mercoledì 30 dicembre 2015

Condannato il gestore di un residence che stacca la corrente al condominio debitore

Il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell’effettivo titolare (Cassazione, sentenza 47276/15).

Il caso

La Corte d’appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Cuneo che aveva dichiarato l’imputato responsabile del delitto di cui all’art. 392 c.p., in quanto, in qualità di gestore di un residence, aveva disattivato la derivazione della corrente elettrica verso l’unità abitativa di un condominio che non aveva provveduto al pagamento delle utenze condominiali.

Secondo i giudici del gravame, l’imputato, anche se non fosse il rappresentante della società che amministrava il condominio, doveva considerarsi il gestore di quest’ultimo, essendo emerso che agiva sempre per conto della suddetta società. Anche per i Giudici di legittimità, nel caso in esame, la circostanza che l’imputato abbia eseguito decisioni e direttive del titolare del diritto non esclude affatto di per sé la punibilità dell’agente, in quanto, secondo costante giurisprudenza, «il soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell’effettivo titolare». Sul punto, la sentenza impugnata aveva correttamente affermato che dalle deposizioni testimoniali era emerso che l’imputato si era occupato da sempre della riscossione, per conto della società, della quote condominiali (tra le quali quelle dell’energia elettrica). Pertanto, osservano i Giudici, quando l’imputato ha staccato la corrente elettrica era consapevole di agire per esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa competesse alla società. Ed è per tale ragione che la Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, ribadisce il principio in base al quale «il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 392 c.p., richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sé pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Condannato il gestore di un residence che stacca la corrente al condominio debitore - La Stampa

Testo fotocopiato e messo in vendita: condanna per il titolare della copisteria

Fotocopie a raffica. Riprodotte ben trenta opere letterarie, destinate alla didattica. Sanzione inevitabile per il titolare della copisteria. Non è proponibile la linea difensiva dell’uomo: irrilevante il fatto che il costo di ogni singola opera in vendita fosse pari al costo complessivo delle fotocopie totali eseguite (Cassazione, sentenza 47590/15).

Il caso

Nessuna discussione sulla condotta del titolare della copisteria. Acclarato che egli ha «riprodotto, a fine di lucro, in copie fotostatiche trenta opere letterarie complete». Di conseguenza, è inevitabile, per i giudici di merito, la condanna per la violazione della normativa sul diritto d’autore. Secondo il legale del commerciante, però, va tenuto presente che, nonostante la «abusività della duplicazione», è mancato completamente il «lucro». Ciò perché «le opere erano poste in vendita ad un prezzo che non superava il costo ordinario del numero delle fotocopie eseguite per la riproduzione dell’opera». Invece, sempre ragionando in ottica difensiva, «il fine di lucro sarebbe stato evidenziabile» solo laddove il commerciante «avesse praticato, in ragione del contenuto della fotocopia, trattandosi di opera coperta dal diritto d’autore, un sovrapprezzo ulteriore rispetto all’ordinario costo della fotocopia».

Ma l’obiezione proposta dal legale si rivela inutile. Per i giudici della Cassazione, difatti, è non discutibile la condanna nei confronti del titolare della copisteria. In premessa, viene ribadita la «natura abusiva della duplicazione delle opere», alla luce della mancanza del «cosiddetto ‘bollino Siae’». Subito dopo, però, i magistrati respingono anche l’ipotesi della assenza di «lucro» nella condotta del commerciante, soprattutto perché è evidente la «destinazione alla vendita» dei «volumi indebitamente riprodotti». Peraltro, anche se «il prezzo di vendita fosse stato prossimo o anche coincidente con quello praticato per il mero servizio di fotocopiatura», aggiungono i giudici, comunque la «finalità commerciale» sarebbe stata sufficiente per desumere il «fine di lucro» che non va identificato come «una sorta di plusvalenza rispetto al prezzo di mercato dell’altro analogo servizio» di fotocopiatura «svolto lecitamente».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Testo fotocopiato e messo in vendita: condanna per il titolare della copisteria - La Stampa

Revoca patente: è incidente anche la collisione con un veicolo in sosta

In relazione alla revoca della patente, è da considerare incidente anche la collisione con un veicolo in sosta. Per la sentenza n. 49352/2015 della Suprema Corte va disposta la revoca della patente di guida nel caso in cui il conducente in stato di intossicazione alcolica abbia provocato un sinistro stradale, nella cui nozione, da interpretare in senso ampio, rientra qualsiasi collisione e anche un lieve tamponamento, lungo la traiettoria di marcia, con un veicolo in sosta.

È sufficiente anche il lieve tamponamento con un’auto in sosta a determinare la revoca della patente di guida, nel caso in cui il conducente venga sorpreso a circolare con un tasso alcolemico superiore alla soglia legalmente consentita.
Ad affermarlo è la Quarta Sezione della Suprema Corte, che, per la risoluzione del caso, ha definitivamente chiarito la nozione di “incidente” e le conseguenze che discendono dalla guida in stato di alterazione per l’assunzione di bevande alcoliche.
La vicenda nasce dalla “bravata” di un automobilista che, postosi alla guida in stato di ebbrezza, aveva ben presto perso il controllo del proprio veicolo, arrestando la marcia contro un’auto in sosta lungo il tragitto percorso.
L’incauto conducente aveva ricevuto la notifica di un decreto penale di condanna per il reato di guida sotto l'influenza dell'alcool (art. 186 cod. strada), in conseguenza della rilevazione di un tasso alcolemico superiore a 1,5 g\l e della contestazione dell’aggravante di aver provocato un incidente.
Nel successivo giudizio di opposizione, celebrato con rito abbreviato, l’imputato era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia ed erano state applicate le gravose e afflittive sanzioni amministrative accessorie della sospensione della patente di guida e della confisca del veicolo.
Il procuratore generale ricorreva avverso la sentenza di merito, che aveva erroneamente applicato la sospensione e non invece la revoca della patente di guida, che consegue quale effetto automatico in caso di condanna nell’ipotesi di incidente.
Sul punto, l’art. 186 cod. strada prevede che “qualora al conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), la patente di guida è sempre revocata”.
E' evidente che il legislatore ha diversificato le situazioni tra chi guida semplicemente un veicolo in stato di ebbrezza e chi, nella stessa condizione, provoca un incidente, trattandosi di ipotesi ritenuta, ovviamente, più grave e pericolosa socialmente.
Non è apparsa convincente la tesi a discarico dell’imputato, secondo la quale “non sarebbe sufficiente essere rimasti coinvolti in un sinistro, ma occorrerebbe aver provocato l'incidente”, specie qualora (come nel caso in esame) non si sia verificato alcun pericolo per l'incolumità altrui e dello stesso conducente, ma soltanto un marginale e microscopico impatto senza alcuna conseguenza di rilievo (urto dello spigolo anteriore del mezzo con quello posteriore del veicolo in sosta).
Ma tale prospettazione non ha convinto gli ermellini: anche un lieve tamponamento che non abbia procurato gravi danni ai veicoli o lesioni alle persone fa scattare l’aggravante e, di conseguenza, la revoca della patente.
In tema di guida in stato di ebbrezza, l'aver provocato un incidente deve essere inteso come qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l'avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli (Cass. pen., Sez. 4, sentenza n. 47276 del 06/11/2012, dep. 06/12/2012, Rv. 253921).
Più di recente, è stato anche specificato che è sufficiente che si verifichi un urto del veicolo contro un ostacolo, ovvero la sua fuoriuscita dalla sede stradale, pur senza constatazione di danni a persone o ose (Cass. pen., Sez. 4, sentenza n. 36777 del 02/07/2015, dep. 10/09/2015, Rv. 264419).
La previsione normativa non è diretta ad evitare ingorghi o rallentamenti, ma situazioni di grave pericolo, derivanti dalle inadeguate condizioni psico-fisiche nelle quali l'agente si pone alla guida.
Ciò che rende la fattispecie aggravata è il fatto che il conducente, postosi alla guida in condizioni psicofisiche alterate, abbia concretamente dimostrato di non essere in grado di padroneggiare il mezzo.
In prospettiva di sintesi, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante che determina la revoca della patente di guida, rileva ogni emblematica e comprovata anomalia nella marcia del veicolo, costretto ad arrestarsi attraverso modalità non fisiologiche, che denotano un comportamento anomalo del conducente.
Va da ultimo segnalato che anche in caso di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sussiste sempre il dovere per il giudice di disporre l'applicazione di una sanzione amministrativa accessoria, atteso che l'applicazione della causa di non punibilità presuppone comunque l'accertamento della materialità del fatto (Cass. pen., Sez. 4, sentenza n. 44132 del 09/09/2015, dep. 02/11/2015, Rv. 264830).
Fonte: www.quotidianogiuridico.it

Per leggere la sentenza clicca qui: www.quotidianogiuridico.it/~/media/Giuridico/2015/12/29/revoca-patente-e-incidente-anche-la-collisione-con-un-veicolo-in-sosta/493522015 pdf.pdf

lunedì 28 dicembre 2015

Donna mortificata dal marito, irrilevante la lunga tolleranza matrimoniale: uomo condannato

Quasi trent’anni di matrimonio, assai difficili per la donna. Poi lei prende coraggio e sceglie la strada della separazione. Violenta la reazione del marito. Ma gli episodi verificatisi negli ultimi mesi del rapporto sono valutabili come l’ennesima testimonianza della vita da incubo della donna. Ciò rende comprensibile la condanna dell’uomo per il reato di “maltrattamenti”. Irrilevante il fatto che la moglie abbia tollerato per anni (Cassazione, sentenza 47209/15).

Il caso

Vittoria in Tribunale per l’uomo: è assolto dall’accusa di «maltrattamenti» ai danni della moglie. Per i giudici di primo grado è da considerare decisiva la «sporadicità delle condotte» del marito, collocate nel «periodo successivo alla comunicazione da parte della donna della intenzione di separarsi». E, allo stesso tempo, come dato rilevante a favore dell’uomo viene valutata la «lunga durata del rapporto matrimoniale», pari a quasi a un trentennio. Tale ottica viene demolita in Appello. Consequenziale è la condanna del marito per il «reato di maltrattamenti».

Evidente per i giudici di secondo grado la «volontà prevaricatrice» nei confronti della moglie. E la responsabilità dell’uomo viene ribadita ora in Cassazione. Per i giudici di terzo grado non è contestabile la «abitualità dei maltrattamenti» subiti dalla donna, essendo irrilevante il fatto che «la convivenza» tra i coniugi «si sia protratta per quasi trent’anni». Decisive non solo le dichiarazioni della vittima, ma anche quelle del «figlio della coppia» e di «alcuni conoscenti»: tutti hanno riferito di avere «assistito a episodi aggressivi» ai danni della donna.

Tutto ciò ha permesso di portare alla luce «l’atteggiamento di complessiva svalutazione della moglie, tenuto dall’uomo durante tutto il corso della vita coniugale». In questa ottica vanno riconsiderati anche gli «episodi verificatisi» nel periodo successivo alla decisione della donna di optare per la «separazione». E di conseguenza è logico qualificare la condotta del marito «in termini di abitualità», essendo evidente nei confronti della donna «la volontà di sopraffazione, tipica dei maltrattamenti», volontà concretizzatasi nel corso degli anni e acuitasi a causa della «maggiore aggressività» dell’uomo, scatenata «a seguito della decisione della donna di separarsi».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Donna mortificata dal marito, irrilevante la lunga tolleranza matrimoniale: uomo condannato - La Stampa

Ecco l'autocertificazione per chi non paga il canone Rai

La Legge di Stablità 2016 prevede che  l'importo del canone scenderà da 113 euro a 100 euro, e a 95 euro nel 2017.
Dal 2016 il canone RAI verrà pagato attraverso la bolletta elettrica, pur costituendo una voce distinta su cui non si pagano le tasse.
La novità sul metodo di pagamento per il canone Rai sarà attiva solo dal 2017 .
Il canone Rai nel 2016 dovrà essere pagato dal mese di luglio 2016, versando in un'unica soluzione tutto l'importo, questo a causa dei tempi di organizzazione necessari alle compagnie elettriche per introdurre il pagamento del Canone Rai 2016 sulla bolletta della luce.

