domenica 19 giugno 2016

Avvocato perde la causa: il cliente non vanta alcun diritto ad essere risarcito

L'avvocato può essere ritenuto responsabile, nei confronti del proprio cliente, soltanto se abbia violato il canone della diligenza professionale media, prescritto al secondo comma dell'articolo 1176 del codice civile. Questo il dictum ribadito dalla III sezione civile della Cassazione, nella sentenza n. 11906 depositata il 10 giugno scorso. Colui che intraprende una causa giudiziaria, infatti, deve essere edotto della circostanza che dalla stessa può derivare un esito positivo, nella stessa misura in cui può verificarsi un esito infausto. Per il collegio romano il difensore risponde nei confronti del proprio cliente nell'ipotesi in cui la condotta, nel gestire il mandato difensivo, sia stata contrassegnata da incuranza o indifferenza, ovvero abbia manifestato di non conoscere le regole giuridiche. L'imperizia, tuttavia, non sarà ravvisabile qualora si riscontrino pareri divergenti per quanto concerne le opzioni strategiche e difensive da adottare nell'effettiva gestione processuale.
Un uomo conveniva in giudizio un avvocato, deducendone l'inadempimento al mandato che gli aveva conferito in una controversia civile. Deduceva che, a causa dell'introduzione di una nuova domanda e della mancata proposizione dell'appello incidentale, siffatta domanda, accolta in primo grado, era stata invece ritenuta come "nuova" in secondo grado. Per tale motivo la Corte territoriale, accogliendo il gravame della controparte, aveva rigettato le istanze formulate nell'originario atto di citazione.
Ritenendo sussistente la responsabilità professionale del proprio difensore, l'attore ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno subito. Nei due gradi di merito il cliente si vede negare le proprie ragioni. Adisce quindi i giudici di piazza Cavour che confermano le tesi dei colleghi. Secondo il ricorrente, avrebbe errato la Corte d'Appello ad escludere la colpa professionale, senza considerare che la controversia tra il cliente e l'originaria controparte era di semplice soluzione, che la proposizione irrituale di domanda nuova costituirebbe "errore grave derivante da colpa gravissima", che l'omessa proposizione di appello incidentale rivelerebbe "una condotta colposa giuridicamente rilevante e sanzionabile con responsabilità professionale".
La Cassazione ribadisce che la giurisprudenza, ormai consolidata, ha affermato che la responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione risulta di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'articolo 1176, comma II, c.c. da commisurare alla natura dell'attività esercitata, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente (ex multis Cass. n. 10289/15) ed inoltre che l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli articoli 2236 e 1176 c.c., in ipotesi di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle fattispecie di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa detta responsabilità, tranne nel caso ove risulti che abbia agito con dolo o colpa grave.
Pertanto, l'inadempimento del professionista non può essere desunto dall'omesso raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, bensì soltanto dalla violazione del dovere di diligenza commisurato alla natura dell'attività esercitata, ragione per la quale l'affermazione della responsabilità implica l'indagine circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di un differente operato sarebbero stati maggiormente vantaggiosi per il cliente (cfr. Cass. n. 16846/05).
L'imperizia dà luogo alla responsabilità per colpa, soltanto quando il legale mostri di non conoscere o violi precise norme di legge, ovvero sbagli nel risolvere questioni giuridiche la cui soluzione non presenti alcun margine di opinabilità. Quanto alla scelta della strategia processuale, la sua adeguatezza o meno a raggiungere il risultato perseguito dal cliente non può essere valutata ex post, a seconda dell'esito del giudizio, bensì unicamente ex ante.
Gli ulteriori motivi formulati dal cliente, ripropongono, in sede di legittimità, questioni di diritto già sollevate nell'ambito del procedimento civile ove si svolse il mandato professionale.
La Cassazione precisa che il giudizio su tali questioni risulta riservato al giudice di merito che, nel procedervi, pur muovendosi su un piano necessariamente tecnico, e non di accertamento di fatti storici, non è tuttavia chiamato a risolvere nuovamente le medesime questioni agitate nel giudizio nel quale l'avvocato ha svolto il mandato che si assume negligente, ma soltanto a verificare che l'opzione difensiva adottata, nel caso di specie, avesse tenuto conto delle norme di legge applicabili ed, in caso di opinabilità, fosse comunque plausibile, alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali invocati a sostegno. Il controllo rimesso alla Cassazione sulla spiegata attività valutativa del giudice del merito non ha per oggetto la soluzione in termini giuridici delle questioni poste alla sua attenzione (cfr. Cass. n. 3355/14), bensì soltanto la circostanza che il giudice si sia occupato degli addebiti mossi all'avvocato, nonché la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito per escludere, ovvero affermare, la violazione dell'obbligo di diligenza media.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Avvocato perde la causa: il cliente non vanta alcun diritto ad essere risarcito

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