sabato 31 agosto 2013

È nulla la procura alle liti conferita con scrittura privata autentica dall'ufficiale dell’anagrafe

È nulla se conferita con scrittura privata autentica dall'ufficiale dell’anagrafe

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 30 agosto 2013 n. 19966
   
Secondo la Cassazione in base al sistema normativo vigente non si può affermare un potere dell’incaricato comunale di autenticare la firma degli atti negoziali. È, infatti, nulla la procura speciale alle liti conferita con una scrittura privata con firma autenticata dall’ufficiale dell’anagrafe del comune. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 19966/2013.

Secondo la Suprema corte infatti vi è “un sistema normativo nel quale il potere di autenticazione del dipendente addetto dell’ufficio comunale non è generalizzato, ma è di volta in volta individuato dal legislatore”.

La Suprema corte, infatti, ricorda che “il T.U. della documentazione amministrativa del 2000, finalizzato alla semplificazione delle procedure: da un lato, non ha previsto l’autentica di firma per le istanze presentate alla pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi (art. 21, comma 1 e art. 38, comma 3 del Dpr n. 445 dei 2000); dall’altro, ha previsto l’autenticazione, anche da parte del «dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco», per le istanze presentate agli organi della pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, nonché per le istanze presentate a soggetti diversi (art. art. 21, comma 2)”.

“Inoltre - prosegue la sentenza -, non mancano nella legislazione statale casi in cui è specificamente conferita, al dipendente addetto dell’ufficio comunale, il potere di autenticazione di determinati atti (a titolo esemplificativo, art. 14. legge n. 53 del 1990, in materia elettorale; art. 31 legge 184 del 1983, in materia di adozione)”.
Fonte: ilsole24ore

Il Comune risarcisce il fondo danneggiato dall’assenza di fognature

Il comune risarcisce il fondo danneggiato dall’assenza di fognature

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 30 agosto 2013 n. 19962
   
Il comune paga i danni al proprietario del fondo danneggiato a causa dell’insediamento di un centro residenziale privo di fognature, sicché le acque si sono infiltrate nella roccia sgretolandola. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19962/2013 confermando il giudizio di primo e secondo grado.

In particolare è stata bocciata la doglianza per cui il giudice avrebbe violato l’articolo 4 della legge 2248 del 1865 imponendo un facere specifico all’amministrazione.

Secondo la Suprema corte, infatti, “la domanda di risarcimento anche in forma specifica avanzata nei confronti del Comune non investe atti e scelte autoritative del comune, ma una attività materiale soggetta allo ius privatorum e con essa al precetto civile del neminem laedere”.

Fonte: ilsole24ore

Responsabile il medico che per primo sbaglia la diagnosi

Responsabile il medico che per primo sbaglia la diagnosi

Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 30 agosto 2013 n. 35828

Confermata la condanna per il medico del pronto soccorso che dimette un paziente senza accorgersi di una perforazione gastrica in corso anche se poi segue un successivo ricovero ed una operazione con nuove dimissioni una volta accertato che la situazione è disperata. Secondo la Corte di cassazione, 35828/2013, infatti il nesso causale con il primo fatale errore non viene interrotto.

Secondo la Corte territoriale, con giudizio condiviso dagli ermellini, il ritorno a casa della vittima, su decisione dei suoi familiari, aveva costituito esercizio di pietas nei confronti del paziente che oramai non rispondeva a qualsiasi trattamento sanitario, al fine di non negargli “exitus più dignitoso in ambiente domestico”. La sentenza riprendeva poi l’orientamento della Cassazione “sull’equivalenza delle cause”, per cui “se al primo tragico errore medico, causa dell’evento, sia seguito errore di altro sanitario, successivamente intervenuto, la condotta sopraggiunta, salvo i casi dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità, giammai può costituire causa sopravvenuta escludente li rapporto di causalità”.

Secondo gli ermellini, infatti, “al momento della sua ultima dimissione trovavasi in condizioni irreversibilmente indirizzate verso l’assai prossimo decesso”. Per cui “in una tale situazione la decisione di sospendere Il trattamento ospedaliero non assume affatto i connotati di un evento imprevedibile ed eccezionale, estraneo alla tipicità della sequela eziologica”.

La Cassazione ricorda dunque che “la successiva condotta, costituente colpa medica, pur se grave (se del caso, quindi, la decisione di dimettere Il paziente), ove non abbia le caratteristiche dell’imprevedibilità ed inopinabilità (nel senso di estemporaneità, integrante fatto atipico), non interrompe il nesso dl causalità; né la mera accelerazione della produzione dell’evento, destinato comunque a compiersi, sulla base di una valutazione dotata di un alto grado di credibilità razionale, tenuto conto dell’evidenza disponibile, è capace di ingenerare l’effetto sperato dai ricorrente”.

Fonte: ilsole24ore

venerdì 30 agosto 2013

Creditore libero di intimare tutti i precetti che ritiene necessari

Creditore libero di intimare tutti i precetti che ritiene necessari
Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 29 agosto 2013 n. 19876
   
Il creditore è libero fino al pagamento integrale del credito di intimare tanti precetti quanti ne reputi necessari. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 19876/2013.

Secondo i giudici dunque “libero è il creditore, fino al pagamento integrale del credito, di intimare tanti precetti quanti reputi necessari (e solo, per quanto visto, per l’importo complessivo del credito, non potendo egli frazionarne l’esecuzione), purché non chieda, in quelli successivi, le spese (ed i compensi e gli accessori) per i precetti precedenti”.

“Ove invece - prosegue la sentenza -, col precetto successivo o reiterato, intimasse anche il pagamento delle spese dei precetti precedenti, l’ultimo sarebbe sì illegittimo, ma solo ed esclusivamente quanto a queste ultime, sicché non potrebbe essere dichiarato invalido nella sua interezza”.

Per queste ragioni gli ermellini hanno ritenuto che abbia errato “la gravata sentenza nell’escludere legittimità - e per di più sotto il (del tutto incongruo) profilo dell’ammissibilità - del precetto intimato successivamente, per il solo fatto dell’avvenuta intimazione di precetti in tempo anteriore, o finanche dell’avvio di procedure esecutive, ma senza verificare se il credito, recato dal titolo esecutivo, sia stato completamente estinto e, comunque, dichiarando l’illegittimità del precetto successivo per l’intero, ove fosse risultata non dovuta una sola parte della somma che ne era oggetto, corrispondente alle spese dei precetti precedenti”.

Fonte: ilsole24ore

Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento entro 60 giorni

Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento entro 60 giorni

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, con sentenza pubblicata il 9 luglio 2013.