Casi di esenzione dal canone :
- non si possiede apparecchio televisivo
- l'immobile dell'utenza è una seconda casa
- l'immobile dell'utenza è stato dato in locazione
- unico apparecchio ceduto/rottamato
- l'intestatario abbonamento è deceduto

Nei casi di esenzione si consiglia di inviare con raccomandata a/r all'all'Agenzia delle Entrate S.A.T. (Sportello Abbonamenti TV, Ufficio Torino 1, Casella postale 22, 10121 Torino) autocertificazione ai sensi art 46 d.p.r. 445 del 2000.

scarica il fac-simile dell'autocertificazione:Autocertificazione-Canone-Rai.pdf

Tetto a 3 mila per il contante

Dal 1° gennaio 2016 il divieto di pagamenti e transazioni in contanti sale dai 1.000 ai 3.000 euro, mentre resta fermo il limite di 1.000 euro per le pubbliche amministrazioni. Il nuovo limite si applicherà anche in relazione ai pagamenti delle locazioni di unità abitative e nel trasporto merci. Sono alcune delle novità previste dalla legge di stabilità in merito ai pagamenti in contanti. Gli effetti delle modifiche all'art. 49. Con le modifiche apportate all'art. 49 comma 1 del dlgs 231/07, il limite non raggiungibile per le transazioni in contanti (pagamento fatture, finanziamento fra soci e società, prelevamenti utili dei soci dalle società) regolate in unica soluzione, sale da 1.000 a 3.000 euro. Ne consegue che dal 1° gennaio tutte le operazioni fra privati (persone fisiche o persone giuridiche) regolate in contanti entro il limite di 2.999,99 euro saranno assolutamente lecite.

In merito al passato, tuttavia, in relazione alla circostanza che, sia le irregolarità sulle transazioni che le omesse comunicazioni, sono assoggettate a sanzioni amministrative e non penali (art. 58, commi 1 e 7-bis), in assenza di una disposizione normativa specifica deve ritenersi non applicabile il principio del favor rei, per pagamenti in contanti compresi fra i 1.000 e i 2.999,99 euro. Il limite dei 3.000 euro varrà anche per le locazioni e trasporto merci. Le nuove disposizioni, peraltro, per espressa previsione normativa si applicano anche ai canoni di locazione di unità abitative e ai pagamenti dei corrispettivi per le prestazioni rese in adempimento dei contratti di trasporto di merci su strada.

fonte: www.italiaoggi.it//Tetto a 3 mila per il contante - ItaliaOggi

venerdì 25 dicembre 2015

Schiamazzi degli avventori che stazionano all’esterno di un locale e responsabilità dei gestori

Interessanti indicazioni fornite da una recente pronuncia del Tribunale di Novara che ha stabilito alcuni parametri entro i quali può essere ritenuta sussistente la responsabilità penale ex art. 659 c.p. del gestore di un bar per gli schiamazzi e i disturbi alla quiete pubblica causati dagli avventori di un locale.

Per leggere la sentenza clicca qui: www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2015/12/trib-novara-sentenza.pdf

fonte: www.giurisprudenzapenale.it

La Cassazione dice “no” al risarcimento per la sindrome Down non diagnosticata

Non esiste il «diritto a non nascere se non sano» e questo «mette in scacco il concetto stesso di danno» per il bambino nato malato. Lo affermano le Sezioni Unite della Cassazione chiamate in causa dalla richiesta di risarcimento danni, a nome proprio e della figlia, di una coppia che ha citato l’Asl di Lucca e i primari dei reparti di ginecologia e del laboratorio di analisi.

Nonostante un’indagine prenatale, i medici non avevano riscontrato che la bambina fosse affetta dalla sindrome di Down. Se correttamente informata la madre non avrebbe portato a termine la gravidanza e per questo ha chiesto il risarcimento. Le Sezioni Unite lo hanno respinto per quanto riguarda la bambina, mentre hanno disposto un nuovo approfondimento per il danno psicologico subito invece dalla madre.

Secondo la Cassazione non esiste il diritto al risarcimento del danno per il bambino nato malato «tanto più che di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del cosiddetto diritto alla felicità)».

Per la Cassazione, non c’è un diritto a non nascere, così come «non sarebbe configurabile un diritto al suicidio tutelabile contro chi cerchi di impedirlo»: nessuna responsabilità avrebbe il soccorritore «che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte». L’ordinamento, aggiungono le Sezioni unite, «non riconosce il diritto alla non vita: cosa diversa dal cosiddetto diritto di staccare la spina, che comunque presupporrebbe una manifestazione di volontà ex ante, attraverso il testamento biologico». L’accostamento tra le due situazioni «è fallace». I giudici intervengo così su un aspetto che essi stessi definiscono «delicato e controverso», con implicazioni «filosofiche ed etico-religiose» e «indirizzi di pensiero» segnati «da accese intonazioni polemiche». Su cui anche la giurisprudenza si è divisa.

La Cassazione a Sezioni unite sottolinea che l’indirizzo giurisprudenziale favorevole alla «pretesa risarcitoria del nato disabile verso il medico» finisce con l’assegnare al risarcimento «un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale». Nella sua disamina la Corte, che cita precedenti casi anche all’estero, mette in guardia dal «rischio di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica»: una «deriva eugenetica» che ha caratterizzato il dibatto in altri Paesi, come in Francia, dove è poi intervenuta una legge specifica (legge Kouchner del 2002) per affermare proprio che nessuno può far valere un danno derivante dal solo fatto di esser nato. La Corte respinge poi la «patrimonializzazione dei sentimenti, in una visione panrisarcitoria dalle prospettive inquietanti».

Le Sezioni unite hanno comunque annullato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che negava il risarcimento ai genitori. La legge 194 sull’aborto riconosce infatti il diritto di interrompere la gravidanza laddove la nascita determini `un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna´, ma per attribuire l’eventuale risarcimento del danno occorre provare che la donna avrebbe effettivamente «esercitato la scelta abortiva». Anche, spiegano gli ermellini, approfondendo «lo stato psicologico». Accertamento che i giudici di merito hanno sottovalutato.

fonte: www.lastampa.it//La Cassazione dice “no” al risarcimento per la sindrome Down non diagnosticata - La Stampa

mercoledì 23 dicembre 2015

"Bisogni" impellenti per il cane, il padrone lo porta in strada: condannato per evasione

Blitz fuori casa per permettere al cane di soddisfare i propri ‘bisogni’. Ma l’uomo, obbligato a portare fisicamente in braccio il quadrupede, è agli arresti domiciliari. Consequenziale la condanna per il reato di «evasione». Impossibile, checché ne dica il difensore, parlare di “fatto lieve”, soprattutto tenendo presenti i precedenti dell’uomo. In questo senso si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza 45073/15.

Il caso

Fatale il controllo da parte dei carabinieri. L’uomo, ufficialmente ai ‘domiciliari’, viene beccato a trenta metri da casa, «in ciabatte e pigiama», mentre porta con sé il cane. Inevitabile la contestazione della «evasione». Per i giudici di merito è inequivocabile, difatti, la condotta tenuta dall’uomo, che, come detto, si è allontanato illegittimamente dalla propria abitazione. Logica, quindi, la condanna.

Secondo il legale, è evidente la «modesta offensività» del blitz compiuto dall’uomo fuori casa. Anche perché quella discesa in strada è stata obbligata: il cane, difatti, era stato «sottoposto tre giorni prima ad un intervento chirurgico», e la moglie non era in condizione di «sollevare l’animale» e portarlo fuori dall’abitazione. Unica opzione possibile, quindi, sostiene il legale, quella del padrone di casa, che ha dovuto portare in braccio l’animale fino alla strada, per consentirgli di «espletare i bisogni fisiologici».

Il quadro proposto dall’avvocato non può reggere, ribattono ora i giudici della Cassazione. Decisivo, in questa ottica, il richiamo ai «gravi precedenti penali dell’uomo», resosi responsabile, peraltro, anche di «evasione» in passato. Ciò consente di ritenere acclarato il «comportamento abituale di violazione della legge penale», e di escludere, concludono i giudici, l’ipotesi della «modestia» della condotta realizzata dall’uomo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /"Bisogni" impellenti per il cane, il padrone lo porta in strada: condannato per evasione - La Stampa

Legge di Stabilità: da stop tasse casa a sicurezza, tutte le novità

La legge di stabilità 2016 esce dall'esame parlamentare con numerose novità contenute nei 999 commi del suo articolo unico (erano 556 al termine della prima lettura di Palazzo Madama, dove è stata messa la fiducia ad un maxi-emendamento che ha raggruppato i 51 articoli iniziali e le modifiche del Senato).

Restano confermate nel passaggio parlamentare le misure 'simbolo' del testo iniziale: dallo stop della Tasi sulle prime case non di lusso, al 'disinnesco' nel 2016 delle clausole di salvaguardia e all'aumento a 3mila euro del tetto al contante (sia pure quest'ultimo con alcuni 'paletti' introdotti dalle Camere). Le principali novità della manovra che vale intorno ai 35 miliardi, vanno dalle misure legate alle risoluzioni bancarie ai pacchetti 'Sud' e 'sicurezza-cultura', oltre a norme di carattere fiscale e previdenziale. In particolare, per sostenere il rafforzamento dell'apparato della sicurezza nazionale, il Governo ha deciso di utilizzare i margini di flessibilità, portando il rapporto deficit/Pil 2016 dal 2,2 al 2,4%, cui corrisponde un saldo netto da finanziare pari a 35,4 miliardi.

Nel corso dell'esame parlamentare, sono confluiti nella manovra due decreti legge: uno (al Senato) con misure per le Regioni, l'altro (alla Camera) cosiddetto 'salva-banche' con le misure su Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara.

Prevista anche l'istituzione di un Fondo di solidarieta' da 100 milioni per risarcire gli obbligazionisti subordinati sulla base di arbitrati ad hoc. Tra le altre novita' inserite in seconda lettura a Montecitorio e confermate dal voto definitivo in terza lettura del Senato, la riforma della consulenza finanziaria. Inoltre nel 'pacchetto-casa', alla Camera c'è stato l'aggiustamento di alcune misure gia' oggetto dell'attenzione dei senatori (come l'Imu sulle case in comodato ai parenti stretti). Dal punto di vista fiscale, e' stata introdotta tra le altre misure la possibilita' per alcuni contribuenti decaduti dal beneficio di accedere nuovamente ai piani di rateizzazione e novita' sulla tempistica degli accertamenti. Fra le misure introdotte sul fronte 'sociale', l'estensione a 8mila euro della no-tax aerea per gli over-75, l'apertura all'uso del bancomat per i micro-acquisti e la card cultura per i diciottenni.

