venerdì 30 maggio 2014

Fabbricati in aree confinanti: vale la regola del “vivi e lascia vivere”

Nel caso di proprietà confinanti che si trovino ai limiti di zone disomogenee, ciascun proprietario può pretendere dal confinante il rispetto delle distanze previste per la zona in cui si trova l’edificio dello stesso confinante. È quanto stabilito dalla Cassazione nella sentenza 7512/14.

Il caso

Una distilleria conveniva in giudizio i signori C. chiedendo che fossero condannati ad arretrare il fabbricato costruito in area limitrofa a quella di sua proprietà, sulla quale insisteva lo stabilimento industriale, in quanto posto a distanza inferiore a quella minima prevista dal piano regolatore vigente. I convenuti, dal canto loro, assumevano che il fabbricato era stato edificato al posto di una costruzione che preesisteva all’entrata in vigore del piano urbanistico e, in via riconvenzionale, chiedevano la condanna della distilleria al risarcimento dei danni causati dai reflui dello stabilimento industriale. In appello, i convenuti venivano condannati ad arretrare il fabbricato di loro proprietà, in quanto nel piano urbanistico di Partinico, mancava una disciplina specifica delle distanze tra costruzioni ricadenti in ambiti disomogenei. Il ricorso: applicabili le norme sulle distanze della zona in cui si trova l’edificio dello stesso confinante. Ciò rendeva applicabile il principio secondo cui nel caso di proprietà confinanti che si trovino ai limiti di zone disomogenee, ciascun proprietario può pretendere dal confinante il rispetto delle distanze previste per la zona in cui si trova l’edificio dello stesso confinante. Di conseguenza gli appellati erano tenuti ad osservare le distanze previste per la zona in cui ricadeva la loro proprietà. Inoltre, il fabbricato era stato costruito prima dell’entrata in vigore del nuovo piano regolatore del Comune di Partinico. Mancava, poi, la prova che l’area di sedime del fabbricato coincidesse con quella su cui insisteva la costruzione preesistente. I signori C. proponevano ricorso per cassazione. I ricorrenti assumono di aver costruito il fabbricato preesistente con regolare concessione edilizia, dimostrando la coincidenza del sedime. Conseguentemente, gravava sulla controparte l’onere di provare che la ricostruzione non era conforme all’edificio demolito. La regola da applicare sarebbe, quindi, l’art. 873 c.c.: quella seguita dai Giudici territoriali, invece, altererebbe il regime urbanistico, contribuendo a creare un tertium genus di regole, riguardanti le distanze tra edifici prospicienti costruiti in zone diversamente disciplinate. Le doglianze sono infondate: correttamente ha trovato applicazione il principio affermato nella sentenza n. 17339/2003, evitando, così, un’ingiustificata disparità di trattamento che si determinerebbe se i terreni edificabili posti al limite di una zona e immediatamente al confine con un’altra, avente regole diverse, potessero perciò solo sottrarsi alla disciplina cui sono sottoposti i suoli omogenei interni. Quale distanze rispettare? Si comprende, allora, perché le costruzioni sorgenti in una zona omogenea del territorio comunale, per la quale siano previste determinate distanze dai confini o dalle costruzioni sorgenti sui lotti vicini, sono tenute a rispettare dette distanze, a prescindere dalla circostanza che il lotto finitimo o la costruzione su di esso posta sia ubicato in altra zona per cui vigono standard diversi. Il ricorso, dunque, è rigettato.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/La Stampa - Fabbricati in aree confinanti: vale la regola del “vivi e lascia vivere”

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