Nello specifico, il Tribunale ha richiamato la disciplina dell’art. 32 della L. n. 183/2010 (cosiddetto “Collegato Lavoro 2010”), che ha esteso l’onere di impugnazione del licenziamento, a pena di decadenza, “a tutti i casi di invalidità” del recesso aziendale, onerando altresì il lavoratore a depositare il ricorso nei successivi 270 giorni (divenuti 180 giorni con l. n. 92/2012, la cosiddetta “Riforma Fornero”).

Il Tribunale ha, quindi, soggiunto che l’espressione letterale utilizzata dalla normativa (“tutti i casi di invalidità”) si riferisce anche al licenziamento dei dirigenti, a prescindere dal fatto che il medesimo sia contestato sotto il profilo della illegittimità (insussistenza della giusta causa), o della ingiustificatezza (diritto del dirigente al pagamento dell’indennità supplementare). E’ vero che, nel primo caso, il vizio del licenziamento ha fonte legale (violazione degli artt. 2118 e 2119 cod. civ.), mentre nel secondo le pretese del dirigente sono fondate sulla disciplina pattizia del CCNL di categoria. Tuttavia, in entrambi i casi, viene denunciato un vizio giuridico del licenziamento e, quindi, in definitiva, la sua “invalidità”.

Ne discende che, se il dirigente ha proposto il ricorso senza aver preventivamente impugnato stragiudizialmente il licenziamento, nel termine di 60 giorni dalla sua intimazione, tale ricorso deve essere rigettato in via preliminare, per intervenuta decadenza.
La causa avrebbe potuto finire qui, con una pronuncia allo stato degli atti. La sentenza ha, però, voluto esaminare, anche nel merito, le pretese del dirigente, respingendole.

Anzitutto, la sentenza ha evidenziato che il dirigente non ha contestato gli addebiti disciplinari, sotto il profilo della loro oggettiva sussistenza, limitandosi a denunciare la pretesa “inesigibilità” dell’adempimento: il dirigente ha sostenuto, infatti, che l’azienda non lo aveva messo in condizioni di poter svolgere pienamente il suo incarico. In proposito, la sentenza ha stabilito che il dirigente non può limitarsi ad una generica contestazione di questa natura, essendo onerato di allegare e provare quali pretesi doveri non sarebbero stati adempiuti dal datore di lavoro, così ponendo il dirigente nella lamentata impossibilità di svolgere le sue mansioni.



La sentenza ha, altresì, accertato la legittimità dell’addebito disciplinare relativo al fatto che il dirigente, utilizzando un hard disk portatile e in violazione della regolamentazione aziendale, ha sottratto documentazione aziendale riservata, a cui aveva accesso in ragione delle sue mansioni. Il dirigente si è difeso sostenendo, genericamente, che il suo comportamento sarebbe stato scriminato dal preteso esercizio del diritto di difesa. Ma la sentenza ha escluso la fondatezza di tale eccezione, poiché il dirigente non ha spiegato il collegamento tra la sottrazione di segreti aziendali, che nulla c’entrano con la sua vicenda personale, e il dedotto esercizio del diritto di difesa. Ciò vale a fortiori perché, in relazione a tale comportamento, il dirigente è stato rinviato a giudizio in sede penale.

Fonte: ilsole24ore

DURC. Dal 2 settembre recapito solo tramite Posta Elettronica Certificata (PEC)

DURC. Dal 2 settembre recapito solo tramite Posta Elettronica Certificata (PEC)


Per consentire agli utenti dello sportello unico previdenziale – attraverso un’opportuna informativa – di disporre di una completa conoscenza delle nuove modalità di trasmissione dei DURC, è stato disposto per  lunedì 2 settembre 2013 il termine ultimo a partire dal quale la trasmissione di tali documenti sarà effettuata ai richiedenti esclusivamente tramite PEC.

A decorrere da tale data, pertanto, l’inoltro della richiesta di DURC sarà consentito solo se il sistema dello sportello unico previdenziale rileva l’avvenuta registrazione, nell’apposito campo, dell’indirizzo PEC della stazione appaltante/amministrazione procedente, delle SOA e delle imprese. Dalla stessa data, sia per le Pubbliche Amministrazioni che per le imprese, i DURC saranno recapitati dall’Inail, dalle Casse Edile e dall’Inps, esclusivamente tramite PEC, agli indirizzi indicati dagli utenti nel modulo telematico di richiesta.

Le indicazioni da seguire nella fase di compilazione della richiesta,  con riferimento a tale previsione, sono disponibili nei "Manuali per la compilazione di una richiesta di DURC da ricevere tramite PEC" pubblicati su www.sportellounicoprevidenziale.it.

INPS Messaggio n. 13414

Fonte: ilsole24ore

Il dipendente concorrente del datore di lavoro è licenziabile

 Il dipendente concorrente del datore di lavoro è licenziabile

La Cassazione con la sentenza 19096/13 conferma un principio già espresso in precedenti sentenze, ovvero che risulta legittimo il licenziamento, per violazione dell’obbligo di fedeltà all’azienda, del dipendente che, pur continuando a lavorare per il proprio datore di lavoro, detiene una quota societaria in un’attività in totale concorrenza. Non vale il fatto che l’attività non sia ancora entrata in funzione o che il dipendente sospeso ceda la propria partecipazione, in quanto la perdita del rapporto di fiducia tra datore e lavoratore, dipende anche solo dall’atteggiamento mentale di quest’ultimo. Nel caso, la Corte di appello di Salerno aveva ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una società, impegnata nell’attività medica, che aveva, nel periodo in cui era dipendente, una partecipazione in una società a responsabilità limitata svolgente attività in totale concorrenza. Secondo la sentenza della Corte d’Appello "la violazione dell’obbligo di fedeltà, configurabile in caso di attività anche solo progettuali per la costituzione di una società operante in concorrenza con l’impresa del datore di lavoro, era nella specie sussistente, in quanto la costituzione della srl era già avvenuta ed era potenzialmente produttiva di danno per la parte datoriale, in ragione del suo oggetto sociale". Il licenziato è quindi ricorso in Cassazione, in particolare, motivando che nel momento in cui aveva ricevuto la nota di sospensione dal datore di lavoro, informato dei fatti, "e prima della contestazione disciplinare, aveva dismesso ogni partecipazione alla società, mentre la condotta posta in essere anteriormente era consistita in atti meramente preparatori, insuscettibili di recare danni concreti alla società datrice di lavoro". La Suprema Corte richiama alcune sentenze precedenti ricordando che "l'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato va collegato ai principi generali di correttezza e buonafede e pertanto impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente per cui, ai fini della violazione dell’obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore, è sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno". Richiamando altre sentenze, si ricorda che "integra violazione del dovere di fedeltà ed è potenzialmente produttiva di danno, la costituzione, da parte di un lavoratore dipendente, di una società per lo svolgimento della medesima attività economica volta dal datore di lavoro". Per la Cassazione "è del tutto indifferente che subito dopo la sospensione cautelare il ricorrente abbia dismesso la sua partecipazione alla neo-costituita società, essendo determinante l’effetto costituito dal venir meno del rapporto fiduciario per avere il datore di lavoro rilevato nel proprio dipendente una propensione a non curare gli interessi dell’impresa cui appartiene". Sulla base delle sentenze richiamate e delle considerazioni incluse nella sentenza, la Suprema Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio, sulla base dell’esito alterno nei gradi di merito.

