giovedì 30 luglio 2015

Furto aggravato: sulla configurabilità della destrezza ex art. 625 c.p. n. 4 ( Cass. Pen. 9374/2015)

Con la pronuncia numero 9374 del 4 marzo 2015 la seconda sezione penale ha preso posizione in merito alla configurabilità della aggravante dell’uso della destrezza nel delitto di furto di cui all’art. 625 c.p. n. 4 (La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.032 se il fatto è commesso con destrezza).

I giudici hanno preso le mosse osservando come sul punto esistano due diversi orientamenti giurisprudenziali:

Un primo orientamento (cfr., Sez. 6, sent. n. 23108 del 07/06/2012, dep. 12/06/2012) riconosce l’aggravante della destrezza (ex art. 625 c.p., comma 1, n. 4) “nella particolare abilità di cui si avvale l’autore del furto per sorprendere l’attenzione della persona offesa nella custodia della cosa, quando l’agente approfitti di una condizione contingentemente favorevole e di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente lasciato la vigilanza sulla cosa perchè impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, per curare attività di vita o di lavoro” (nella fattispecie, l’azione furtiva era stata commessa all’interno di uno studio medico durante l’assenza del sanitario “impegnato in attività di cura in una stanza contigua”).

Tale approdo ermeneutico – si legge in sentenza – non rappresenta un episodio isolato nel panorama nomofilattico atteso che, già in precedenti occasioni, la Suprema Corte aveva reso pronunce di sostanziale analogo tenore (cfr., sent. n. 45488 del 08/07/2008 con cui si era affermato che integra “il reato di furto con destrezza la condotta di chi, approfittando del temporaneo allontanamento del proprietario per effettuare un prelievo allo sportello “self-service” di un centro commerciale, sottragga dall’abitacolo della vettura, lasciata incustodita ed aperta, danaro ed altri effetti personali“), riconoscendo che, per destrezza, si deve intendere “quella condotta significativamente volta all’approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea ad attirare l’attenzione della persona offesa distogliendola dal controllo e dal possesso della cosa” (Sez. 1, sent. n. 3763 del 27/02/1998).

Un secondo orientamento ritiene che, in tema di furto aggravato, “la condotta di destrezza è quella qualificata da modalità dell’azione – connotata da particolare agilità e sveltezza, con mosse o manovre particolarmente scaltre – che si aggiungono all’attività di impossessamento e che si connotano per la loro idoneità a eludere la sorveglianza dell’uomo medio, impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso opponendovisi tempestivamente e in costanza del fatto” (Sez. 4, sent. n. 42672 del 19/04/2007), atteso che, ciò “che caratterizza la destrezza, infatti, è la circostanza che l’agente si avvalga di una sua particolare abilità per distrarre la persona offesa, per indurla a prestare attenzione ad altre circostanze o, in sintesi, ad attenuare comunque la sua attenzione difensiva contro gli atti di impossessamento delle sue cose” (Sez. 4, sent. n. 11079 del 22/12/2009; nello stesso senso, sez. 4, sent. n. 13491 del 13/11/1998, secondo cui in tema di furto aggravato, la destrezza si ravvisa quando la condotta dell’agente sia connotata da particolare agilità, sveltezza, callido artificio ed atteggiamenti, mosse o manovre particolarmente scaltre ed ingannevoli, tali da eludere la pur vigile attenzione dell’uomo medio impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso opponendovisi tempestivamente ed in costanza del fatto, senza che perciò possa assumere rilievo il fatto che la sottrazione sia scoperta anche subito dopo il suo avverarsi).