IL TESTO APPROVATO

Ecco le principali novità:

- DISATTIVATE CLAUSOLE SALVAGUARDIA: scongiurati gli aumenti di Iva e accise per 16,8 miliardi dal 2016.

- SICUREZZA E CULTURA: piatto forte del pacchetto il bonus di 80 euro mensili per le forze dell'ordine e la carta elettronica del valore di 500 euro per tutti i ragazzi che compiranno 18 anni nel 2016 da spendere per teatri, musei, aree archeologiche, mostre, eventi culturali e per l'acquisto di libri. Agli studenti dei conservatori e dei licei musicali sarà assegnato un contributo una-tantum di 1.000 euro per l'acquisto di uno strumento nuovo. Tra le altre misure, per le borse di studio arriva un finanziamento per 50 milioni. Salta l'anticipo al 2016 del taglio dell'Ires.

- ADDIO A IMU E TASI: cancellate le tasse sulla prima casa, salvo per gli immobili di lusso, anche per gli inquilini. Sconto del 50% sull'Imu per la prima o la seconda casa data in comodato d'uso ai figli o ai genitori. Riduzione dell'Imu del 25% per i proprietari che danno in affitto la propria casa a canone concordato.

- BONUS MOBILI: le giovani coppie che comprano la prima casa hanno diritto a una detrazione del 50% sulle spese sostenute per l'acquisto di mobili fino a un massimo di 16.000 euro.

- LEASING PER ACQUISTO PRIMA CASA: arrivano nuove regole che consentono di comprare la prima casa attraverso il leasing.

- SGRAVI NEOASSUNTI: prorogata al 2016 la decontribuzone per i neo-assunti che cala però al 40% e avrà durata biennale.

- PROROGA DIS-COLL: la disoccupazione per i collaboratori e' prorogata per il 2016 e 2017 con un limite massimo di spesa di 54 milioni per il primo anno e di 24 milioni per il secondo.

- STATALI: arrivano 300 milioni per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego.

- SUPER AMMORTAMENTO: è al 140% per le imprese che acquistano beni strumentali nuovi tra il 15 ottobre 2015 e il 31 dicembre 2016.

- SUD: arriva un credito d'imposta automatico per 4 anni sugli investimenti effettuati da imprese del Mezzogiorno. La misura vale circa 2,5 miliardi.

- SALVA-BANCHE: il decreto che ha consentito il salvataggio di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti viene recepito in manovra.

- FONDO TUTELA RISPARMIATORI: arriva il Fondo di solidarietà per i piccoli risparmiatori penalizzati dal salvataggio delle quattro banche. Il Fondo avrà una dotazione finanziaria massima di 100 milioni di euro a carico del Fondo interbancario di tutela dei depositi.

- SU RISARCIMENTO DANNI DECIDE ARBITRO: sarà un arbitro designato con Dpcm a decidere le procedure per accedere alle prestazioni del fondo. Il premier Renzi ha già indicato il presidente dell'Anac Cantone. Il risarcimento del danno sarà comunque subordinato all'accertamento delle responsabilità del personale delle quattro banche.

- ADDIZIONALE IRES E DEDUCIBILITÀ: prevista un'addizionale Ires del 3,5% per gli enti creditizi e finanziari dal 2017. Si rendono inoltre interamente deducibili dall'Ires e dall'Irap gli interessi passivi. Saranno deducibili ai fini Ires-Irap le somme versate dalle banche su base volontaria al Fondo di risoluzione delle crisi.

- LITI RISPARMIATORI-INTERMEDIARI: arriva il fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori per consentire ai consumatori di rivolgersi gratuitamente all'organismo Consob.

- ALBO UNICO CONSULENTI FINANZIARI: nasce l'albo unico dei consulenti finanziari a cui vengono trasferite le funzioni di vigilanza sui promotori finanziari attribuite alla Consob.

- PENSIONI: anticipo al 2016 dell'incremento della no tax area per gli over 75 a 8.000 euro. Proroga della sperimentazione dell'opzione donna, in scadenza il 31 dicembre 2015, condizionata a eventuali risparmi di spesa risultanti dal monitoraggio effettuato dall'Inps. Viene sterilizzato il calo dei prezzi nel 2014 sugli assegni pensionistici che avrebbe comportato un conguaglio al ribasso nel 2015. In manovra anche la settima salvaguardia per altri 172.466 esodati.

- PART TIME OVER 63: i lavoratori a tre anni dai requisiti per la pensione potranno accedere al part time incentivato.

- ECOBONUS: proroga del credito di imposta al 65% per gli interventi di riqualificazione energetica e al 50% per le ristrutturazioni e il connesso acquisto di immobili. Sconto del 65% anche per l'acquisto e l'installazione di dispositivi per il controllo a distanza di impianti di riscaldamento o climatizzazione e caldaie.

- GIOCHI: sale del 2,5% il prelievo erariale unico (Preu) sulle New slot che erogano pagamenti in denaro (awp), arrivando al 17,5%; mentre ?il payout (la percentuale delle giocate che vengono restituite ai giocatori in forma di vincite) passa dal 74% al 70%. Vietate le pubblicità dei giochi con vincita in denaro nelle trasmissioni radio e tv dalle 7 alle 22. Previste sanzioni che vanno da 100.000 a 500.000 euro.

- CANONE RAI: il canone Rai scende a 100 euro l'anno e va in bolletta elettrica. Il pagamento avverrà in rate mensili da 10 euro a partire dal luglio 2016. Il 67% dell'eventuale extragettito derivante dalla misura andrà alla Rai.

- STOP SANATORIA DELIBERE COMUNI RITARDATARI: stop alla sanatoria delle delibere sui tributi locati adottate dai Comuni dopo il 30 luglio 2015.

- 600 MLN PER TAGLIO DEBITO REGIONI: il contributo alle Regioni a statuto ordinario per la riduzione del debito sale da 1,3 a 1,9 miliardi di euro. Arrivano anche 900 milioni per la Sicilia.

- PROVINCE: le province e le città metropolitane potranno predisporre il ?bilancio di previsione per il solo 2016. Viene aumentato il contributo da 400 a 495 milioni per il 2016. Inoltre potranno rinegoziare le rate di ammortamento in scadenza dei mutui che non siano trasferiti al Mef.

- INCENTIVI PER UNIONI/FUSIONI COMUNI: sale di 30 milioni di euro, dal 2014, il contributo spettante alle unioni di Comuni e altrettante risorse saranno destinare ai Comuni istituiti a seguito di fusione. Dal 2016 il contributo straordinario sarà pari al 40% dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 e non superiore a 2 milioni.

- SBLOCCO TURNOVER - I Comuni nati da una fusione o che si sono uniti potranno assumere personale a tempo indeterminato nel limite del 100% della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente.

- ANCOMAT ANCHE PER CAFFE' E PARCHIMETRI: commercianti e professionisti dal primo gennaio saranno obbligati ad accettare bancomat e carte di credito anche per importi inferiori a 30 euro.

- FONDO SANITÀ: nel 2016 ammontano a 111 miliardi di euro le risorse a diposizione delle regioni per il fondo sanitario nazionale.

- MEDICI, CONTRATTI A TEMPO E CONCORSO ENTRO 2016: per porre rimedio alle difficoltà sorte negli ospedali a seguito del recepimento della direttiva Ue sui turni di lavoro arrivano contratti di lavoro flessibili prorogabili fino al 31 ottobre 2016 per medici e infermieri. Dopodiché sarà indetto un concorso straordinario da concludere entro il 31 dicembre 2017.

- FARMACI INNOVATIVI: resteranno a carico del Servizio sanitario nazionale le spese per i farmaci innovativi, compreso quello per l'epatite C, per gli anni 2015 e 2016.

- FONDO POVERTÀ: nell'assegnazione delle risorse del fondo per la povertà avranno precedenza i nuclei con più figli, disabili o donne in stato di gravidanza.

- CARTA FAMIGLIA: arriva la `card´ destinata alle famiglie con almeno tre figli minori a carico che dà accesso a sconti e riduzioni di tariffe su servizi pubblici e privati (trasporto, culturali, sportivi, ludici, turistici e altro). La carta avrà valore biennale e sarà rilasciata sulla base dell'Isee.

- TETTO CONTANTE: sale a 3.000 euro il tetto all'uso del contante. La misura non vale però per i pagamenti della P.a. (comprese le pensioni superiori a 1.000 euro) e i money transfer.

- CAF PATRONATI: scende da 28 a 15 milioni il taglio ai patronati, per i Caf il taglio e' di 40 milioni.

- MORATORIA SPIAGGE, FUORI OSTIA: saranno sospesi fino al 30 settembre 2016 i contenziosi pendenti al 15 novembre 2015 avviati per il rilascio, la sospensione, la revoca e la decadenza di concessioni demaniali marittime. Esclusi dalla sospensione gli stabilimenti balneari ubicati in comuni sciolti o commissariati per mafia, come quello di Ostia.

- VENDITA CALCIATORI: abrogata la norma che obbligava a considerare nell'imponibile da tassare anche il 15% del costo delle attività sostenute per la vendita dalle società sportive.

- MIGRANTI: più fondi in deroga alla normativa vigente per gli straordinari del personale del ministero dell'Interno dedicato all'identificazione dei migranti.

- BABY SITTER: proroga al 2016 del voucher baby sitter che viene esteso, in via sperimentale, anche per le madri lavoratrici autonome o imprenditrici.

- CONGEDO NEO-PAPÀ: il congedo obbligatorio dei papà per la nascita dei figli sale a due giorni che possono essere goduti anche separatamente.

- BONUS CERVELLI: la proroga per il 2016 e 2017 del regime fiscale agevolato per `i cervelli in fuga´ viene estesa a tutti i soggetti che rientrano in Italia entro il 31 dicembre 2015.

- UNIVERSITÀ: aumenta il fondo per il finanziamento ordinario delle università di 6 milioni di euro per il 2016 e di 10 milioni dal 2017. Previsto anche un ulteriore finanziamento di 9 milioni in tre anni per i collegi universitari di merito, come la Normale di Pisa.

- 1.500 ASSUNZIONI DI PROF. E RICERCATORI: piano straordinario per l'assunzione di 500 professori universitari, anche dall'estero, e 1000 ricercatori.

- FONDO SCUOLA: il Fondo viene incrementato di 23,5 milioni per il 2016. Posticipata di un anno l'entrata in vigore del cosiddetto `school bonus´. Sale di 25 milioni a 487 milioni lo stanziamento per le scuole paritarie e arrivano 3 milioni di euro in piu' per gli asili e le scuole elementari parificate.

- ACCERTAMENTI: l'Agenzia delle entrate avrà un anno di tempo in piu' per l'accertamento dell'Iva e delle imposte sui redditi. Viene però cancellato il raddoppio dei termini per l'accertamento nel caso di violazione che comporta obbligo di denuncia per uno dei reati tributari.

- 730 PRECOMPILATO: in caso di lieve ritardo o di trasmissione errata dei dati relativi al 2014 della dichiarazione dei redditi precompilata non si applicherà nessuna sanzione se l'errore non ha determinato un'indebita fruizione di detrazioni o deduzioni.

- AGENZIA ENTRATE: continueranno a percepire lo stesso trattamento economico «a titolo individuale e in via provvisoria» e a svolgere le relative mansioni i funzionari dell'Agenzia delle Entrate, retrocessi in seguito a una sentenza del Tar.

- REGIME MINIMI E PARTITE IVA: ampliato l'accesso al regime fiscale forfettario di vantaggio. La soglia di ricavi sale di 15.000 euro per i professionisti (portando così il limite a 30.000 euro) e di 10.000 euro per le altre categorie di imprese.