Fonte: http://fiscopiu.it/news/il-dipendente-concorrente-del-datore-di-lavoro-licenziabile

Stop alle brutture, anche se rispettano lo stile architettonico dell’edificio

 Stop alle brutture, anche se rispettano lo stile architettonico dell’edificio

Gli Ermellini non ritengono convincenti le conclusioni della Corte territoriale, secondo la quale la realizzazione di un manufatto di discreta volumetria, occupante gran parte del terrazzo dell’ultimo piano, doveva ritenersi consentita in quanto rispettava lo stile del condominio: occorre valutare se l’aspetto architettonico possa prescindere del tutto dal decoro architettonico riscontrato. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 10048/13.

Il caso: un’opera contestata. Il Tribunale di Udine condanna un condomino alla demolizione dell’opera realizzata sulla terrazza del proprio appartamento sito all’ultimo piano dell’edificio condominiale; la pronuncia, però, viene ribaltata in sede di Appello, in quanto i giudici di secondo grado ritengono che vada distinto l’aspetto architettonico dal decoro architettonico. In sostanza, la struttura realizzata dal condomino aveva sì comportato un’alterazione delle linee e della struttura caratterizzanti l’insieme dell’edificio, rispettandone però lo stile architettonico, per cui il nuovo manufatto non costituiva una stonatura rispetto all’unitarietà dell’edificio stesso. La questione è posta al vaglio della Cassazione. Il Condominio contesta essenzialmente la distinzione tra aspetto architettonico e decoro architettonico richiamata dai giudici di merito: il primo sarebbe costituito dallo stile architettonico dell’edificio, mentre il secondo consisterebbe nell’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture dell’edificio, che ne formano una determinata armonica fisionomia. Nel caso, la Corte territoriale ha ritenuto che lo stile del condominio fosse stato comunque rispettato e pertanto l’opera doveva ritenersi consentita: a giudizio del ricorrente, però, seguendo questo ragionamento si potrebbe realizzare qualunque «bruttura» alla sola condizione che questa segua il medesimo stile architettonico usato nella realizzazione dell’edificio. Secondo gli Ermellini la censura è fondata, dal momento che le conclusioni dei giudici di secondo grado non appaiono coerenti: va ricordato che la nozione di aspetto architettonico (art. 1127 c.c.) non coincide con quella di decoro (art. 1120 c.c.), che è più restrittiva. In pratica, l’intervento edificatorio deve essere decoroso rispetto allo stile dell’edificio e non deve rappresentare comunque una rilevante disarmonia rispetto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne le originarie linee architettoniche, alterandone la fisionomia e la peculiarità impressa dal progettista. A giudizio della Cassazione, non è chiaro se l’aspetto architettonico possa prescindere del tutto dal decoro architettonico riscontrato: il condomino infatti, aveva realizzato un manufatto di discreta volumetria, occupante gran parte dell’originario terrazzo dell’ultimo piano e pertanto alterante le linee originarie dello stabile. Secondo i giudici di legittimità bisogna stabilire se tutto ciò comporti un apprezzabile pregiudizio dell’aspetto architettonico dell’edificio nel suo insieme; a tal proposito bisogna tener presente che la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’adozione nella parte sopraelevata dell’edificio di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore. Per questi motivi la Cassazione cancella con rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Affitto, contratti concordati: l’aliquota della cedolare secca passa dal 19% al 15%

 Affitto, contratti concordati: l’aliquota della cedolare secca passa dal 19% al 15%

Il Decreto legge sull'Imu interviene anche in materia di cedolare secca e locazione abitativa, introducendo un'importante norma agevolativa. L’art. 4 dispone la riduzione dal 19% al 15% dell’aliquota della cedolare secca applicata ai contratti a canone concordato. La nuova disposizione normativa trova applicazione già a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013. Interessati dalla normativa di favore figurano, ad esempio, i contratti a canone concordato relativi ad immobili dati in affitto siti in Comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE con apposita delibera oppure i contratti concordati stipulati a favore di studenti universitari. Restano escluse dalla riduzione dell’aliquota della cedolare secca, dunque, tutte le restanti tipologie di contratti di locazione previste dal nostro ordinamento, tra cui anche quello a canone libero (cioè 4+4), senza dubbio la tipologia più diffusa al momento di stipula di un contratto di affitto. Per le tipologie contrattuali diverse dai contratti concordati continua pertanto a trovare applicazione l’aliquota ordinaria della cedolare secca stabilita al 21%.

Fonte:
http://fiscopiu.it/news/contratti-concordati-ridotta-l-aliquota-della-cedolare-secca-dal-19-al-15

Illecito amministrativo del singolo, ma spese di ripristino a carico di tutti i condomini

 Illecito amministrativo del singolo, ma spese di ripristino a carico di tutti i condomini

Le spese per i lavori, deliberate per porre rimedio ad un illecito amministrativo di un condomino, sono a carico di tutti i condomini, almeno fino a quando non sia stata accertata la responsabilità del singolo (Cassazione, sentenza 10053/13).

Il caso
Una condomina si rivolge al Tribunale chiedendo l’annullamento o la nullità di 3 delibere assunte dagli altri condomini, convenuti in giudizio. Tuttavia, sia in primo che in secondo grado, le domande venivano rigettate; la donna così si rivolge alla Cassazione. Quest’ultima rigetta il ricorso. La Cassazione sottolinea che i lavori di rifacimento del tetto di un immobile di proprietà comune, deliberati per porre rimedio ad un precedente intervento sul tetto medesimo, realizzato ponendo in essere un illecito amministrativo – nella fattispecie con l’innalzamento del colmo del tetto – e che ripartisce le spese tra tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà, anziché accollandole esclusivamente a chi, tra i comproprietari, vi aveva dato causa mediante l’approvazione dell’opera iniziale, non rende la delibera stessa nulla. Questo perché «fino a quando il singolo condomino non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l’assemblea, nel deliberare sulla ricostruzione o sulla riparazione delle parti comuni, abbia il potere di ripartire le relative spese secondo le regole generali», fermo restando, comunque, il diritto di tutti i condomini di agire, singolarmente o per mezzo dell’amministratore, «contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato». Gli Ermellini, infine, hanno chiarito la questione del termine per la convocazione, ricordando il principio secondo cui «anche nell’ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione dell’assemblea dei condomini, come della comunione generale, non sono prescritte particolari formalità», anche se è necessario che «tutti i partecipanti siano stati posti in grado di conoscere l’argomento della deliberazione per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validità».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

giovedì 29 agosto 2013

Il patteggiamento non rende automatica la liquidazione dei danni civili

Il patteggiamento non rende automatica la liquidazione dei danni civili

Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 29 agosto 2013 n. 19871
   
La sentenza di patteggiamento non fa stato in sede civile, sicché per chiedere il risarcimento del danno ne va innanzi tutto dimostrata l’esistenza e poi la riconducibilità al soggetto che ha chiesto l’applicazione della pena. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19871/2013, rigettando il ricorso di un uomo che chiedeva di essere ristorato dai danni subiti ad un proprio veicolo.