Aderendo a questo diverso percorso argomentativo, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza dell’aggravante della destrezza in un caso analogo e, segnatamente, laddove “il ladro si impossessi di un bene presente all’interno di un autoveicolo lasciato temporaneamente incustodito dal proprietario” (Sez. 4, sent. n. 14992 del 17/02/2009; in senso similare, Sez. 5, sent. n. 26560 del 16/03/2011, secondo cui non può ravvisarsi la circostanza aggravante della “destrezza” nell’impossessamento della mercè esposta sugli scaffali nei grandi magazzini. Tale aggravante, infatti, presuppone comunque un’abilità, sia pure non necessariamente eccezionale, per far sì che il derubato non possa accorgersi della sottrazione, e l’approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea appunto a sviare l’attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo che normalmente viene esercitato sulla cosa al fine di garantirsene il possesso. Sono situazioni, queste, che non ricorrono nell’ipotesi del furto di che trattasi, per la cui realizzazione non è richiesto un “quid pluris” rispetto all’ordinaria materialità del fatto-reato, ossia a quanto comunemente necessario per porre in essere la condotta furtiva consistente nella sottrazione della cosa e nel conseguente suo impossessamento).

Con la pronuncia che si segnala la Corte ha aderito al secondo degli orientamenti sopra citati.

Innanzitutto, vi sono considerazioni di ordine teleologico. Infatti, dal momento che la “ratio dell’aggravante della destrezza – che è quella di sanzionare più pesantemente l’aggressione al patrimonio altrui in condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente” (Sez. 5, sent. n. 15262 del 23/03/2005) e, considerato che, la destrezza persegue l’obiettivo di eludere la vigilanza della vittima sulla cosa, va da sè che una azione può considerarsi tale nella misura in cui sia compiuta con abilità e con scaltrezza; cosa questa ben diversa dal limitarsi a prevelare una res lasciata incustodita.

In secondo luogo, autorevole dottrina ha avallato da tempo tale costrutto interpretativo. In effetti, già subito dopo l’entrata in vigore del Codice Rocco, è stato rilevato che il “concetto di “destrezza” comprende tutti quei modi di commissione del delitto che consistono nell’esplicazione d’una speciale abilità fisica del ladro, tale da poter eludere, sviare o impedire che si ridesti l’attenzione dell’uomo medio, anche se in concreto non consegua lo scopo. Del resto, anche il più recente “sapere giuridico” ha evidenziato in egual modo che il concetto di destrezza, per unanime definizione di dottrina e giurisprudenza, indica una particolare abilità, astuzia, sveltezza nel commettere il fatto, posto che la destrezza presuppone l’esistenza di una abilità straordinaria, e cioè deve evidenziare una capacità superiore e tale comunque da saper evitare la vigilanza normale dell’uomo medio.

Facendo applicazione di tali principi, nel caso di specie non ritiene il Collegio di poter condividere l’assunto del ricorrente secondo cui la destrezza “sarebbe consistita nel fatto che l’imputato, dicendo alla parte offesa e alle altre due persone che stavano lavorando con lui al primo piano, che aveva bisogno di andare al bagno (che si trovava invece al piano terreno dello stabile nel quale i quattro lavoravano) riusciva in tal modo a recarsi in modo indisturbato nel negozio sottostante dove la parte offesa aveva lasciato il telefonino ed altri beni nell’abitacolo aperto della propria autovettura e ad impossessarsene approfittando della disattenzione della parte offesa impegnata a lavorare e che era stata comunque da lui tratta in inganno con la suddetta giustificazione”.

Nella fattispecie, infatti, nessuna particolare abilità il reo ha posto in essere (se non la mera affermazione labiale seguita dalla condotta di doversi allontanare per raggiungere il bagno) finalizzata a distrarre la persona offesa ovvero ad attenuare la propria attenzione difensiva a protezione dei propri beni (che, in ogni caso, la persona offesa non stava direttamente “proteggendo” essendo fisicamente lontani dalla propria sfera di vigilanza e controllo) che, come si è visto, deve caratterizzare l’aggravante della destrezza.

Ma non solo. Pur se l’argomento assume carattere di ultroneità rispetto al decisum, va detto che, proprio la manifestata esplicita richiesta di allontanamento, lungi dallo sviare l’attenzione della persona offesa, ben avrebbe potuto indurre quest’ultima – al contrario – ad ipotizzare possibili altrui condotte di reato e ad attivare azioni protettive di prevenzione e/o di controllo finalizzate ad impedire la condotta del malintenzionato: da qui il rigetto del ricorso del pubblico ministero.

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