martedì 4 agosto 2015

Escluso il delitto di maltrattamenti se manca la convivenza

Il rapporto sentimentale, sia pure di una certa durata, che difetti di qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità, quale la convivenza, non consente di ritenere creatasi neppure quella situazione di minore reattività nella vittima, generata dall'affidamento e che consente di configurare il delitto di maltrattamenti (Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 22/07/2015, n. 32156).

Il caso concreto e l’iter motivazionale seguito dalla corte regolatrice

La Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale ambrosiano del 13/12/2013 confermava la penale responsabilità dell’imputato Tizio in relazione ai contestati reati di maltrattamenti in famiglia, danneggiamento e lesioni aggravate e, esclusa la recidiva, rideterminava in anni tre e mesi sei di reclusione la pena finale, confermando le statuizioni civili.

La difesa dell’imputato interponeva gravame di legittimità avverso la sentenza del Giudice di secondo grado contestando, tra gli altri, la sussistenza della fattispecie delittuosa di maltrattamenti in famiglia e di cui all'art. 572 cod. pen. osservando, nello specifico, l'assenza di un vincolo matrimoniale e di convivenza o comunione di vita dell'imputato con la persona offesa; pur sempre sul punto la difesa dell’imputato evidenziava ulteriormente che la situazione di comunanza di vita tra l’assistito e la presunta persona offesa non solo non risultava essere emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ma non poteva ravvisarsi neppure nell’esercizio in comune di un’attività economica, la quale risultava priva dei connotati strutturali dell'impresa familiare.

La difesa dell’imputato censurava, altresì, il tratto motivazionale del giudice a quo in cui ravvisava la sussistenza in concreto dell'elemento oggettivo del reato di cui all’art. 572 cod. pen., sulla scorta della mancata emersione, sul piano probatorio, del requisito dell'abitualità dei fatti di vessazione che pure costituisce, per stratificata giurisprudenza, l’ubi consistam del protocollo di tipicità oggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia.    

La Corte regolatrice ha accolto il ricorso sui punti sopra evidenziati, osservando come il Giudice a quo non abbia fatto buon governo dei principi di diritto che presiedono alla configurazione, sul piano della materialità, del delitto abituale di maltrattamenti in famiglia.

Segnatamente, per quanto pacifica la sussistenza di specifici atti aggressivi, fisici e verbali, posti in essere dall’imputato nei confronti della persona offesa, non appare possibile, a parere del Giudice della Nomofilachia, qualificare il complesso di tali condotte come tipiche rispetto ai lineamenti strutturali di tipicità del delitto di cui all'art. 572 cod. pen.

Ciò in quanto, come sostenuto dalla difesa, tra il ricorrente e la persona offesa non si è mai instaurata una vera e propria convivenza, sussistendo esclusivamente un legame sentimentale, con carattere non continuativo, la cui stabilità era rimessa alla determinazione emozionale dei due soggetti, nei vari momenti della sua persistenza; legame che, proseguono gli Ermellini, se per un verso aveva portato i due protagonisti della vicenda processuale a condividere alcuni episodi della loro vita ed a prestarsi mutua assistenza, in concomitanza con episodi difficili, quali i postumi invalidanti di un incidente stradale, che sono caratterizzati da accidentalità (ed in quanto tali non possono considerarsi programmati); per altro verso, non possono consentire, appunto, di predicare un sufficiente grado di stabilità ed un carattere continuativo propri di un rapporto di convivenza. Tanto più che neppure la sopravvenienza infausta ha indotto le parti processuali, anche solo per periodi limitati, a condividere l'abitazione, risultando per ciascuno dei due la decisione di fermarsi a casa dell'uno o dell'altro, rimessa a determinazione estemporanea.

Prosegue il Custode delle Leggi osservando come dagli atti di causa sia emerso che una condivisione di interessi con carattere di maggiore stabilità sia derivata solo da un rapporto di affari tra le parti processuali e generata dalla scelta della persona offesa di offrirsi quale legale rappresentante della società costituita dall’imputato; ciò in considerazione del fatto che l’imputato non poteva intestarsi direttamente la licenza d'esercizio, in ragione della presenza di precedenti penali a suo carico, pur possedendo la quota di maggioranza della società.