Secondo gli ermellini il Tribunale ha correttamente ritenuto che il patteggiamento unito alla sola deposizione testimoniale della moglie del ricorrente, “non poteva integrare gli estremi di una prova sufficiente, tanto più che la documentazione prodotta dall’odierno ricorrente a dimostrazione dell’entità dei danni asseritamente subiti era successiva di circa quattro anni rispetto ai fatti di causa”.

“Ne consegue - conclude la sentenza - che l’impugnata sentenza, avendo compiuto una valutazione globale delle prove esistenti, è anche rispettosa del principio affermato da questa Corte secondo cui la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (cosiddetto patteggiamento) - pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre un’ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare”.

E questo è proprio ciò che il Tribunale ha fatto, tenendo conto della sentenza di patteggiamento ma ritenendola insufficiente a far ritenere dimostrato l’illecito civile.

Fonte: ilsole24ore

Al paziente l’onere di dimostrare il nesso causale

Al paziente l’onere di dimostrare il nesso causale

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 29 agosto 2013 n. 19873
   
“Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, sia dipeso da causa a sé non imputabile”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 19873/2013 giudicando su di una domanda di risarcimento del danno di una donna a suo dire divenuta sterile a seguito di un intervento chirurgico sbagliato.

Secondo gli ermellini correttamente i giudici territoriali hanno riconosciuto, “con motivazione congrua e immune dai lamentati vizi”, che sarebbe stato onere della ricorrente “provare la mancata riferibilità della condizione di sterilità ad altre cause, pregresse o esterne, idonee a far ritenere la riconducibilità della condizione stessa al fatto dei sanitari”.

La Suprema corte ha anche ricordato che “nelle cause scindibili - come la presente avente ad oggetto, accanto all’azione di responsabilità professionale medica, quella di garanzia proposta dai sanitari nei confronti dell’assicurazione della ASL - l’impugnazione incidentale tardiva può essere proposta soltanto nei confronti di chi abbia dedotto l’impugnazione principale e non contro una parte diversa. Né tale assetto ermeneutico è inficiato da quanto affermato da Cass. S. U. n. 24627 del 2007, avendo questa S.C. ribadito in seguito che, nell’ipotesi di chiamata in causa del terzo con azione di garanzia impropria, (come nella specie) che dia luogo alla trattazione congiunta di cause scindibili, l’impugnazione incidentale del convenuto - in quanto intesa alla declaratoria del proprio diritto, disconosciuto o solo parzialmente riconosciuto nella sentenza impugnata, a rivalersi integralmente sui terzi chiamati di quanto dovuto all’attore a seguito dell’accoglimento della domanda di questi nei propri confronti - risulta distinta ed autonoma, per soggetti e per titolo, rispetto a quella proposta in via principale dall’attore, e l’interesse a proporla sorge non dall’impugnazione principale, ma dalla stessa sentenza impugnata, con la conseguenza che non può essere proposta nel termine previsto dall’art. 334 cod. proc. civ. per l’impugnazione incidentale tardiva”.

Fonte: ilsole24ore

Taglio dei tribunali, il cronoprogramma di Via Arenula. Ecco chi prosegue le udienze

Taglio dei tribunali, il cronoprogramma di Via Arenula. Ecco chi prosegue le udienze

Mentre si alzano i toni della polemica sulla riforma della geografia giudiziaria con l’avvicinarsi della data di partenza il prossimo 13 settembre, si delinea anche meglio il quadro di quello che effettivamente accadrà nei tribunali colpiti dalle cesoie della legge. In questi giorni infatti il ministro Cancellieri ha firmato 45 decreti che autorizzano la prosecuzione di alcuna attività, anche giurisdizionali, all’interno dei vecchi tribunali.

Non si stratta della tanto attesa proroga di cui molto si parla in questi giorni, ma di indicazioni gestionali per accompagnare il passaggio verso i tribunali maggiori che tuttavia avranno importanti ripercussioni sugli operatori. Così 25 decreti autorizzano per un periodo variabile, da pochi mesi fino a 5 anni,  la prosecuzione dell’utilizzo degli uffici anche se solo per archivi e deposito, mentre altri 20 permettono di continuare l’esercizio dell’attività giurisdizionale vera e propria, in generale fino ad esaurimento dei giudizi pendenti civili e penali pendenti.

Una partenza a tappe
Così per esempio sono molte le sedi che continueranno a funzionare in Campania. A Napoli per esempio è stato autorizzato per un anno l’utilizzo dei locali delle soppresse sezioni distaccate di Ischia e Marano per la trattazione fino ad esaurimento dei giudizi civili e penali e così anche per Casoria, Afragola e Frattamaggiore.

A Santa Maria Capua Vetere poi è scattata l’autorizzazione all’utilizzo dei locali della Sezione distaccata di Caserta per altri cinque anni per la trattazione dei giudizi civili e penali pendenti, e così anche per Carinola e Marcianise. Cinque anni di moratoria pure ad Aversa (Castello Aragonese).

Autorizzato anche l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Castellammare di Stabia, Sorrento e Torre del Greco per la trattazione del contenzioso civile e penale pendente, in questo caso però per un solo anno.
A Salerno infine è autorizzato per 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Eboli.

Ma anche al Nord l’entrata a regime della riforma sarà a tappe. È stato per esempio autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale Pinerolo, su cui proprio in queste ore è in corso un braccio di ferro, e delle relative sezioni distaccate di Moncalieri e di Susa, per un periodo di cinque anni come deposito dei relativi archivi e corpi di reato e limitatamente ad un periodo di dieci mesi per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali rispettivamente pendenti.

Ad Alessandria invece il Tribunale di Acqui Terme per 5 anni proseguirà la trattazione dei procedimenti pendenti e il Tribunale di Tortona per 2 anni potrà celebrare udienze civili e penali fissate e al deposito dei relativi archivi.

Al centro Italia, a Siena, proseguirà l’utilizzo dei locali di Montepulciano per la custodia dei relativi archivi nonché per la trattazione dei relativi affari civili e penali, limitatamente alla celebrazione di udienze penali, pendenti, per un periodo di un anno e quattro mesi.