- SPENDING REVIEW: dimezzati rispetto ai 10 miliardi indicati nel Def di aprile gli obiettivi di risparmi di spesa.

- TAGLIO PARTECIPATE: saranno ridotte da 8.000 a 1.000.

- STOP SUPERTASSA YACHT: viene cancellata la `supertassa´ sulle imbarcazioni di lusso introdotta dal governo Monti.

- GP FORMULA 1: l'Aci e' autorizzata a sostenere le spese per l'organizzazione e la gestione del Gran Premio d'Italia di Formula 1 attingendo alle risorse iscritte nel suo bilancio.

- AUTOVELOX: potrà accertare anche le violazioni dell'assicurazione Rc auto e l'omessa revisione dei veicoli.

fonte: www.ilsole24ore.com//Legge di Stabilità: da stop tasse casa a sicurezza, tutte le novità

lunedì 21 dicembre 2015

Fisco, disponibile da oggi l'app delle Entrate per smartphone e tablet

Arriva l'app del Fisco per dispositivi mobili. Da oggi, scaricando l'applicazione delle Entrate, tutti i cittadini potranno accedere a una serie di servizi ad hoc direttamente sul proprio smartphone o tablet.

In questo modo, fa sapere l'Agenzia delle Entrate, i contribuenti potranno andare in ufficio evitando di fare la coda con il web-ticket dell'Agenzia, vedere i tempi di attesa del proprio turno e chiedere l'abilitazione e il Pin per Fisconline ed Entratel, i servizi telematici delle Entrate. Per gli utenti già registrati, invece, sarà possibile consultare le informazioni contenute nel proprio cassetto fiscale, come ad esempio i versamenti effettuati tramite modello F24 e le dichiarazioni fiscali presentate, e accedere a una serie di funzioni utili come il cambio password e il recupero password iniziale.

Chi possiede un dispositivo dotato di uno qualunque dei sistemi operativi sviluppati da Apple (IOS), Google (Android) e Microsoft (Windows Phone) potrà scaricare l'app del Fisco ed entrare così nel nuovo ufficio mobile dell'Agenzia delle Entrate. Grazie alla nuova applicazione, un primo panel dei servizi disponibili sul sito delle Entrate approda su piattaforma mobile con l'obiettivo di cambiare radicalmente il rapporto con i cittadini. In occasione del lancio della app del Fisco, inoltre, l'Agenzia ha realizzato una nuova funzionalità che permette di conoscere in tempo reale lo stato della coda dell'ufficio di interesse.

fonte: www.italiaoggi.it//Fisco, disponibile da oggi l'app delle Entrate per smartphone e tablet - News - Italiaoggi

Punta il dito contro un uomo e gli dice “Te la faccio pagare”: condannato

Confermata la visione tracciata dal Giudice di pace. Inequivocabile il senso della frase. Rilevante anche il gesto che ha accompagnato le parole. In questo senso si è pronunciata la Cassazione con la sentenza 44893/15.

Il caso

Soldi in ballo. Clima teso tra due uomini. E uno scarica la propria rabbia verbalmente: “Tanto te la faccio pagare”, dice rivolto all’altro, puntandogli un dito contro, come a sottolineare le parole. Quello sfogo, però, costa carissimo. L’uomo è condannato per il reato di minaccia. A ritenere grave la condotta dell’uomo, però, è stato già il Giudice di pace, che lo ha ritenuto responsabile di «minaccia».

Decisione sorprendente, secondo il Procuratore Generale. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione. Chiara la linea proposta: evidente la mancanza di «apprezzabile potenzialità offensiva» nella frase “Tanto te la faccio pagare”, riferibile «all’azione legale» poi proposta dall’uomo e relativa a un problema di soldi. Peraltro, sempre secondo il Procuratore Generale, erano mancati, in occasione dell’episodio incriminato, anche «gli elementi indicativi della lesività della libertà morale della persona offesa».

Ogni obiezione, però, si rivela inutile. Per i giudici della Cassazione, difatti, non si può trascurare un particolare importante: l’uomo, nel «pronunciare quell’espressione», aveva anche «puntato il dito» contro la persona offesa. Evidente, e conseguenziale, il «potenziamento dell’effetto intimidatorio», già desumibile, per la verità, dal «tenore della frase» che, evidenziano i giudici, «aveva attitudine ad intimorire prospettando, sia pure in modo indeterminato, il verificarsi di eventi spiacevoli». Tutto ciò conduce a confermare la condanna per il reato di «minaccia».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Punta il dito contro un uomo e gli dice “Te la faccio pagare”: condannato - La Stampa

domenica 20 dicembre 2015

La prostituta lavora dove vuole, il Tar strappa il foglio di via

Forse non ne avrebbe tratto una canzone, ma una storia del genere, a Fabrizio De Andrè, sarebbe piaciuta eccome. Perché gli ingredienti della sua Bocca di Rosa, nella vicenda di questa prostituta rumena che ha vinto a colpi di carte bollate la sua battaglia, ci sono tutti. Bocca di Rosa, al secolo Aureliana, l’amore lo aveva portato nel paese di Preganziol, 16 mila anime fra Treviso e Venezia, su una strada (il Terraglio) da anni nel mirino dei sindaci, che a suon di divieti e multe salatissime cercano di dissuadere – senza troppo successo, pare – i clienti dall’accostare l’auto e contrattare una prestazione sessuale con le (tante) lucciole che incontrano lungo il tragitto. Perché, lo scorso mese di maggio, una volante della polizia abbia identificato proprio Aureliana, non è chiaro: forse era in abiti troppo succinti, forse serviva un messaggio forte nella lotta contro la prostituzione delle amministrazioni locali. Fatto sta che la prostituta rumena si è vista recapitare, pochi mesi dopo, un foglio di via firmato dal questore di Treviso Tommaso Cacciapaglia, che le imponeva di non rimettere più piede nel Comune di Preganziol per i prossimi tre anni.

La vittoria

La ragazza non si è arresa: «Ho tutto il diritto di lavorare dove mi pare e piace», e ha presentato ricorso al Tar contro il Ministero dell’Interno e la Questura di Treviso. Tre giorni fa, il 17 dicembre, il Tar del Veneto ha accolto il ricorso di Aureliana annullando il foglio di via. Con una beffa supplementare per il ministro Angelino Alfano, perché i giudici hanno condannato il Ministero dell’Interno a rifondere alla ricorrente le spese di giudizio (800 euro più oneri di legge), oltre all’importo del contributo unificato. Apriti cielo: la notizia ha suscitato una pletora di commenti nei bar e nelle piazze, di paese o virtuali, con le due fazioni a rimpallarsi pareri legali e opinioni. Se ne sono sentite di tutti i colori: «La prostituzione non è reato», «Allora posso lavorare anch’io in nero», «Questi giudici andrebbero rimossi». La verità, però, è che la Bocca di Rosa di Preganziol, assistita da un avvocato veneziano, ha giocato le sue carte con furbizia e una certa conoscenza della materia, andando a ripescare vecchie sentenze di Cassazione che giocavano a suo favore. Il foglio di via le era stato notificato in ragione del fatto «lo svolgimento dell’attività di meretricio per strada» recita la sentenza «avrebbe ingenerato sentimenti di preoccupazione e timore degli automobilisti, e la crescita di tale fenomeno, ingenerante timore nella popolazione residente e nei transitanti, rendeva necessaria l’adozione di urgenti provvedimenti per riportare la situazione alla normalità».

La coda domenicale

Che le lucciole del Terraglio generino «sentimenti di preoccupazione» tra gli automobilisti, però, in pochi ci crederebbero, viste le code che nei fine settimana affollano la strada sulla Mestre-Conegliano. Il Tar ha sottolineato che «il provvedimento impugnato non dà conto delle particolari circostanze che potrebbero far qualificare l’attività di svolgimento della prostituzione come pericolosa per la pubblica sicurezza e la pubblica moralità, limitandosi ad affermazioni generali e non circostanziate». Insomma, chi ha firmato il foglio di via si è dimenticato di spiegare in cosa consisterebbe la pericolosità sociale di Aureliana, e non è sufficiente – per esiliarla per tre anni dal suo posto di lavoro – rivangare qualche piccolo precedente penale della ragazza, già nota alle forze dell’ordine. Lei ha ripreso possesso della sua piazzola sul Terraglio. Anzi, non l’ha mai abbandonata. La prova di forza non è servita: ai sindaci restano solo le ordinanze anti prostituzione, i cartelli, l’invettiva delle comari di qualche paesino.

fonte: www.lastampa.it/andreadepolo//La prostituta lavora dove vuole, il Tar strappa il foglio di via - La Stampa

Due ragazzi sul motorino, scontro con un’auto: salva da responsabilità la persona trasportata

Brutto scontro tra una vettura e un ciclomotore. Responsabili i conducenti dei veicoli. Salva da ogni addebito la persona trasportata illegittimamente sul ‘due ruote’ (Cassazione, sentenza 25345/15).

Il caso

Nessun dubbio per i giudici di Appello. Una volta ricostruita la dinamica dell’incidente, emerge la maggiore «colpa» – 70 per cento – dell’automobilista. Non trascurabile, però, la condotta non corretta del giovane alla guida del ciclomotore. Ciò ha legittimato un ricalcolo, in secondo grado, della «somma risarcitoria» a favore del conducente del ‘due ruote’ e della ragazza da lui trasportata come passeggero e considerata esente da responsabilità. Proprio su quest’ultimo particolare, cioè l’assenza di colpe della persona trasportata sul ciclomotore, si sofferma la compagnia assicurativa.

Critiche alla decisione emessa in Appello. Richiamato dalla società il fatto che «il ciclomotore sia stato posto in circolazione con più persone a bordo». Obiezione inutile, però, secondo la Cassazione. Ciò perché la «circolazione» del ciclomotore con «più persone a bordo» non comporta «necessariamente la responsabilità del trasportato». Non regge, in sostanza, la tesi della accettazione dei «rischi della circolazione». Per i giudici di terzo grado, difatti, questa forma di «abusiva circolazione» non può attribuire in automatico alla «persona trasportata» una «responsabilità» per l’incidente. Per dare solidità a questa prospettiva, difatti, è necessario «l’accertamento» – mancato in questa vicenda – del «contributo causale offerto dal trasportato». Non più discutibile, quindi, il fatto che la donna trasportata sul ciclomotore non sia da ritenere corresponsabile, assieme al conducente, per lo scontro coll’automobile.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Due ragazzi sul motorino, scontro con un’auto: salva da responsabilità la persona trasportata - La Stampa

Mantenimento per la figlia, il padre lascia ben due lavori e ‘dimentica’ il versamento: condannato

Condannato per non avere fornito il proprio contributo per il mantenimento della figlia. A rendere ancora più grave la condotta dell’uomo, peraltro, il fatto che egli per ben due volte abbia rinunciato a un lavoro. Impensabile, poi, parlare di “tenuità del fatto”, nonostante il limitato peso economico dell’obbligo previsto dal Tribunale a carico dell’uomo (Cassazione, sentenza 44683/15).

Il caso

Nessun dubbio per i giudici di merito: è da sanzionare il padre che ha violato, per «oltre un anno», il proprio obbligo di «assistenza familiare» a favore della figlia minore. Consequenziale la condanna, caratterizzata anche da un «risarcimento del danno» a favore della moglie. Assolutamente irrilevanti le «saltuari regalie» fatte dall’uomo alla ragazza. Ciò perché, ricordano i giudici, «l’adempimento dell’obbligo si concretizza solo nel mettere a disposizione del genitore affidatario il proprio contributo indispensabile per fronteggiare le quotidiane permanenti essenziali esigenze di vita del minore». E la linea di pensiero tracciata tra primo e secondo grado viene ora condivisa anche dalla Cassazione.

Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è inequivocabile il comportamento tenuto dall’uomo, che ha anche manifestato «disinteresse, dal punto di vista affettivo, per la figlia». Significativo, poi, il fatto che egli abbia «per due volte rinunciato ad un’attività lavorativa in corso, dimettendosi», e proprio «nel periodo in cui non aveva adempiuto il proprio obbligo» di genitore. Risibile, infine, la tesi difensiva finalizzata a vedere riconosciuta la «tenuità del fatto» alla luce della modestia della «somma» fissata dal Tribunale a carico dell’uomo. Su questo fronte i giudici rimarcano il fatto che il padre ha ignorato volutamente il proprio dovere, con una «condotta consapevolmente colposa e protrattasi per lungo tempo, con sottrazione totale all’obbligo, pur dal contenuto modesto». Per giunta, nonostante il «mantenimento» da versare per la figlia, egli ha pensato bene di dare le «dimissioni volontarie» da due differenti «attività lavorative».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Mantenimento per la figlia, il padre lascia ben due lavori e ‘dimentica’ il versamento: condannato - La Stampa

Paga il premio, anche se in ritardo: la garanzia assicurativa resta sospesa

L’accettazione, da parte dell’assicuratore, del pagamento tardivo del premio non può configurare una rinuncia alla sospensione della garanzia assicurativa; tale accettazione, infatti, è idonea esclusivamente ad evitare la risoluzione di diritto del contratto. In questo senso si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza 23901/15.

Il caso

Una donna agiva in giudizio nei confronti di un’amministrazione comunale, per ottenere il risarcimento dei danni derivatigli da una caduta la cui causa parte attrice riconduceva ad una buca coperta di foglie, sita sul marciapiede di una strada. Nel procedimento intervenivano gli eredi di parte attrice, venuta a mancare nelle more del giudizio, ed una compagnia assicuratrice, chiamata in garanzia dal Comune. Il giudice di prime cure condannava il Comune al pagamento di una somma a titolo di risarcimento, rigettando la domanda di garanzia per l’assenza di copertura assicurativa.

L’amministrazione soccombente presentava domanda di gravame, che la Corte territoriale competente dichiarava inammissibile. Il Comune ricorreva per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 2051 c.c., in relazione al mancato riconoscimento del caso fortuito. L’amministrazione ricorrente, inoltre, rilevava violazione degli artt. 1901, 1460, comma 2, e 1375 c.c. , in relazione all’asserita condotta in mala fede della compagnia assicuratrice, che aveva accettato il pagamento del premio pur essendo a conoscenza della sospensione della copertura assicurativa, realizzatasi a causa di un disguido nel pagamento.

L'assicuratore ha facoltà di rifiutare la garanzia assicurativa?. La Cassazione ha preliminarmente dichiarato l’inammissibilità del motivo di ricorso inerente alla violazione dell’art. 2051 c.c.; la sentenza di primo grado aveva, infatti, fondato l’accoglimento della domanda su due autonome rationes decidendi, argomentando sia in relazione all’art. 2051, sia con riferimento all’art. 2043 c.c. . Per questo motivo, il Collegio ha rilevato il difetto di interesse del ricorrente, dal momento che la sentenza sarebbe comunque fondata, in relazione all’art. 2043 c.c. .

La Suprema Corte ha affermato che deve escludersi che l’accettazione da parte dell’assicuratore del pagamento tardivo del premio possa configurare una rinuncia alla sospensione della garanzia assicurativa; tale accettazione, infatti, è idonea esclusivamente ad evitare la risoluzione di diritto del contratto. Gli Ermellini hanno ribadito il consolidato principio per cui, nell’ambito assicurativo, l’art. 1901, comma 2, c.c.(sospensione della garanzia per mancato pagamento del premio) rappresenta applicazione dell’eccezione di inadempimento, prevista dall’art. 1460 c.c. .

Deve, pertanto, essere esclusa la sussistenza, in capo all’assicuratore, della facoltà di rifiutare la garanzia assicurativa in caso di contrarietà a buona fede «come nel caso in cui l’assicuratore medesimo abbia, sia pure tacitamente, manifestato la volontà di rinunciare alla sospensione, ad esempio tramite ricognizione del diritto all’indennizzo ovvero accettazione del versamento tardivo del premio senza effettuazione di riserve, nonostante la conoscenza del pregresso verificarsi del sinistro». Nel caso di specie, come sottolineato dalla Corte di legittimità, l’assicurazione ha accettato il pagamento quando ancora non era a conoscenza del sinistro verificatosi durante il periodo di scopertura. Per le ragioni sopra esposte, la Cassazione ha rigettato il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Paga il premio, anche se in ritardo: la garanzia assicurativa resta sospesa - La Stampa

Modifica del saggio di interesse legale

In Gazzetta Ufficiale pubblicato il DECRETO 11 dicembre 2015 del INISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE Modifica del saggio di interesse legale. (GU Serie Generale n.291 del 15-12-2015)

La misura del saggio degli interessi legali di cui all'articolo 1284 del codice civile è fissata allo 0,2 per cento in ragione d'anno, con decorrenza dal 1° gennaio 2016.

fonte: www.ilsole24ore.com//Modifica del saggio di interesse legale

giovedì 17 dicembre 2015

D.lgs. 180 e 181 del 16 novembre 2015: le nuove regole sulle crisi bancarie

La crisi finanziaria, che ha colpito il mondo in un drammatico crescendo a partire dall’estate del 2007, ha messo in evidenza la mancanza, nei paesi più avanzati, di regole che consentissero di affrontare con rapidità ed efficacia la crisi delle banche. Messi di fronte all’alternativa fra salvare le proprie banche con denaro pubblico e lasciarle fallire, scatenando il panico come era accaduto con Lehman Brothers e mettendo in ginocchio l’economia reale, i governi di Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e di molti altri paesi scelsero la seconda strada.

In conseguenza delle dure lezioni così apprese, è iniziato un movimento globale dei regolatori che, a partire dal Financial Stability Board e passando per l’Unione europea, ha portato all’emanazione di un complesso di regole in materia di crisi bancarie ispirate a tre principi:

1) pianificazione: devono essere attentamente pianificate le azioni da intraprendere in caso di crisi:

a) dal lato della banca, mediante “piani di risanamento” da far scattare rapidamente in caso di peggioramento della situazione;

b) dal lato dell’autorità chiamata a gestire l’eventuale dissesto, con “piani di risoluzione”, cioè programmi da mettere in atto qualora la banca cada o stia per cadere a breve in stato di dissesto, finalizzati a consentire un’ordinata gestione della situazione;

2) intervento precoce: in caso di situazione di crisi, ma non ancora di dissesto, devono essere disponibili strumenti di intervento precoce da parte dell’autorità che vigila sulla stabilità della banca;

3) “risoluzione” (nuovo termine con cui si indica l’ordinata gestione del dissesto dell’intermediario): in caso di dissesto vero e proprio, devono essere disponibili strumenti che, qualora la liquidazione della banca possa avere un impatto sistemico (cioè avere ripercussioni sull’economia reale), consentano di garantire la continuità delle sue funzioni essenziali senza ricorso, o con un ricorso limitato, a fondi pubblici o ad aiuti esterni.

In quest’ottica, l’Unione europea ha emanato la direttiva 59/2014/UE, detta anche Bank Recovery and Resolution Directive, o BRRD. La sua attuazione in Italia è avvenuta, con alcuni mesi di ritardo sul termine di recepimento del 31 dicembre 2014, mediante l’emanazione di due decreti legislativi gemelli, i d.lgs. 16 novembre 2015, nn. 180 e 181.

Il d.lgs. 181/2015: l’adeguamento del Testo unico bancario

Il d.lgs. 181/2015 adegua il Testo unico bancario alla direttiva, come segue:

a) impone a tutte le banche di adottare un piano di risanamento, individuale o di gruppo, che individui le misure che la banca intende adottare al fine di riequilibrare la sua situazione patrimoniale e finanziaria qualora in futuro essa subisse un significativo deterioramento (nuovi artt. 69-ter ss.);

b) prevede che le varie entità di un gruppo possano stipulare accordi finalizzati al sostegno finanziario nell’eventualità di una crisi, e che possano comunque prestarsi tale sostegno (nuovi artt. 69-duodecies ss.);

c) prevede penetranti poteri della Banca d’Italia in caso di peggioramento della situazione della banca (c.d. poteri di intervento precoce, ricordati sopra), consistenti nel potere di impartire ai suoi organi l’ordine di attuare le misure del piano di risanamento o di negoziare accordi con i suoi creditori (nuovi artt. 69-noviesdecies ss.), o nel potere di rimuovere i suoi amministratori, organi di controllo o dirigenti apicali (art. 69-vicies-semel);

d) prevede alcuni adeguamenti (non particolarmente significativi) alle procedure di amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa delle banche, già previste dal TUB (rispettivamente, artt. 70 ss. e artt. 80 ss.

Il d.lgs. 180/2015: le nuove regole sulla “risoluzione” delle banche

Il d.lgs. 180/2015 detta invece un complesso di regole del tutto nuove.

Esso prevede in primo luogo che la Banca d’Italia studi la situazione di ogni banca, preparando un piano d’azione definito, come già detto, “piano di risoluzione”, per l’eventualità che essa cada in stato di dissesto (artt. 7 ss.). Tale piano ha la funzione di consentire alla Banca d’Italia di affrontare la crisi, nel momento in cui dovesse presentarsi, senza essere colta di sorpresa e in modo efficace, in relazione alle peculiarità della singola banca o del singolo gruppo bancario (dimensione, caratteristiche di business, interconnessione con altri intermediari finanziari, ecc.).

Il cuore della normativa, tuttavia, è la disciplina della risoluzione vera e propria (artt. 17 ss.). Essa prevede che in caso di dissesto di una banca, non superabile in tempi brevi mediante interventi di mercato (aumenti di capitale, dismissioni, ecc.) o azioni di forza (quelle sopra viste, consentite dal TUB), la Banca d’Italia debba, nell’ordine (artt. 20 ss.):

1) svalutare le azioni e gli strumenti di capitale (obbligazioni subordinate), fino a coprire le perdite, e quindi convertire il residuo delle obbligazioni subordinate in capitale fino a ripristinare il patrimonio di vigilanza necessario perché la banca possa operare;

2) qualora ciò non sia sufficiente, effettuare una scelta fondamentale:

a) aprire la procedura di risoluzione, quando ciò sia necessario ad assicurare la continuità delle funzioni essenziali, a tutelare i depositanti e gli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, a ridurre l’onere a carico delle finanze pubbliche (artt. 21);

b) aprire invece la normale procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal TUB, ogniqualvolta non vi sia pericolo per gli interessi di cui alla precedente lettera a).

La procedura di risoluzione, in sostanza, sottrae la banca in dissesto alla procedura di insolvenza normalmente prevista, e ciò al fine di ridurre il rischio sistemico e i costi per i creditori e per la collettività.

