Meno certezza, invece, esprimono i magistrati della Cassazione. A loro avviso, difatti, non si può parlare di «scarso rendimento» alla luce del «cumulo di sanzioni disciplinari subite dal dipendente».
Necessario perciò un nuovo esame della condotta tenuta dall’autista, prima di pronunciarsi sulla legittimità dell’«esonero» deciso dall’azienda.

Fonte :www.dirittoegiustizia.it/Non bastano 22 sanzioni disciplinari per il licenziamento - La Stampa

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