Cancellieri, la riforma va avanti
La riforma dunque va avanti, seppure per entrare completamente a regime ci vorranno ancora degli anni. I tribunali soppressi sono 31 e quasi 800 le sezioni distaccate. Dopo le polemiche di questi giorni il ministro Cancellieri ha dichiarato che “grosso modo, tutta la riforma rimarrà in piedi così come è stata concepita e partirà il 13 settembre”, anche se va registrata qualche apertura. “C'è un ulteriore passaggio che devo fare nei prossimi giorni - ha detto il ministro -, perché Camera e Senato hanno fatto un ordine del giorno in cui invitano a rivedere alcuni punti della geografia giudiziaria, li affronteremo i primi di settembre e poi avremo la certezza di quanti tribunali effettivamente vengono chiusi”.

LA MAPPA DEI DECRETI

ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE
1. Alessandria - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Acqui Terme per la trattazione dei relativi procedimenti pendenti e al soppresso Tribunale di Tortona per un periodo di 2 anni relativamente alla celebrazione delle udienze civili e penali ivi già fissate e al deposito dei relativi archivi.

2.  Bari - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Altamura, Modugno (più sezione di Bitonto e Acquaviva) e Rutigliano (più sezione Monopoli e Putignano) per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali pendenti presso tali sedi e presso le altre sezioni distaccate del Tribunale.

3.  Busto Arsizio - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Gallarate e di Legnano per la trattazione dei procedimenti civili pendenti nelle materie in cui non è richiesto l’intervento in giudizio del Pubblico Ministero.

4. Cuneo - Autorizzato per un periodo di 3 anni e 6 mesi l’utilizzo dei locali ospitanti il Tribunali e le Procure della Repubblica di Mondovì e di Saluzzo, da destinare quale provvisorio deposito dei rispettivi archivi e corpi di reato nonché per l’espletamento dell’attività giudiziaria analiticamente descritta nella nota 2 maggio 2013 del Pres. del T. e per consentire la definizione della complessiva riorganizzazione logistica e del personale in itinere.

5.  Foggia  - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali relativi al Tribunale e alla Procura di Lucera, per la collocazione degli archivi, arredi e materiali esistenti presso la stessa sede e le relative articolazioni territoriali di Apricena e Rodi Garganico, nonché per la trattazione dei giudizi pendenti afferenti alle medesime sedi in materia penale e civile, con esclusione dei procedimenti in materia fallimentare e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatorie.

6.  Ivrea - Autorizzato per un periodo di 2 anni utilizzo dei locali della soppressa sezione distaccata di Ciriè per le procedure relative alle esecuzioni coattive, concorsuali, alla volontaria giurisdizione e alla famiglia.

7. Latina    - Autorizzato per un periodo di 2 anni utilizzo dei locali della soppressa sezione distaccata di Terracina per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali pendenti presso l’ufficio stesso e presso la sezione distaccata di Gaeta.

8.  Lecce - Autorizzato per un periodo di 2 anni utilizzo dei locali della soppressa sezione distaccata di Nardò al fine di utilizzarlo per la trattazione degli affari civili relativi pendenti presso le sezioni distaccate di Nardò, Casarano e Gallipoli; e dei locali della soppressa sezione distaccata di Maglie per la trattazione degli affari civili pendenti presso le sezioni distaccate di Maglie e Tricase.

9. Napoli -  Autorizzato per il periodo di un anno l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Ischia, Marano di Napoli e Casoria, quanto alle sezioni distaccate di Ischia e Marano di Napoli, per la trattazione ad esaurimento dei rispettivi giudizi civili e penali pendenti e quanto alla sezione distaccata di Casoria, per la trattazione dei giudizi civili e penali pendenti presso tale sede nonché presso le sezioni distaccate di Afragola e Frattamaggiore, ferme restando l’iscrizione e la trattazione dei procedimenti sopravvenuti presso la sede circondariale competente.

10. Monza - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa Sezione distaccata di Desio per un periodo di 6 mesi relativamente alle aule di udienza per lo svolgimento dei processi monocratici penali e per un periodo di un anno relativamente per la conservazione dell’archivio storico.
11. Pavia - Autorizzato per il periodo di 6 mesi l’utilizzo dei locali ospitanti i seguenti uffici soppressi: i Tribunali e le Procure della Repubblica di Voghera e Vigevano e la sezione distaccata di Abbiategrasso.

12. Ragusa - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Modica per la trattazione degli affari civili ordinari pendenti e per la dislocazione del relativo archivio.

13. Salerno - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Eboli per la trattazione ad esaurimento dei relativi procedimenti penali nonché per la trattazione degli affari di competenza della II Sezione Civile del Tribunale di Salerno e per un periodo di un anno dei locali ospitanti le sezioni soppresse di Amalfi e Montecorvino Rovella come deposito dei relativi archivi e per la trattazione ad esaurimento dei procedimenti penali pendenti

14.  Santa Maria Capua Vetere - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa Sezione distaccata di Caserta per un periodo di cinque anni sia per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali pendenti presso la sezione distaccata di Caserta stessa, nonché presso le sezioni distaccate soppresse di Carinola e Marcianise, con l’esclusione delle udienze penali già fissate presso le sedi di Marcianise e Carinola tra la predetta data di efficacia e il 31 dicembre 2013 e sia, relativamente agli affari sopravvenuti, per l’allocazione di una Sezione civile e di una Sezione monocratica penale, con una specifica competenza tabellare per materia, riguardante in ogni caso l’intero circondario di competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Autorizzato inoltre l’utilizzo dei locali della soppressa sezione distaccata di Aversa (Castello Aragonese) per un periodo di cinque anni per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali pendenti presso tale sezione distaccata.
Autorizzato altresì l’utilizzo sino al 31 dicembre 2013 dei locali delle soppresse sezioni distaccate di Marcianise, Carinola e Piedimonte Matese per il solo svolgimento presso le rispettive sedi delle udienze penali ivi già fissate sino a tale scadenza.

15. Siena - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Montepulciano per la custodia dei relativi archivi nonché per la trattazione, nei termini indicati dal Presidente del Tribunale di Siena nella nota del 6 agosto 2013, dei relativi affari civili e penali, limitatamente alla celebrazione di udienze penali, pendenti, per un periodo di un anno e quattro mesi.

16. Tivoli   - Autorizzato per un periodo di un anno e sei mesi l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Castelnuovo di Porto e Palestrina per la trattazione del contenzioso civile e penale ivi rispettivamente pendente.

17. Torino - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale Pinerolo e delle relative sezioni distaccate di Moncalieri e di Susa, per un periodo di cinque anni come deposito dei relativi archivi e corpi di reato e limitatamente ad un periodo di dieci mesi per la trattazione ad esaurimento dei giudizi civili e penali rispettivamente pendenti.
Autorizzato inoltre l’utilizzo per un periodo di un anno dei locali ospitanti la soppressa di Procura della Repubblica di Pinerolo per consentire la definizione della complessiva riorganizzazione logistica e del personale in itinere nonché per la trattazione a esaurimento dei relativi procedimenti pendenti, ferma restando l’iscrizione e trattazione degli affari successivamente sopravvenuti presso la sede della Procura della Repubblica di Torino.