Il punto fondamentale, dunque, è capire quali sono gli strumenti che consentono alla risoluzione di operare più efficientemente della liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di strumenti, in larga parte nuovi, che permettono di operare sia sull’attivo e sull’azienda, trasferendoli rapidamente a terzi, sia sul passivo, riducendolo al fine di coprire le perdite e ripristinare il patrimonio necessario perché la banca possa operare. Essi sono, principalmente:

1) lo strumento della cessione di tutte le attività e le passività, o parte di esse, a terzi o a un ente-ponte, che li rilevano assicurando la continuità dell’attività bancaria;

2) il bail-in, che appunto incide sul passivo, cancellando le azioni, gli strumenti finanziari e i debiti nella misura necessaria per conseguire gli obiettivi della risoluzione.

Con il bail-in, le perdite della banca sono poste a carico dei suoi azionisti e dei suoi creditori, e non a carico di terzi (tipicamente, altre banche o la fiscalità generale). Se ad esempio la banca, per poter operare, deve avere un patrimonio di +10 e ha invece un deficit (cioè ha un attivo inferiore ai debiti) di ‒100:

- si eliminano gli azionisti;

- si riducono di 100 i diritti dei creditori, secondo il loro ordine di soddisfazione (da quelli subordinati a quelli via via più garantiti), riportando il passivo della banca ad un valore uguale al suo attivo;

- così azzerato il deficit, si converte un’altra parte delle pretese dei creditori (sempre rispettando la gerarchia), facendoli diventare azionisti nella misura necessaria a ripristinare il patrimonio di 10, che occorre alla banca per operare. Se invece la banca ha solo un patrimonio insufficiente, ma non un deficit, allora gli azionisti vengono diluiti ma non eliminati. Si tratta di un salvataggio interno della banca in crisi, contrapposto a quello fatto con i soldi dei contribuenti (che viene comunemente definito bail-out).

Lo strumento dell’ente-ponte è stato immediatamente utilizzato, il 22 novembre 2015, per la risoluzione di quattro banche, trasferendo, nel giro di poche ore, tutte le loro attività (ad eccezione dei crediti in sofferenza) e tutte le loro passività (ad eccezione delle obbligazioni subordinate, cioè le più rischiose), a quattro nuove società. Il bail-in entrerà invece in vigore dal 1° gennaio 2016.

Altre considerazioni e prospettive future. Per le banche e i gruppi più grandi dell’Eurozona, assoggettati a vigilanza della BCE, e per tutti i gruppi transnazionali con sedi nell’Eurozona, le nuove regole verranno applicate non dalla Banca d’Italia, ma dal neocostituito Single Resolution Board con sede a Bruxelles. Gran parte delle nuove regole, inoltre, si applicano anche alle SIM e agli altri intermediari finanziari.

L’intervento è tecnicamente complicatissimo, e vi sono poi ulteriori elementi che dovrebbero farlo funzionare a dovere (in primis, il fondo di risoluzione finanziato dalle banche, che mira a fornire risorse alla gestione della crisi, e il fondo di garanzia dei depositi). Al di là dei dettagli tecnici e dei rilevanti spunti innovativi, occorre tuttavia tentare di individuare gli obiettivi della nuova normativa. Essi sono in sostanza due:

1) ridurre la possibilità che si verifichi una crisi bancaria. In questo i due decreti legislativi in commento costituiscono solo l’ultimo di una serie di vari interventi che, a questo scopo, hanno incrementato i requisiti patrimoniali perché le banche possano operare, hanno uniformato a livello europeo le regole in materia di valutazioni (ad esempio, dei crediti), hanno accentrato nella BCE la vigilanza delle banche e dei gruppi più significativi dei 19 paesi dell’Eurozona e hanno dotato le autorità di vigilanza dei singoli paesi di incisivi poteri di intervento sull’autonomia delle banche (da ultimo, in Italia, con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, che ha modificato il TUB);

2) consentire che, qualora si verifichi, la crisi venga gestita con il minimo impatto per i clienti e i creditori della banca e, possibilmente, senza costi per i contribuenti.

Se tutto questo funzionerà, sarà l’esperienza a dirlo. Non si può tuttavia rimpiangere un passato in cui nessuno subiva perdite dal dissesto di una banca: ciò accadeva, infatti, perché gli sportelli bancari avevano un alto valore di mercato e potevano essere venduti ad altre banche, e perché le risorse mancanti venivano prelevate dai contribuenti, aumentando così il debito pubblico. Queste condizioni non ci sono più: le banche chiudono i propri sportelli, figuriamoci se ne acquistano altri, e il debito pubblico è al limite della sostenibilità.

La conseguenza è che le banche sono divenute imprese (quasi) come le altre, e possono fallire. Quando ciò accade, c’è sempre qualcuno che perde. Le nuove regole cercano di ridurre quella perdita al minimo

Per leggere il decreto clicca al link:www.quotidianogiuridico.it/~/media/Giuridico/2015/12/17/d-lgs-180-e-181-del-16-novembre-2015-le-nuove-regole-sulle-crisi-bancarie/181 pdf

fonte: www.quotidianogiuridico.it

mercoledì 16 dicembre 2015

Vede la moglie con l’amante degli anni del matrimonio: li aggredisce e li offende. Condannato

Sfogo verbale di un uomo contro una coppia. Volgarità inequivocabili che gli costano una condanna. A rendere la situazione ancora più grave, poi, il fatto che le parole siano state accompagnate anche da un’aggressione fisica. Quelle frasi, checché ne dica l’uomo, non possono essere considerate una reazione alla provocazione vivente rappresentata dalla coppia, in cui lei è la sua ex moglie, e lui è l’attuale compagno e, soprattutto, vecchio amante... (Cassazione, sentenza 46453/15)

Il caso

Ira. Momento di follia. Si ritrova di fronte la moglie, da cui si è separato, e l’attuale compagno di lei, e perde la testa... Solo così si può spiegare la raffica di offese e di minacce, e l’aggressione, ai danni della coppia. Tale raptus, però, costa carissimo all’uomo. Sia in primo che in secondo grado, difatti, viene condannato per i reati di «lesioni, ingiurie, minacce». Nessun dubbio per i giudici di merito. E tale visione viene condivisa anche dalla Cassazione. Inutile l’obiezione proposta dal difensore dell’uomo, e centrata su una presunta «provocazione» da parte della coppia.

Più precisamente, il legale spiega che la donna «avrebbe tenuto un comportamento tale da non consentire» al padre di «vedere il figlio minore». E, subito dopo, aggiunge che il compagno della donna «aveva avuto con lei un’amicizia intima» già «durante gli anni del matrimonio», e per giunta «si era poi collocato nell’abitazione» del marito della donna, assegnata a quest’ultima «in sede di separazione». Ma questi elementi vengono ritenuti irrilevanti dai Giudici del Palazzaccio: illogico, in sostanza, sostenere la tesi dello «stato d’ira». Condanna, quindi, legittima. E, per giunta, l’uomo viene anche sanzionato perché, in occasione del fattaccio, ha danneggiato il «cancello in alluminio» della sua abitazione, che però è utilizzata dalla moglie. E lei, chiariscono i Giudici, «è persona offesa, in quanto detentrice della casa».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Vede la moglie con l’amante degli anni del matrimonio: li aggredisce e li offende. Condannato - La Stampa

Collega definito “raccomandato” su Facebook: condannato per diffamazione

Meglio non parlar male dei colleghi. Soprattutto sui social network. A constatarlo un maresciallo della Guardia di Finanza, ritenuto colpevole di “diffamazione” per le frasi pubblicate sul suo profilo Facebook e relative a un commilitone (Cassazione, sentenza 49066/15).

Il caso

A dare il ‘la’ alla battaglia giudiziaria è lo sfogo del maresciallo sul social network. Davvero poco ortodossa la posizione lavorativa indicata su Facebook: “...attualmente defenestrato” – dal ruolo di ‘Comandante della Compania’ – “a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo... per vendetta gli tr... la moglie”.

Facile da immaginare la reazione del destinatario del messaggio, cioè «il maresciallo designato» come nuova guida «della Compagnia»... Inevitabile l’approdo nelle aule di giustizia, dove lo scritto privato pubblicato online viene ritenuto sufficiente per contestare il reato di «diffamazione».

Per i Giudici d’appello, difatti, è chiara la responsabilità del maresciallo defenestrato, così come è evidente «il carattere oggettivamente e gravemente ingiurioso e provocatorio delle espressioni sgradevolmente volgari» utilizzate, tali inoltre da «consentire la individuazione del destinatario, sia pure a un ristretto cerchio di persone». E peraltro «l’inserimento dello scritto nel sito web dimostrava la volontà di scegliere un mezzo di generalizzata attitudine ricettiva».

Secondo i due legali del maresciallo, però, la condanna è da rimettere in discussione. Ciò perché mancano, a loro dire, gli «elementi» utili a consentire l’individuazione del «destinatario» del messaggio leggibile su Facebook. Vicenda processuale da riaprire, quindi? Assolutamente no, ribattono ora dalla Cassazione. Consequenziale è la conferma della «condanna a tre mesi di reclusione militare». Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è indiscutibile il «dolo» per la pubblicazione online del messaggio rivolto al commilitone. Decisivi, in questa ottica, due elementi: la «individuazione» del destinatario, anche se limitata a «un numero ristretto di persone, quali i militari della Compagnia»; il ricorso a «uno strumento comunicativo di generalizzata e spiccata attitudine ricettiva» quale Facebook.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Collega definito “raccomandato” su Facebook: condannato per diffamazione - La Stampa

Se il cane abbaia e la padrona non glielo impedisce, la condanna è legittima

L’imputata non impedisce «lo strepitio del proprio cane» e viene condannata per disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, ma la donna non ci sta e si rivolge ai Giudici di legittimità.

Non serve la prova dell’effettivo disturbo di più persone. La pronuncia dei Giudici di merito viene confermata dalla Cassazione (sentenza 48460/15). La decisione, infatti, secondo gli Ermellini, ha correttamente applicato il principio stabilito dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’affermazione di responsabilità per la fattispecie di cui in parola non implica – trattandosi di reato di pericolo presunto – la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato. Al giudice l’apprezzamento dell’idoneità delle emissioni sonore ad arrecare disturbo.

