mercoledì 4 settembre 2013

Rivendicazione gay online, ma è un finto comunicato: scherzo? No, diffamazione

La Stampa - Rivendicazione gay online, ma è un finto comunicato: scherzo? No, diffamazione

Fatale è la pubblicazione, in un blog, di uno scritto attribuito, con una firma falsa, a un’altra persona. Con quello scritto vengono rivendicate tendenze omosessuali. Legittimo parlare di offesa alla reputazione della persona individuata come gay.

Il caso
Attribuire tendenze omosessuali a una persona è valutabile come offesa alla reputazione a maggior ragione se la comunicazione è urbi et orbi, grazie alla rete web (Cassazione, sentenza 32444/13). Casus belli è un comunicato, pubblicato in un blog, in cui una persona si attribuisce «implicitamente tendenze omosessuali». Ma il vero nodo è rappresentato dal fatto che la firma del comunicato sia falsa: a mettere ‘nero su bianco’ il comunicato è stata un’altra persona, un giovane. Semplice scherzo, seppur di pessimo gusto? Non è questa l’ottica adottata dai giudici, che condannano per «diffamazione», sia in primo che in secondo grado, colui che ha scritto e pubblicato on line il comunicato, attribuendolo a un’altra persona e offendendo così la reputazione di quest’ultima. Ad avviso del giovane, però, troppo rigida è stata la valutazione compiuta dai giudici di Appello. Soprattutto per due ragioni, evidenziate nel ricorso proposto in Cassazione: primo, «non vi è prova della lettura del messaggio da parte di altri utenti del web»; secondo, non vi è «contenuto diffamatorio, tenuto conto, in particolare, che il termine ‘gay’ non ha valenza, di per sé, offensiva». Però questi appunti non trovano sponda nei giudici del Palazzaccio, per i quali la condanna per diffamazione è corretta, e quindi da confermare. Ciò perché «la espressione offensiva è stata pubblicata su un blog, ossia su un sito web, che può essere sì personale, ma costantemente aggiornato on line», e, soprattutto, «tutti possono leggere in esso». Ne consegue, ad avviso dei giudici, la potenziale «diffusività dei contenuti del blog». Elemento, questo, sufficiente per addebitare il «reato di diffamazione», soprattutto tenendo presente che esso si concretizza, «tramite internet», nel momento in cui «il collegamento web sia attivato», quindi accessibile «a un numero indeterminato di persone» o, comunque, potenzialmente destinato a una «immediata diffusione».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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