18. Torre Annunziata - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Castellammare di Stabia, Sorrento e Torre del Greco per il provvisorio deposito di archivi e arredi e per la trattazione del rispettivo contenzioso civile e penale pendente, per un periodo di un anno, ferme restando l’iscrizione e la trattazione dei nuovi procedimenti presso la sede circondariale.

19. Velletri - Autorizzato per un periodo di tre anni l’utilizzo dei locali ospitanti le soppresse sezioni distaccate di Albano Laziale, Anzio e Frascati per la trattazione del contenzioso civile e penale ivi rispettivamente pendente.

20. Vercelli - Autorizzato l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Casale Monferrato e la relativa sezione distaccata di Varallo da destinare a provvisorio deposito dei relativi archivi e arredi e altresì, relativamente ai soli locali del Tribunale di Casale Monferrato, alla trattazione ad esaurimento dei relativi affari pendenti, per i quali non è in ogni caso previsto il trasferimento dei rispettivi ruoli presso la sede circondariale accorpante, per un periodo di tre anni a decorrere dal medesimo termine di efficacia, ferme restando l’iscrizione e la trattazione degli affari sopravvenuti presso la sede Vercelli.

SOLO ARCHIVI
1. Barcellona Pozzo di Gotto - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Milazzo per ospitare i relativi archivi e arredi.

2. Brindisi - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Francavilla Fontana quale provvisorio deposito dei relativi archivi e di quello della altre soppresse sezioni di Fasano, Mesagne e Ostuni.

3. Catania -         Richiesto l’utilizzo per un periodo di 5 anni dei locali della soppressa sezione distaccata di Giarre, come deposito degli archivi che non trovano collocazione presso la sede circondariale accorpante

4. Cremona - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Crema per il provvisorio deposito dei relativi archivi.

5. Genova - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti il soppresso Tribunale di Chiavari per dislocare i relativi archivi.

6. Grosseto - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Orbetello per dislocare il relativo archivio.

7. Imperia - Richiesto l’utilizzo per un periodo di un anno e sei mesi dei locali del soppresso Tribunale di Sanremo quale provvisorio deposito degli archivi e dei corpi di reato che non trovano collocazione presso la sede accorpante.

8. Lodi - Autorizzato per un periodo di 9 mesi l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Cassano d’Adda per consentire la definizione della riorganizzazione logistica e del personale del predetto Tribunale, in considerazione dell’accresciuta competenza territoriale.

9. Macerata - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Civitanova Marche al fine di dislocarvi i relativi archivi.

10. Novara - Autorizzato per un periodo di un anno e tre mesi anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Borgomanero al fine di dislocarvi i relativi archivi.

11. Palermo - Autorizzato per un periodo di un anno l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Carini per ospitare archivi, arredi e attrezzature delle sezioni distaccate soppresse di Carini, Monreale e Partinico.

12. Palmi - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Cinquefrondi per ospitare i relativi archivi, arredi e attrezzature.

13. Pesaro - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Fano per dislocarvi i relativi archivi e arredi.

14. Pistoia - Richiesto l’utilizzo per un periodo di 5 anni dei locali della soppressa sezione distaccata di Monsummano Terme, come deposito dei relativi archivi.

15. Pordenone - Autorizzato per un periodo di un anno l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di San Vito al Tagliamento per dislocarvi i relativi archivi e arredi.

16. Reggio Calabria - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Melito di Porto Salvo per dislocarvi i relativi archivi e arredi.

17. Savona - Autorizzato per un periodo di 3 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Albenga al fine di dislocarvi il relativo archivio.

18. Siracusa - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Avola per dislocarvi il relativo archivio.

19. Sondrio -  Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Morbegno per dislocarvi i relativi archivi.

20. Terni - Autorizzato per un periodo di 2 anni l’utilizzo dei locali ospitanti i soppressi uffici di Tribunale e di Procura della Repubblica di Orvieto per dislocarvi i relativi archivi.

21. Treviso - Autorizzato per un periodo di 5 anni l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Montebelluna per dislocare gli relativi archivi che non trovano collocazione presso la sede accorpante.

22. Venezia         - Autorizzato sino al 31 dicembre 2014 l’utilizzo dei locali ospitanti la soppressa sezione distaccata di Dolo per il provvisorio deposito dei relativi archivi, dei corpi di reato riguardanti i procedimenti definiti nonché degli arredi e delle attrezzature non utilizzabili presso l’ufficio accorpante.

A questi 22 vanno aggiunti i decreti per i tribunali di Catania, Pistoia e Imperia anch’essi solo per archivio

Fonte: ilsole24ore

Imu abolita nel 2013. Sarà sostituita dalla service tax dal 2014

Imu abolita nel 2013. Sarà sostituita dalla service tax dal 2014

Approvato dal Consiglio dei Ministri 28 agosto 2013, n. 22 il decreto che abolisce la prima rata 2013 dell'Imposta municipale unica relativamente alla prima casa, ai terreni agricoli e ai fabbricati rurali: è stato inoltre stabilito che un decreto legge contestuale alla legge di Stabilità dell’ottobre prossimo abolirà anche la seconda rata di quest'anno.

Per quanto riguarda il 2014 entrerà in vigore la cosiddetta Service Tax ispirato ai principi del federalismo fiscale. Si tratterà di un’imposta sui servizi comunali che sostituirà la Tares, verrà riscossa dai Comuni (l’autonomia nella fissazione delle aliquote sarà limitata verso l’alto per evitare di accrescere la capacità fiscale e quindi il carico sui contribuenti, applicando aliquote massime complessive) e sarà costituita da due componenti:

Tari - Gestione dei rifiuti urbani: sarà dovuta da chi occupa, a qualunque titolo, locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani. Le aliquote, commisurate alla superficie, saranno parametrate dal Comune con ampia flessibilità ma comunque nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga” e in misura tale da garantire la copertura integrale del servizio;
Tasi - Copertura dei servizi indivisibili: sarà a carico di chi occupa fabbricati. Il Comune potrà scegliere come base imponibile o la superficie o la rendita catastale. Sarà a carico sia del proprietario (in quanto i beni e servizi pubblici locali concorrono a determinare il valore commerciale dell’immobile) che dell’occupante (in quanto fruisce dei beni e servizi locali). Il Comune avrà adeguati margini di manovra, nell’ambito dei limiti fissati dalla legge statale.
Per quanto riguarda l'IMU, oltre all'abolizione sulla prima casa sono queste le misure principali adottate dal Consiglio dei Ministri 28 agosto 2013, n. 22:

Fabbricati costruiti e non ancora venduti o concessi in locazione - Vengono esclusi dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita se non locati o venduti entro tre anni dalla ultimazione dei lavori;
Immobili di edilizia popolare - Vengono assimilati al trattamento IMU prima casa gli alloggi degli Istituti autonomi case popolari e quelli delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari;
Immobili di edilizia sociale - Dal 1° gennaio 2014 trattamento IMU prima casa anche per gli alloggi sociali (alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici o privati destinati prevalentemente alla locazione per individui e nuclei familiari svantaggiati).
(Altalex, 29 agosto 2013)

Niente assegno divorzile, niente pensione di reversibilità alla ex moglie

 Niente assegno divorzile, niente pensione di reversibilità alla ex moglie

Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto. Non è sufficiente, infatti, che egli versi nelle condizioni per ottenere l’assegno o che, di fatto o grazie a una convenzione privata, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 9660/13.

