giovedì 14 gennaio 2016

Equitalia condannata se insiste in una pretesa infondata

Lite temeraria a carico dell’esattore che insiste nella sua pretesa della quale, sulla base dei documenti in suo possesso, è manifesta l’infondatezza. Così ha stabilito la Cassazione ai danni di Equitalia con l’ordinanza del 22 dicembre 2015, n. 25852.

Nei fatti di causa, già il Tribunale di Torino aveva respinto l’opposizione proposta da Equitalia per ottenere l’ammissione allo stato passivo del Fallimento di una S.r.l. di crediti erariali insinuati con due distinte domande tardive. Secondo il Tribunale, infatti, Equitalia aveva già chiesto ed ottenuto l’ammissione dei crediti in parola grazie ad un’altra domanda di insinuazione tardiva, di cui le due precedenti costituivano pertanto una “mera ed inammissibile duplicazione”. Inoltre, sempre secondo il Tribunale, Equitalia versava in una “colpa grave” per non aver verificato la correttezza del provvedimento di esclusione dei crediti: per questo, l’Ente della riscossione, oltre alle spese di lite, era stato condannato anche al pagamento della somma di 4mila euro. La decisione del Tribunale veniva nuovamente impugnata da Equitalia, questa volta davanti alla Cassazione.

E così si arriva alla pronuncia del 22 dicembre dei Giudici di Roma che, senza usare clemenza, hanno condannando Equitalia a pagare i 4mila euro precedentemente liquidati dal Tribunale. Su Equitalia grava un grave abuso: aver insistito per l’accoglimento della propria pretesa laddove poteva rendersi conto della sua infondatezza semplicemente osservando i dati in suo possesso. La Cassazione ha affermato: “Non v’è alcuna norma [...] dalla quale possa desumersi l’obbligo dell’agente (Equitalia) di impugnare il provvedimento di esclusione del credito e di insistere per l’accoglimento di una domanda della quale, sulla scorta dei documenti che sono in suo possesso, può agevolmente verificare la manifesta infondatezza”. 

Fonte: Fiscopiù//Equitalia condannata se insiste in una pretesa infondata - La Stampa

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