Non solo: secondo Piazza Cavour, i Giudici di merito hanno del pari rispettato l’insegnamento del Supremo Collegio in forza del quale in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, «l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete». Nessuna censura, quindi, all’iter seguito dal Tribunale, e ricorso dichiarato inammissibile.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Se il cane abbaia e la padrona non glielo impedisce, la condanna è legittima - La Stampa

lunedì 14 dicembre 2015

Il bollo auto si prescrive in tre anni

La Regione Lombardia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano con la quale - in controversia concernente impugnazione di cartelle di pagamento per tassa automobilistica relativa agli anni 2000-2002 e notificata il 11.12.2009 - è stato respinto l'appello proposto dall'ente Regione avverso la sentenza della CTP di Milano n. 42/05/2011 che aveva accolto il ricorso della parte contribuente T.V..
La sentenza impugnata - dato atto che la contribuente aveva eccepito la tardività della cartella medesima perchè emessa dopo il decorso del termine prescrizionale triennale previsto dal D.L. n. 953 del 1982, art. 5 - ha ritenuto che nella specie di causa la notificazione dell'avviso di pagamento (avvenuta il 22.11.2005) aveva interrotto il decorso del termine prescrizionale per la sola annualità del 2002, dovendosi ritenere prescritte le altre annualità. Quanto al 2002, peraltro, la prescrizione non poteva considerarsi impedita dalla notifica della cartella l'11.12.2009, atteso il decorso del nuovo termine prescrizionale dal momento della definitività dell'avviso di accertamento di cui prima si è detto.
L'ente regione ha proposto ricorso affidandolo a unico motivo.
La contribuente non si è difesa.
Il ricorso - ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell'art. 375 c.p.c..
Il motivo unico di ricorso (centrato contempo sulla violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 37 e sulla violazione della L.R. n. 10 del 2003 , art. 94) appare infondato e da disattendersi.
Assorbente di ogni altro aspetto è la manifesta infondatezza del profilo di censura concernente la falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 10 del 2003, menzionato art. 94, a mente della quale, secondo la parte ricorrente, "il diritto alla riscossione delle somme dovute alla regione in base ad atto di accertamento tributario si prescrive entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui l'atto è divenuto definitivo". Secondo parte ricorrente, facendo applicazione di detta norma, il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere che il termine di prescrizione non era spirato.
Senonchè (anche a tacere dei profili di correlazione tra la disciplina applicata dal giudice del merito e quella invocata dalla parte qui ricorrente, a proposito dei quali non si potrebbe prescindere dall'applicazione dei principi richiamati dalla sentenza n. 288/2012 che ha rammentato che "La tassa automobilistica è tributo istituito e regolato da legge statale", dacchè poi le ulteriori conseguenze in tema di natura del predetto tributo siccome "tributo proprio derivato" delle regioni, sia pure solo a seguito e per effetto della emanazione della L. 5 maggio 2009, n. 42, in tema di "federalismo fiscale"; in termini si veda anche Corte Cost. n. 296/2003) risulta dal testo dell'art. 100 della menzionata legge regionale (così come pubblicata sul sito internet ufficiale della regione Lombardia) che: "Le disposizioni della presente legge si applicano con decorrenza dal periodo di imposta successivo alla data della sua entrata in vigore".
La disciplina prescrizionale invocata dalla parte ricorrente non potrebbe dunque in nessun caso essere applicata alle annualità dei tributi di cui qui si discute, da che consegue che - indipendentemente dalla maturata prescrizione di parte di dette annualità già in data antecedente alla notifica dell'avviso di accertamento - la pretesa dell'ente regione avrebbe dovuto essere dichiarata comunque prescritta anche per il decorso del termine fissato dalla legge statale, di cui ha fatto applicazione il giudice del merito, nel periodo intercorrente successivamente alla notifica dell'avviso di accertamento e prima della notifica della cartella di pagamento.
Non mette conto soffermarsi dunque sulla questione (subordinata in senso logico e perciò assorbita) dell'applicazione alla presente fattispecie del D.L. n. 269 del 2003, art. 37, che ha differito al 31.12.2005 il termine per il recupero della tasse qui in questione e concernenti i periodi di imposta di cui si tratta.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio per manifesta infondatezza.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2015.

fonte: www.giudicedipace.it//Corte di Cassazione n. 5839/2015 - il bollo auto si prescrive in tre anni - Giudice di Pace

Apologia dello Stato Islamico su internet: istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo

Con la pronuncia n. 47489 depositata il 1° dicembre 2015, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che integra l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 414 c.p. (Istigazione a delinquere), aggravato dalla finalità di terrorismo, la diffusione, su siti internet di libero accesso, di scritti, redatti in lingua italiana e rivolti ad un pubblico di soggetti radicati sul territorio nazionale, realizzati con stile incisivo e capaci di suscitare interesse e condivisione, che, data per presupposta la esecuzione di atti di terrorismo, esaltino la diffusione e l’espansione, anche con l’uso di armi, di una organizzazione terroristica, presentino personaggi ufficialmente classificati come terroristi nei documenti internazionali e contengano link a siti internet facenti capo all’organizzazione terroristica.

Nel caso sottoposto alla attenzione della Corte, il ricorrente era indagato per avere fatto apologia dello Stato Islamico pubblicamente e, in particolare, mediante la diffusione sulla rete internet di un documento, denominato: “Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”. Dalle indagini era emerso che l’indagato era in contatto con personaggi espulsi dal territorio dello Stato, nonchè con cittadini italiani convertitisi all’islam radicale. La perquisizione eseguita nei suoi confronti aveva permesso il rinvenimento di attrezzatura informatica contenente materiale rilevante dello stesso tipo e, nell’interrogatorio davanti al P.M., l’indagato, ammettendo di essere autore del documento, aveva sostenuto di aver voluto soltanto riportare ciò che il c.d. Stato islamico diceva di sè e aveva negato di avere aderito al contenuto del messaggio finale del testo, che invitava i Musulmani a supportare il “Califfato Islamico” e ad accorrere in suo aiuto.

La Corte di Cassazione ha preso le mosse ricordando come l’apologia possa avere ad oggetto anche un reato associativo e, quindi, anche il delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale di cui all’art. 270 bis c.p., cosicchè il pericolo concreto può concernere non solo la commissione di atti di terrorismo, ma anche la partecipazione di taluno ad un’associazione di questo tipo (art. 270 bis c.p., comma 2).

Ad avviso dei giudici, non può essere accolta la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui il documento diffuso su internet sollecitava solo un’adesione “ideologica” dei potenziali lettori allo “Stato islamico” e alle sue caratteristiche di “stato sociale”, attento al benessere dei suoi “cittadini”.

Al contrario, lo scritto in questione - afferma la Corte - presupponeva e accettava la natura combattente e di conquista violenta da parte dell’organizzazione (cioè l’esecuzione di atti di terrorismo), esaltava la sua diffusione ed espansione, anche con l’uso delle armi, distingueva l’umanità tra “un campo di Iman esente da ipocrisia e un campo di miscredenza esente da Iman” e valorizzava “la mappa della futura espansione del Califfato, che in poche parole è l’intero pianeta Terra”; faceva esplicito riferimento alle “molteplici fazioni militari Islamiche” alleate con il Califfo e riportava una frase del Portavoce ufficiale evocativa della conquista (“Vi promettiamo che, con il permesso di Allah, questa sarà la ultima vostra campagna. Verrà annientata e sconfitta come successe con tutte le vostre ultime campagne. Eccetto per cui questa volta saremo noi ad assaltarvi e non ci assalterete mai più. Se non saremo noi a raggiungervi saranno i nostri figli o i nostri nipoti“); ancora, il documento presentava personaggi ufficialmente classificati come terroristi nei documenti internazionali e conteneva diversi link a siti internet facenti capo all’organizzazione terroristica.

L’adesione che veniva sollecitata nei destinatari non era affatto soltanto “ideologica”, alla luce della caratteristica di documento scritto in italiano e rivolto ad un pubblico di soggetti radicati sul territorio nazionale, realizzato con stile incisivo e capace di suscitare interesse e condivisione: documento che indicava l’adesione al “Califfato” come obbligatoria sulla base di un’interpretazione corretta di tipo religioso (“Sappi che non hai diritto di opporre l’autorità di un Califfo scelto su una metodologia corretta, scelto dai Musulmani“) e che esplicitamente sosteneva l’adesione all’associazione (“Fratello e sorella in Allah, non è forse giunto il momento di supportare la Ummah? Non è forse il momento di aiutare i Musulmani e supportare il loro Califfato? Accorri al supporto del Califfato Islamico“).

Infine- conclude la sentenza – in tale contesto la natura pubblica dell’apologia è perfettamente integrata dalle modalità di diffusione del documento (peraltro, nel caso concreto, della potenzialità diffusiva della pubblicazione era pienamente consapevole l’indagato, tanto da sollecitarla su altro sito, chiedendo aiuto alla espansione del suo lavoro).

fonte: www.giurisprudenzapenale.com//Apologia dello Stato Islamico su internet: istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo

La coltivazione di due piantine di canapa indiana in casa non è reato

La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo si ulteriore diffusione di essa. Questo l’orientamento che la Cassazione ha deciso di condividere con la sentenza 43986/15.

Il caso

L’imputato ricorrere in Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze lo condannava per averlo riconosciuto responsabile della violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, per aver coltivato due piante di canapa indiana, atte alla produzione di sostanza stupefacente. Il motivo di ricorso che merita accoglimento è quello con il quale il ricorrente si duole, quanto alla coltivazione di piante atte alla produzione di stupefacente, la mancanza di offensività della condotta ascrittagli data la sua modestia, tale da giustificare la destinazione all’esclusivo uso personale. I giudici di legittimità hanno ricordato come sul punto la giurisprudenza non è stata sempre univoca.

Nel caso, in particolare, il Collegio ha deciso di condividere l’orientamento in base al quale «la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorchè il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, dovendosi per tale ritenersi la condotta che sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcun pericolo si ulteriore diffusione di essa». Si precisa, altresì, che ai fini della verifica in concreto della offensività della condotta di coltivazione, non è sufficiente considerare il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, ma è necessario esaminare anche quale sia «l’estensione della coltivazione, il livello di strutturazione di tale coltivazione al fine di verificare se da essa possa o meno derivare una produzione di sostanza stupefacente esulante rispetto all’autoconsumo, ma potenzialmente idonea ad incrementare il mercato».

La Corte rileva che, data la modestissima rilevanza quantitativa della piantagione, la sostanza da essa prodotta, in quanto destinata all’autoconsumo, non aveva minimamente l’attitudine ad incrementare il mercato degli stupefacenti. Ciò rende manifestamente illogico il ragionamento accusatorio della Corte territoriale. Questo il motivo per il quale la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al capo relativo alla coltivazione, perché il fatto non sussiste e ha rinviato, in ordine al trattamento sanzionatorio, ad altra sezione della Corte d’appello.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La coltivazione di due piantine di canapa indiana in casa non è reato - La Stampa

domenica 13 dicembre 2015

Test (a sorpresa) anti alcol anche per gli insegnanti

Come i chirurghi, i piloti, i responsabili di depositi di fuochi d’artificio, i macchinisti di treni ad alta velocità. Gli insegnanti piemontesi, in base a una recente delibera regionale che ha rinnovato le prescrizioni di un precedente atto del 2012 mai davvero messe in pratica, dovranno sottoporsi a visita medica per individuare l’eventuale dipendenza da alcol. Il medico competente, responsabile della sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro, deciderà poi chi dovrà fare (a sorpresa) anche il test alcolimetrico. Della questione si è parlato nei giorni scorsi nelle conferenze di servizio convocate dall’Ufficio scolastico regionale e da allora le scuole - che per «povertà» avevano fin qui ignorato la delibera - hanno un problema in più e, in prospettiva, molti soldi in meno. Già nel 2012 i conti, per una scuola da mille allievi, ammontavano ad almeno 4000 euro l'anno. Per i presidi, uno spreco: individuare e sottoporre a visita medica un dipendente etilista è possibile senza costosi test a tappeto.

La scelta

Perché il Piemonte si trovi a fronteggiare questo problema, lo riassume Antonietta Di Martino, referente per la sicurezza dell’Usr: «Nel 2006 la Conferenza Stato-Regioni ha stilato l’elenco delle mansioni a rischio e ha inserito gli insegnanti, dal nido alle superiori, in quanto a loro sono affidati gli allievi. L’articolo 41, comma 4 bis del Testo Unico del 2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ha poi demandato alla Conferenza di definire le modalità dell’accertamento». La maggioranza delle regioni, in attesa di indicazioni, si è fermata. La giunta Cota, invece, aveva interpretato la legge come operativa. «La delibera del 2012 aveva definito le linee di indirizzo - visita annuale per tutti e test ogni tre anni - stabilendo un periodo di osservazione di un anno a cui sarebbe seguito un nuovo provvedimento, arrivato in ottobre».