Il caso
Dopo la morte dell’ex marito, una donna chiede il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità, percepita per intero dalla seconda moglie dell’uomo, la quale si era poi separata dallo stesso. La domanda, tuttavia, non viene accolta dai giudici di merito per mancanza di uno dei requisiti previsti: la sentenza di cessazione degli effetti civili, infatti, non faceva riferimento ad un assegno divorzile né il ricorso introduttivo di questo giudizio faceva riferimento a pretese economiche da parte della donna, se non il contributo di mantenimento a favore della figlia allora minorenne. La donna ricorre in Cssazione, lamentando che la Corte di merito non avrebbe considerato il costante apporto economico dell’ex marito all’andamento della famiglia, dimostrato dalle copie dei vaglia postali. Quanto all’assenza di riferimenti a spettanze economiche nella sentenza di divorzio, precisa che la domanda aveva per oggetto la conferma della statuizione del provvedimento di omologazione della separazione tra i coniugi, che prevedeva un assegno periodico di mantenimento alla moglie. Gli Ermellini precisano che, in riferimento ai requisiti per la pensione di reversibilità, la titolarità dell’assegno va intesa come avvenuto riconoscimento dello stesso da parte del Tribunale ai sensi della l. n. 898/1970. Tale disposizione è stata esplicitata dalla l. n. 263/2005, ma la giurisprudenza era già arrivata alla medesima conclusione, affermando che il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo o che, di fatto o grazie a una convenzione privata, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche. Ricostruito in tal modo il quadro normativo, la Suprema Corte non può far altro che confermare quanto deciso in sede di merito: la richiamata sentenza di divorzio non contiene alcuna pronuncia di condanna alla corresponsione di un assegno divorzile; l’accordo tra i coniugi riguardava il contributo per il mantenimento della figlia minorenne e non rileva il fatto che l’ex marito abbia continuato negli anni a fornire un contributo per le esigenze della ragazza, nonostante questa avesse ormai raggiunto l’indipendenza. La Cassazione rigetta il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Cena offerta con il bancomat di un altro. Sì al giudizio per il furto e poi per l’indebito utilizzo

 Cena offerta con il bancomat di un altro. Sì al giudizio per il furto e poi per l’indebito utilizzo

Un uomo è condannato, in entrambi i giudizi di merito, ad un anno e due mesi di reclusione e 500 euro di multa, nonché al risarcimento danni in favore della parte civile, per aver indebitamente utilizzato, per ben 3 volte, una tessera bancomat. L’imputato si rivolge ai giudici di Cassazione, ritenendo di essere già stato giudicato, seppur con una diversa qualificazione giuridica, per il reato di furto della carta bancomat. Tuttavia, la Corte di legittimità (sentenza 18269/13) è di diverso avviso. Infatti, l’imputato è stato processato per l’indebito utilizzo della tessera bancomat e, quindi, per una condotta diversa dalla sottrazione della medesima carta. Inoltre l’identità del fatto sussiste quando «vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona». Infine – precisa ulteriormente la Cassazione - la preclusione del ne bis in idem non opera ove tra i fatti irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare «sia configurabile un’ipotesi di concorso formale di reati, potendo la stessa fattispecie essere riesaminata sotto il profilo di una diversa violazione di legge». Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

mercoledì 28 agosto 2013

Il termine di decadenza decorre dalla conoscenza del pregiudizio

Il termine di decadenza decorre dalla conoscenza del pregiudizio

Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 28 agosto 2013 n. 19811
   
La decadenza per il diritto al danno da trasfusione (epatite) decorre dal momento in cui c’è la consapevolezza dell’effettivo pregiudizio e non dalla semplice positività al virus. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19811/2013, accogliendo il ricorso di una donna contro il ministero della Salute.

Secondo la Suprema corte infatti “il termine di decadenza di tre (e dieci) anni, di cui all’art. 3, comma 1, si sposta in avanti nel senso che comincia a decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia”.

Per cui il momento rilevante è quello in cui il soggetto contagiato abbia avuto conoscenza di essere portatore di una infermità classificabile in una delle categorie della tabella ‘A’.

Mentre la Corte di appello aveva ritenuto rilevante, ai fini della decorrenza del termine, il momento della conoscenza della positività al virus, occorreva invece “fare riferimento al momento della acquisita consapevolezza dell’esistenza di un danno epatico, ossia di una patologia riconducibile (secondo un parametro di riferimento) ad una della malattie della tabella ‘A’ annessa al Dpr 834/1981, con manifestazione del danno clinico”.

Fonte: ilsole24ore

No all’estradizione per l’emissione di assegni postdati

No all’estradizione per l’emissione di assegni postdati

Corte di cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 28 agosto 2013 35669
   
Esclusa l’estradizione, mancando il requisito della doppia punibilità, per il manager rumeno che, senza mettere in opera artifizi o raggiri, pagava la merce sempre con assegni postdatati,  essendo il venditore al corrente delle difficoltà economiche dell’acquirente. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 35669/2013.

Secondo la Suprema corte (chiamata a giudicare dopo la condanna a tre anni per truffa aggravata da parte di un tribunale romeno), infatti, “l’emissione reiterata di assegni posdatati non risulta accompagnata da elementi indicativi della messa in opera di artifizi o raggiri idonei ad indurre in errore. Emerge anzi la consapevolezza del venditore delle difficoltà economiche dell’azienda acquirente, al punto da accettare assegni posdatati”.

“Tale condotta - prosegue la sentenza - è sanzionabile nell’ordinamento italiano soltanto in via amministrativa, a norma della legge 15 dicembre 1990, n. 336, come modificata dal Dlgs 30 dicembre 1999 n. 507”. Ne consegue che, difettando il presupposto della doppia punibilità, l’estradizione non può essere concessa  e la sentenza va annullata senza rinvio.annessa al Dpr 834/1981, con manifestazione del danno clinico”.

