sabato 6 giugno 2015

Abolire la contenzione dei pazienti psichiatrici e degli anziani

1. Il Comitato Nazionale per la Bioetica torna a occuparsi del problema delle pratiche coattive e coercitive nei luoghi di cura. Questa volta lo fa con un parere specificatamente dedicato alla contenzione ("La contenzione: problemi bioetici", 23 aprile 2015) nei confronti di pazienti psichiatrici e degli anziani, e con particolare riguardo alla forma che più solleva riserve dal punto di vista etico e giuridico, ossia all'atto del "legare" il malato con l'uso della forza e contro la sua volontà (c.d. contenzione meccanica).
La decisione di portare nuovamente l'attenzione su questo tema nasce dalla constatazione che la contenzione meccanica, nonostante numerose prese di posizione di organismi nazionali e sovranazionali che puntano al suo superamento, è ancora largamente applicata e non si intravedano sforzi decisivi alla sua risoluzione e neppure una sufficiente sensibilità alla gravità del problema né da parte dell'opinione pubblica né delle istituzioni.
2. Il Consiglio Nazionale per la Bioetica ribadisce, con questo nuovo parere, l'obiettivo del progressivo superamento della contenzione - considerata residuo di una cultura istituzionale che affonda le radici in una tradizione medico-assistenziale poco attenta alla relazione terapeutica e alla soggettività del paziente - nel quadro di una politica sanitaria che assuma il «riconoscimento della persona come tale, nella pienezza dei suoi diritti (prima ancora che come malato e malata)» come nuovo paradigma della cura e presupposto di efficacia dell'intervento terapeutico. Nell'odierno orizzonte bioetico, la contenzione è in sé da disapprovare, indipendentemente dalle ragioni per cui la si applichi, in quanto lesiva dei diritti fondamentali della persona, i quali non ammettono limitazioni in nome del principio di beneficialità. Il fatto che in situazioni del tutto eccezionali sia possibile per i sanitari ricorrere alla contenzione non toglie forza alla regola bioetica che proibisce di "legare".
Il parere sottolinea, altresì, i limiti rigorosi entro cui la contenzione è giustificata sul piano giuridico. Dal momento che a venire in rilievo sono i diritti fondamentali della persona, il ricorso alle tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare l'extrema ratio e si deve ritenere che, anche nell'ambito del Trattamento Sanitario Obbligatorio, possa avvenire solamente in situazioni di reale necessità e urgenza, in modo proporzionato alle esigenze concrete, utilizzando le modalità meno invasive e solamente per il tempo necessario al superamento delle condizioni che abbiano indotto a ricorrervi. In altre parole, non può essere sufficiente che il paziente versi in uno stato di mera agitazione, bensì sarà necessaria, perché la contenzione sia "giustificata", la presenza di un pericolo grave e attuale che il malato compia atti auto-lesivi o commetta un reato contro la persona nei confronti di terzi. Nel momento in cui tale pericolo venga meno, il trattamento contenitivo deve cessare, giacché esso non sarebbe più giustificato dalla necessità e integrerebbe condotte penalmente rilevanti.
3. Si può davvero fare a meno di legare nei luoghi di cura anziani e sofferenti psichici?
L'esistenza di servizi che hanno scelto di non applicare la contenzione, e che nemmeno dispongono di strumenti di contenzione, oltre al successo di programmi tesi a monitorare e ridurre questa pratica, confermano che si tratta di un obiettivo realistico. La soluzione non sta, ovviamente, nella sostituzione della contenzione farmacologica alla contenzione meccanica.
Se nella decisione dei sanitari di legare il paziente un ruolo decisivo rivestono - come emerge dalle ricerche svolte in Italia e all'estero - la cultura, l'organizzazione dei servizi e l'atteggiamento degli operatori, più della gravità dei pazienti stessi e del loro profilo psicopatologico, la strategia per l'abolizione della contenzione deve muoversi su piani diversi: dalla cultura alla formazione etica e giuridica del personale sanitario, dalla organizzazione dei servizi alla responsabilizzazione di chi è investito di poteri di dirigenza. Il che non significa - precisa il CNB - rimandare la risoluzione del problema al cambiamento di questi fattori, accettando una scissione tra principi e pratiche, quanto piuttosto assumere sin da ora, nella definizione delle linee generali di politica sanitaria, regionale e nazionale, «il rifiuto della contenzione quale fondamento di "buone prassi", presupposto cioè per costruire nel concreto una diversa cultura dei servizi, a partire da una corretta relazione fra chi cura e chi è curato».