Le novità

La nuova delibera alleggerisce un po’ le prescrizioni, ma di fatto le rende operative. «Il medico decide chi sottoporre al test sulla base della visita solo se sospetta alcoldipendenza. L’Usr - aggiunge Antonietta Di Martino - ha chiesto alla Regione di chiarire formalmente la periodicità delle visite, costose. Il vero obiettivo, però, è di arrivare ad eliminare l’insegnamento dall’elenco vista la sproporzione tra rischio e misure da adottare». In questo senso pare si possa ben sperare. «In novembre il ministero della Salute ha inviato un nuovo elenco di attività da sottoporre alla Conferenza unificata: l’insegnamento non c’è». Resta da chiarire quando la Conferenza potrà occuparsi della faccenda.

Intanto, osserva il preside Tommaso De Luca, presidente dell’Asapi, Associazione scuole autonome del Piemonte, «ci sono medici che non accettano l’incarico dalle scuole perché dicono che se non si procede con le visite si è in posizione di illegittimità. Per le scuole di base la spesa è enorme, per tutte è denaro che può essere usato molto meglio». Per Teresa Olivieri, segretaria Cisl Scuola Torino, «se il problema c’è, ci sono già anche i mezzi per affrontarlo. Essere messi tutti sotto accusa con il sospetto è inaccettabile». E Cosimo Scarizi della Cub Scuola ricorda l’unico caso di visite svolte a Torino: «Per renderle economiche erano state fatte in modo inaffidabile. E noi avevamo organizzato un brindisi davanti alla scuola».

fonte: www.lastampa.it//Test (a sorpresa) anti alcol anche per gli insegnanti - La Stampa

Libretto postale sequestrato per ricettazione: non serve che il denaro provenga dal reato

Sono legittimamente confiscabili i beni e le altre utilità di cui il condannato per determinati reati non possa giustificare la provenienza, senza che rilevi se tali beni siano o meno derivanti dal reato per cui è stata pronunciata condanna. Lo ha confermato la Cassazione con la sentenza 42005/15.

Il caso

Il gip aveva disposto il sequestro preventivo del libretto postale intestato ad un uomo in relazione al reato di ricettazione. L'uomo propone istanza di riesame contro il decreto, che è respinta dal Tribunale. Per la cassazione di tale ordinanza ricorre l’uomo, lamentando di aver dimostrato la provenienza lecita di parte del denaro sequestrato, mentre la restante somma doveva ritenersi compatibile con la regolare presenza del ricorrente e della sua compagna sul territorio nazionale in relazione ai redditi leciti da entrambi prodotti.

Gli Ermellini hanno in primis chiarito che il sequestro nel caso di specie è stato disposto ai sensi degli artt. 321 c.p. (Pene per il corruttore) e 12 sexies l. n. 356/1992 (Ipotesi particolari di confisca), che prevede in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per una serie di reati - fra i quali la ricettazione -, la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, ove sia provata, da un lato, l’esistenza di una sproporzione fra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica ed il valore economico di detti bene e, dall’altro, che non vi sia una giustificazione credibile in ordine alla provenienza dei suddetti beni.

Non rileva che i beni derivino dal reato per cui è pronunciata la condanna. Ancora più specificatamente, continuano i Giudici di Piazza Cavour, sono legittimamente confiscabili a norma del succitato art. 12 sexies i beni e le altre utilità di cui il condannato per determinati reati non possa giustificare la provenienza, senza che rilevi se tali beni siano o meno derivanti dal reato per cui è stata pronunciata condanna. Il legislatore, infatti, ha introdotto una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, che può peraltro essere superata per mezzo di una giustificazione circa la legittimità della provenienza dei beni da parte dei soggetti che hanno la titolarità o la disponibilità dei beni; per assolvere tale onere, da un lato, basta che sia fornita la prova di un rituale acquisto, essendo necessario che i mezzi impiegati per il relativo negozio derivino da legittime disponibilità finanziarie, e, dall’altro, non si richiede che gli elementi allegati siano idonei ad essere valutati secondo le regole civilistiche sui rapporti reali, possessori o obbligazionari, ma solo che essi, valutati secondo il principio della libertà della prova e del libero convincimento del giudice, dimostrino una situazione diversa da quella presunta. Un tale quadro, quindi, concludono dal Palazzaccio, se non implica la «sufficienza di prospettazioni meramente plausibili», neppure «coincide con un concetto di rigorosa prova». Con riferimento al caso di specie, la Corte territoriale ha fornito motivazione logica e congrua, basata su motivazioni insindacabili in sede di legittimità, e pertanto il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso in esame.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Libretto postale sequestrato per ricettazione: non serve che il denaro provenga dal reato - La Stampa

Al Giudice di pace le controversie relative al godimento dei singoli condomini sulle parti comuni

Rientrano nella competenza del Giudice di pace le controversie relative alle modalità d’uso dei servizi di condominio. Viceversa, vanno ricomprese nella competenza del Tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza 21910/15.

Il caso

La pronuncia nasce dalla controversia incardinata dagli attori al fine di veder condannati i convenuti a rimuovere quanto dagli stessi depositato negli spazi condominiali comuni antistanti le proprie unità immobiliari; gli attori, inoltre, chiedevano dichiararsi il divieto di analogo utilizzo di tali spazi per il futuro. I convenuti, costituendosi in giudizio, avevano eccepito l’incompetenza per materia del Tribunale in favore del gdp.

Il Tribunale dichiarava la propria incompetenza per essere competente il gdp ex art. 7, comma 3, n. 2), c.p.c., dal momento che oggetto della controversia - alla luce del regolamento condominiale e delle successive delibere dell’assemblea - , erano la modalità di utilizzo della cosa comune e non il diritto dei convenuti all’utilizzo delle parti comuni antistante le rispettive abitazioni Avverso tale ordinanza, gli attori proponevano ricorso per cassazione, sostenendo la competenza del Tribunale sul presupposto che la causa vertesse non sull’accertamento delle modalità con cui i convenuti potevano occupare gli spazi comuni, ma se, tout court, avessero il diritto di farlo.

Competono al gdp le controversie relative all’uso della cosa comune. In relazione alle doglianze dei ricorrenti, gli Ermellini hanno condiviso quanto affermato dal pm nella propria requisitoria. Questi aveva rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, le controversie relative alle modalità d’uso dei servizi di condominio rientrano nella competenza del gdp, sia che si tratti «di riduzioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle parti comuni», sia che «si verta in tema di limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in proporzione alle rispettive quote».

Al contrario, vanno ricomprese nella competenza del Tribunale le liti relative ai limiti di esercizio del diritto del condomino sulla sua proprietà e, quindi, alle limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà esclusiva imposte da un atto di obbligo, come, ad esempio, potrebbe essere una clausola regolamentare limitativa. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, nel caso di specie la controversia attiene a diritti comuni, ossia al godimento dei singoli condomini sulle parti comuni, e non alla proprietà esclusiva del singolo condomino.

La materia del contendere dedotta in giudizio, infatti, concludono dal Palazzaccio, in accordo alla ricostruzione dei giudici di merito, riguarda le modalità di uso della cosa comune. Per tutte le ragioni sopra esposte, la Corte ha dichiarato la competenza del giudice di pace.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Al Giudice di pace le controversie relative al godimento dei singoli condomini sulle parti comuni - La Stampa

sabato 12 dicembre 2015

Denunce in lingua straniera

Gli stranieri potranno presentare, alla procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, la denuncia o querela nella propria lingua e ottenere gratuitamente la traduzione della relativa attestazione. Rafforzati i diritti della vittima a conoscere e ricevere, nella propria lingua, gli atti essenziali per una sua migliore e consapevole partecipazione al processo sin dal primo contatto con l’autorità. Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Matteo Renzi e del ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato ieri, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2012/29/Ue che istituisce norme in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. Il decreto (in merito al quale il guardasigilli ha parlato via Twitter di «più diritti, assistenza e protezione») si rivolge in modo particolare a chi, vittima di un reato, si dovesse trovare in condizione di particolare difficoltà come, ad esempio, le donne, i minori, gli stranieri con (appunto) difficoltà con la lingua italiana e a chi ha subito violenza. Il decreto legislativo apporta parziali modifiche al sistema normativo vigente. Alcune sono di particolare rilievo per l’ordinamento processuale penale, come la previsione secondo la quale, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge possano essere esercitati, oltre che dal coniuge, anche dalla persona legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. Nel decreto è introdotta la definizione di vulnerabilità della vittima, che ora è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Nella valutazione della condizione della persona offesa si terrà conto quindi se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile a criminalità organizzata, terrorismo o tratta degli esseri umani, se ha finalità di discriminazione e se la vittima è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato.

fonte: www.italiaoggi.it//Denunce in lingua straniera - News - Italiaoggi

venerdì 11 dicembre 2015

Inadeguatezza cronica di mamma e papà: adottabilità per salvare il figlio

Carenze croniche, quelle dei genitori. Il padre, in particolare, presenta una personalità caratterizzata da una marcata propensione alla delega e da astratte, irrealistiche prospettive esistenziali. Nessuna possibilità di recupero, quindi. Ecco perché l’adozione è l’unico strumento per tutelare il figlio della coppia (Cassazione, sentenza 23624/15).

Il caso

Nessun dubbio per i giudici d’appello. È necessario salvaguardare il minore, che rischia di essere vittima dell’inadeguatezza dei due genitori. Così viene pronunciata la «adottabilità». Decisive le «risultanze della consulenza tecnica d’ufficio», integrate con le «circostanze fattuali negative relative alle caratteristiche comportamentali» della coppia. Tale quadro ha spinto i giudici a ritenere non percorribili «misure alternative», quali «l’affidamento eterofamiliare o l’adozione di concrete misure di sostegno nei confronti del padre». Proteste inevitabili da parte dei due genitori. Consequenziale il ricorso in Cassazione, finalizzato a mettere in discussione la «adottabilità» del figlio.

Diversi gli elementi richiamati a proprio favore dalla coppia. Lei, ad esempio, si sofferma sul «miglioramento» delle proprie «condizioni di vita», mentre lui richiama la «sofferenza inflitta al bambino con il distacco dai genitori». Ma, assieme, padre e madre contestano soprattutto lo «stato di abbandono» del figlio, condizione ritenuta evidente dai giudici. Tutte le obiezioni mosse dalla coppia, però, si rivelano inutili. Ciò che emerge, secondo i Giudici del Palazzaccio, è innanzitutto la «inidoneità» della coppia, che non ha tratto alcun profitto da «anni di sostegno da parte dei Servizi alla genitorialità».

Decisivi, in questa ottica, alcuni «colloqui» e «un’ampia osservazione dei genitori». E su questo fronte i Giudici tengono a ribadire che «è possibile operare una valutazione delle capacità genitoriali senza bisogno di osservare il concreto rapporto padre-bambino». Evidente, in sostanza, il fatto che le «carenze» dei due genitori siano «irreversibili, non emendabili e non recuperabili in tempi compatibili con le esigenze del minore». Altrettanto chiari i «danni» provocati dalla mancanza di «capacità» nei due adulti di «progettare una vita per il figlio»: significativa, a questo proposito, l’analisi della personalità del padre, caratterizzato da «una marcata propensione alla delega» e da «astratte, irrealistiche prospettive esistenziali». Da confermare, quindi, senza tentennamenti l’«adottabilità» del minore.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Inadeguatezza cronica di mamma e papà: adottabilità per salvare il figlio - La Stampa

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...