martedì 15 luglio 2014

Intimidazione fasulla: fare il gradasso non salva dalla pena

Il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, in quanto tale, non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo. Inoltre, la gravità del male minacciato va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto in cui si collocano, per verificare se, ed in quale grado, tali espressioni abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa. Lo stabilisce la Cassazione nella sentenza 19203/14.

Il caso

La Corte d’appello di Milano condannava un imputato per il delitto di minaccia aggravata. L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo che la minaccia proferita non potesse ritenersi grave, in quanto non aveva apportato alcun turbamento psichico ai due destinatari, i quali, inoltre, in ogni caso, sia per ragioni personali che professionali, non avrebbero potuto modificare le proprie abitudini di vita.

Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il reato di minaccia deve considerarsi reato formale di pericolo e, in quanto tale, non postula l’intimidazione effettiva del soggetto passivo, essendo sufficiente che il male minacciato, in relazione alle concrete circostanze di fatto, sia tale potenzialmente da incutere timore e da incidere nella sfera di libertà psichica del soggetto passivo. Inoltre, la gravità del male minacciato va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto in cui si collocano, per verificare se, ed in quale grado, tali espressioni abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.

Nel caso di specie, la prospettazione dell’ipotesi di essere colpiti da armi da fuoco e di essere “puniti” da amici dell’imputato costituiva una minaccia connotata da obiettiva gravità. Il fatto che ciò fosse stato detto nel corso di un litigio non poteva valere, di per sé, a togliere alle parole né la natura minacciosa né l’elevato grado intimidatorio. Anche il mancato mutamento delle abitudini di vita da parte delle persone offese era irrilevante ai fini della consumazione del reato, in quanto, se tale mutamento fosse avvenuto, avrebbe dovuto essere contestata una diversa e più grave ipotesi criminosa. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Intimidazione fasulla: fare il gradasso non salva dalla pena

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