mercoledì 8 gennaio 2014

È inaffidabile il lavoratore che produce un certificato medico falso

Il requisito della immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore. È quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza 21627/13.

Il caso

Un lavoratore era stato licenziato per aver alterato il certificato medico presentato per la giustificazione della sua assenza dall’abitazione nel periodo di malattia. Si era allontanato da casa nell’ora in cui avrebbe dovuto rimanere in attesa della visita medica fiscale. In sede di merito, era stata dichiarata la legittimità del licenziamento. Infatti, la Corte d’appello aveva spiegato che attraverso sentenza penale passata in giudicato era stata accertata la falsità del documento del quale il lavoratore si era avvalso nell’intento di giustificare la sua assenza dalla propria abitazione in occasione della visita medica di controllo domiciliare disposta in concomitanza del periodo di sospensione della sua prestazione lavorativa per malattia. I giudici territoriali, inoltre, avevano rilevato che la gravità del fatto oggetto di addebito minava, in ogni caso, il vincolo fiduciario e che la contestazione non poteva considerarsi tardiva, atteso che il tempo di poco più di un mese trascorso tra la contestazione disciplinare si era reso necessario al datore di lavoro per l’esatta valutazione e ponderazione delle notizie in suo possesso. Per la cassazione di tale decisione, la parte soccombente ha presentato ricorso, lamentando che la norma collettiva richiamata per il licenziamento prevedeva l’ipotesi della falsificazione o alterazione del documento, mentre nella sede del giudizio penale si era appurato che egli non era stato l’autore materiale dl falso. Infine, il ricorrente ha evidenziato che il lasso temporale trascorso tra la data in cui gli era stato comunicato da parte della ASL l’invio di un esposto alla Procura e quella in cui gli veniva contestato l’accertamento della falsità del documento, non appariva, a suo dire, giustificato da alcuna ragione. Per la Suprema Corte entrambi i motivi sono infondati. Gli Ermellini hanno spiegato che la ratio decidendi della sentenza impugnata è duplice, in quanto finisce per giustificare il licenziamento anche sulla base della gravità del fatto addebitato, a prescindere dalla previsione collettiva delle varie ipotesi di risoluzione. Relativamente a ciò, i giudici di seconde cure avevano, in effetti, aggiunto che la giusta causa del licenziamento discendeva anche dalla gravità del comportamento del ricorrente, in quanto atto a scuotere la fiducia del datore di lavoro e a far ritenere che la continuazione del rapporto si risolveva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, oltre che a denotare una scarsa inclinazione alla diligente attuazione degli obblighi assunti. Anche riguardo alla ravvisata insussistenza dell’eccepita intempestività della contestazione, Piazza Cavour ha ritenuto la motivazione logica e adeguata.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - È inaffidabile il lavoratore che produce un certificato medico falso

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