Precisa ulteriormente il Giudice della Nomofilachia, che dalle emergenze processuali è, altresì, emerso che la maggior parte degli atti aggressivi, di natura fisica e verbale tra le parti processuali, sono maturati proprio in conseguenza dei contrasti insorti sul piano delle modalità gestorie della compagine sociale: circostanza che impedisce un’univoca correlazione tra tali atti di aggressione e l'atteggiamento di costante prevaricazione e squalificazione di uno dei componenti nel nucleo familiare, che connota di tipicità il reato contestato.

Sulla scorta di tali considerazioni la Corte di cassazione ha escluso la riconducibilità del compendio di atti di aggressione fisica e verbale posti in essere dall’imputato nei confini di tipicità strutturale del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 cod. pen., in considerazione del fatto che la detonazione di tale modulo di incriminazione, per espressa disposizione normativa, risulta circoscritta ad attività di natura abituale che maturi nell'ambito di una comunità consolidata - famiglia, piccola azienda, contesti nei quali si realizza un affidamento di natura precettiva o di accudimento, anch'essi con carattere di tendenziale stabilità - la cui specifica elencazione, oltre a porre all'interprete dei rigidi criteri ermeneutici, connessi all'esigenza della necessaria tipicità della fattispecie penale, impone di ricercare le note di tipicità di tali condotte anche nelle situazioni ad esse assimilabili.

Caratteristiche delle formazioni sociali che fungono da incubatori di sistemi di prevaricazioni e vessazioni detonanti il modulo di incriminazione di cui all’art. 572 c.p.

L’importante abbrivio giurisprudenziale consente di ripercorrere efficacemente i tasselli strutturali che caratterizzano la fattispecie di maltrattamenti normativizzata all’art. 572 cod. pen., che punisce chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.

Anzitutto ci versa al cospetto di un illecito di modalità di lesione, nel senso che la tecnica descrittiva impiegata dal legislatore per tipizzare la fattispecie criminosa in disamina evidenzia la necessità del rispetto del principio di tassatività-determinatezza. Si vuole dire che ai fini della configurabilità concreta della fattispecie di maltrattamenti occorre che gli atti di prevaricazione e vessazione si collochino all’interno di un vero e proprio sistema di aggressione, vale a dire risultino tali da inserirsi entro un chiaro ed inequivocabile circuito di abitualità. In altri termini, la condotta tipizzata all’art. 572 cod. pen. consiste nel maltrattare specifici soggetti, legati all'autore del reato da un vincolo di relazione familiare o da vincolo di cura e di custodia. Il modulo di incriminazione in disamina, infatti, delinea precisamente le caratteristiche di cui deve essere in possesso la persona offesa, al punto che può definirsi il delitto di maltrattamenti in famiglia quale “reato a vittima determinata”, in considerazione del fatto che soggetto attivo e passivo devono essere legati da una relazione, per così dire, qualificata.

Alla base di tali relazioni intersoggettive viene edificandosi, per tal guisa, un necessario quanto intuibile affidamento di un soggetto, quello più debole, verso l'altro; affidamento dal quale originano aspettative di determinati comportamenti intersoggettivi.

Sul piano della materialità il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato da atti di sopraffazione sistematica tali da rendere particolarmente dolorosa la stessa convivenza, cui fa da pendant, sul piano psicologico, la consapevolezza e la volontà di avvilire e sopraffare la vittima e la riconducibilità ad unità dei vari episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima.

Approfondendoci nell’analisi del reato si consideri come la natura abituale che caratterizza tale reato presuppone che un sistema di prevaricazioni e di vessazioni posti in essere da un soggetto nei confronti del succube avvenga all’interno di una comunità consolidata, comunque dotata del carattere della stabilità, la quale può individuarsi nella famiglia o anche in una piccola azienda, purché risultino rispettati i rigidi criteri ermeneutici tracciati dal modulo di incriminazione.

Insomma, la tutela penalistica disposta dall’art. 572 cod. pen. viene accordata a tutte quelle “formazioni sociali ove si svolge la personalità” del singolo individuo, dunque, anche alla cosiddetta famiglia di fatto, purché i relativi rapporti risultino caratterizzati da una stabile convivenza e da una comunanza di vita e interessi.