Per queste ragioni il CNB raccomanda di: (a) incrementare la ricerca e avviare un attento monitoraggio, a livello regionale e nazionale, a cominciare dalle prassi quotidiane nei reparti, dove vanno annotati col dovuto rigore i casi di contenzione, le ragioni specifiche della scelta di legare il paziente, la durata della misura; (b) predisporre programmi finalizzati al superamento della contenzione; (c) introdurre nella valutazione dei servizi standard di qualità che favoriscano i servizi e le strutture no-restraint; (d) mantenere e possibilmente incrementare la diffusione e la qualità dei servizi rivolti a soggetti più vulnerabili, quali gli anziani e le anziane, in quanto tali più esposti a subire pratiche inumane e degradanti.
4. Il parere del CNB sulla contenzione è da apprezzare per almeno due ragioni.
La comunità degli operatori sanitari non dispone di criteri morali universalmente riconosciuti sulla contenzione. Nei documenti ufficiali di numerose istituzioni sanitarie, così come nelle raccomandazioni o linee guida sulla contenzione il problema giuridico della liceità o illiceità, così come il problema bioetico della moralità o immoralità della coercizione è del tutto assente, o comunque svanisce completamente nel pragmatismo di una valutazione utilitaristica, che toglie centralità al problema fondamentale della giustificazione di una limitazione al diritto fondamentale della libertà personale. Affrontare il tema del rispetto delle libertà del paziente, mettendo completamente tra parentesi il problema della illiceità degli atti coattivi o coercitivi e facendo assegnamento su regole per un loro uso appropriato e contenuto, è una strategia di contrasto a pratiche restraint ispirata a un pragmatismo ben intenzionato. Si tratta però di una strategia che si rivela nei fatti non priva di pericolose ambiguità.
Se la regolamentazione della contenzione può essere utile per definire tappe, metodiche e verifiche volte a evitare il ricorso a tale soluzione (in vista della sua graduale eliminazione dalla pratiche) e per aumentare la qualità operativa nell'esecuzione, ove strettamente necessaria, di una manovra molto rischiosa, può nel contempo ingenerare l'equivoco, sul piano etico e giuridico, che il rispetto della procedura possa di per sé giustificare l'atto, e alimentare erroneamente nell'operatore che lega un senso di impunità deresponsabilizzante.
Inoltre, l'allentamento della tensione etica al riconoscimento della dignità umana e dei diritti fondamentali del malato rende la scelta delle pratiche di assistenza fin troppo permeabile a fattori umani e condizionabile da interessi e privilegi economico-professionali; sul piano politico, espone i processi di deistituzionalizzazione e di costruzione di percorsi di salute mentale di comunità a strenue resistenze sia da parte degli operatori all'interno dei servizi che da parte delle lobbies e dei poteri istituzionali e professionali contrari al cambiamento.
Se non si vuole correre il rischio che il problema della contenzione nella cura venga banalizzato nelle politiche sanitarie e nelle pratiche dei servizi a causa di fraintendimenti o letture interessate, la riflessione tra operatori psichiatrici non può che prendere le mosse da una chiara presa d'atto che - come molto opportunamente ha riconosciuto il CNB - diritto e bioetica considerano coazione e coercizione del paziente atti illeciti.
Le argomentazioni etiche e giuridiche, che fondano il caso della contenzione come moral case, sono anche cogenti ragioni che impongono di spostare la discussione dal piano del confronto tra specialisti al piano politico generale, dal momento che nella "partita" sulla contenzione giocano, evidentemente, differenti visioni di politica sanitaria cui si riconnettono diversi livelli di tutela dei diritti fondamentali della persona malata. Assumere "il rifiuto della contenzione quale fondamento di buone prassi e di una diversa cultura dei servizi" è una proposta in linea con l'odierno orizzonte bioetico e che consente di "prendere sul serio" i diritti fondamentali di uomini e donne vulnerabili.
fonte: www.penalecomporaneo.it//DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO

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