In ordine alla individuazione delle comunità dotate di quel minimum di stabilità necessario ad incardinarvi una condotta sistematica di vessazioni e prevaricazioni rilevante ex art. 572 cod. pen., si consideri come nell’ambito della riflessione giurisprudenziale si sia registrato un allargamento degli spazi di operatività della fattispecie criminosa: ad esempio, si è ampliato il concetto di famiglia, estendendolo oltre alla mentovata famiglia di fatto, anche alle nuove modalità di organizzazione di vita personale. Pur fungendo, per così dire, da “organo respiratore” il modulo di incriminazione in disamina deve risultare in ogni caso coerente e rispettoso del principio di legalità nella dimensione di tassatività-determinatezza: con la conseguenza, per ciò stesso, che la previsione incriminatrice in tanto opererà, in quanto si versi al cospetto di formazioni dotate di caratteri di sostanziale stabilità derivanti da manifestazioni concrete, quali, per l'appunto, la scelta di condividere un'abitazione, o la costanza nella prestazione della mutua assistenza, comunque idonee ad evidenziare una stabile scelta di assunzione di responsabilità dell'uno nei confronti dell'altro, in grado di generare un percepibile affidamento tra le parti; solo in tali casi, infatti, potrà entrare in gioco, a fronte di una condotta sistematicamente aggressiva, il reato abituale che offre alimento al presente contributo.

Analizzato a contrario, il delitto abituale di maltrattamenti non risulterà integrato, dunque, nel suo protocollo di tipicità oggettiva ove il sistema di vessazioni e prevaricazioni venga instaurato ai danni di un soggetto che faccia parte di un contesto sociale dotato del carattere della precarietà o della occasionalità, il quale non può evidentemente indurre, alla edificazione di rapporti di forza che trasmodino nell'esercizio di violenza fisica e verbale di un soggetto nei confronti dell’altro.

In altri termini, solo la sussistenza di un consorzio dotato di una certa stabilità può instaurare una situazione, per così dire, di succulenza e risulta in grado di indurre ad una minore reazione della vittima, che per tali motivi potrebbe non ritenere opportuno reagire o non esserlo in grado di farlo.

Del resto, proprio sul piano della politica criminale la facile incubazione nelle formazioni sociali ristrette di gravi forme di prevaricazione, correlate alla maggiore difficoltà di reazione della vittima, ha condotto il legislatore ad edificare una forma di tutela rafforzata che, in armonia con il formante costituzionale (art. 2 Cost.), in tanto può operare nel caso concreto, in quanto si ravvisino gli elementi tipici della convergenza di interessi personali, organizzati in forma stabile.

Calando nuovamente le considerazioni nello stampo della fattispecie concreta emerge come nonostante l’accertata presenza di un rapporto sentimentale, dotato di una certa durata e che è stato caratterizzato da numerosi momenti di crisi, tale rapporto non è mai pervenuto alla condivisione dell'abitazione; con la conseguenza che l’unico elemento di stabilità caratterizzante la mentovata relazione sentimentale è da individuarsi nel perdurare del legame nel tempo, oltre che nella dichiarata profondità dei sentimenti di entrambi.

Risulta a questo punto facilmente apprezzabile come, nel caso in esame, tale rapporto sentimentale non risulti neppure lontanamente riconducibile alla famiglia di fatto, essendo mancata qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità, con l’ovvio corollario che la precarietà di tale relazione non può detonare situazioni di minore reattività nella vittima, generata da una qualche forma di affidamento.

Con la conseguenza che correttamente il Giudice di legittimità ha escluso la conformità della fattispecie concreta al protocollo di tipicità del delitto di maltrattamenti per insussistenza del fatto come qualificato.

Tirando le briglia dell’argomentazione giuridica, il rapporto sentimentale, sia pure di una certa durata, che difetti di qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità, quale la convivenza, non consente di ritenere creatasi neppure quella situazione di minore reattività nella vittima, generata dall'affidamento e che consente di configurare il delitto di maltrattamenti.

fonte: www.quotidianogiuridico.it//Escluso il delitto di maltrattamenti se manca la convivenza - Il Quotidiano Giuridico

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