Fonte: ilsole24ore

Paga i danni la banca che divulga dati personali

Paga i danni la banca che divulga dati personali

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 28 agosto 2013 n. 19790
   
Paga i danni la banca che divulga all’interno di un procedimento giurisdizionale i dati personali del giudice di primo grado al fine di screditare una sentenza da lui emessa contro l’istituto di credito. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19790/2013, respingendo il ricorso della banca contro la condanna a pagare 30mila euro a titolo di risarcimento.

La banca infatti aveva riferito i termini della controversia precedentemente avuta con il giudice suddetto, rivelando circostante inerenti la sua vita privata, conosciute per ragioni professionali, senza il consenso dell’interessato, così violando il Dlgs 196/2003.

La Cassazione ha dunque condiviso la ricostruzione del giudice di merito secondo cui “le informazioni erano state strumentalmente utilizzate allo scopo deliberato di censurare la sentenza impugnata non attraverso argomentazioni tecnico - giuridiche, ma screditando il giudice che l’aveva pronunciata”.

Secondo gli ermellini “è certamente consentito utilizzare in sede giudiziaria dati personali senza il consenso dell’interessato al fine di difendere un proprio diritto, ma tutte le sentenze che si sono pronunciate nel senso indicato hanno preso in considerazione la diffusione di dati personali della controparte dell’utilizzatore, mentre nella specie i dati personali diffusi riguardavano il giudice che aveva pronunciato la sentenza impugnata e miravano non a far valere un proprio diritto, ma unicamente a screditare il suddetto e, quindi, la sua sentenza”.

Fonte: ilsole24ore

TAGLO DEI TRIBUNALI: Oua, dal 13 settembre la giustizia è a rischio caos

TAGLO DEI TRIBUNALI: Oua, dal 13 settembre la giustizia è a rischio caos

"Dal 13 settembre in Italia la giustizia è a rischio caos, molti uffici (tribunali, sedi distaccate...), spesso di grandi comuni, non sono pronti per la chiusura e non a caso il ministro Cancellieri ha già prorogato, approfittando della disattenzione estiva, il termine in diverse realtà, ma solo in alcune e con un criterio francamente incerto e inadeguato (anche se purtroppo sembra quello del ‘divide et impera’ vista la forte opposizione sociale nel Paese contro questo provvedimento). Serve invece un intervento generale come chiesto dal Parlamento". È l'analisi di Nicola Marino, presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura (Oua) a proposito della nuova geografia giudiziaria.

«Questa presunta 'revisione’ - dice Marino in una nota - tanto 'strillata’ sui giornali non fa risparmiare nulla, si pregiudicano interi territori a livello economico e in alcune centri come, appunto, Rossano, si rischia di lasciare il campo libero alle organizzazioni criminali. Proprio in queste ore, vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà agli abitanti e agli avvocati di questa città calabrese che manifestano da ieri presidiando gli uffici giudiziari anche con una protesta forte come l'occupazione».

«Comprendiamo - aggiunge Marino - il grande disagio e la rabbia di fronte a provvedimenti scellerati come questo che, di fatto, decapitano la macchina giudiziaria italiana. Non a caso, nei prossimi giorni, sono state annunciate iniziative analoghe in tutto il Paese. L'Oua é a fianco di tutte queste città che vogliono difendere il servizio giustizia». «D'altronde - ribadisce Marino - anche il Parlamento con un ordine del giorno ha chiesto al Governo una proroga generale perché sono evidenti le criticità emerse. Insistere su questa strada da parte della Cancellieri è ingiustificabile, non è una questione di difesa del piccolo orticello o del campanile come si è detto, purtroppo, da più parti con molta superficialità, ma una scelta di buonsenso per avviare, invece, una seria revisione e modernizzazione della geografia giudiziaria a tutela degli interessi generali del Paese e dei cittadini».

Fonte: ilsole24ore

Sequestri, agli amministratori professionisti non si applicano gli usi locali

Sequestri, agli amministratori professionisti non si applicano gli usi locali

Corte di cassazione - Sezione I penale - Sentenza 27 agosto 2013 n. 35634
   
Per determinare i compensi che spettano agli amministratori dei beni sottoposti al sequestro non si può fare riferimento alle tariffe locali o agli usi se costoro appartengono a categorie professionali dotate di una propria  disciplina, nel caso si trattava di un avvocato e di un commercialista. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 35634/2013.

Secondo i giudici infatti trovandosi di fronte a due professionisti bisognavi rifarsi ai regolamenti adottati con appositi decreti del Ministro della Giustizia (n. 169 del 2 settembre 2010 e n. 127 dell’8 aprile 2004), i quali dettano regole difformi rispetto al “criterio di scomposizione” seguito invece dalla Corte territoriale in ottemperanza alle circolari interne del Dirigente dell’Ufficio giudiziario, circolari che in nessun caso potevano prevalere sulla normativa secondaria che stabilisce i criteri di liquidazione finale dei compensi in favore di professionisti appartenenti a categorie per le quali esista una apposita disciplina.

“Viceversa - si legge nella sentenza -, il rinvio alle tariffe locali o agli usi trova la sua ragione di essere con esclusivo riferimento alla nomina, quale amministratore, di una persona non inquadrata in alcuna delle categorie per le quali è dettata un’apposita disciplina riguardante la liquidazione delle spettanze”.

Fonte: ilsole24ore

E’ commercialista solo sul biglietto da visita: condannato un consulente del lavoro

 E’ commercialista solo sul biglietto da visita: condannato un consulente del lavoro

La circostanza che materialmente il contratto di consulenza sia stato conferito alla società a lui riconducibile, non esclude l'esercizio abusivo della professione, posto che, da un canto proprio il titolo professionale era stato alla donna evocato all'atto del conferimento del mandato, né risulta in alcun modo dedotto che di fatto la società si servisse di professionisti abilitati al fine di svolgere le funzioni conferite dalla donna. Con la sentenza 18214/13 la Cassazione ha confermato la responsabilità penale riconosciuta dai giudici di merito.

Il caso
Una donna, rappresentante di una s.r.l., stipula un contratto con cui affida tutti gli adempimenti, fiscali e contabili della società ad un commercialista, o almeno presunto tale sulla base del biglietto da visita. Riceve poi una lettera anonima, in cui il falso commercialista viene smascherato: la donna presenta querela. L’uomo viene condannato per esercizio abusivo della professione, ma ricorre per cassazione contro le decisioni dei due gradi di merito. Sostiene innanzitutto di non essersi mai presentato con tale biglietto da visita, che sarebbe invece stato consegnato insieme alla lettera anonima. Afferma poi che nel contratto non sarebbe stato convenuto «lo svolgimento di attività riservate al commercialista, poiché oggetto dell'accordo era esclusivamente l'incarico di tenuta della contabilità, mentre non (sarebbe) stato dimostrato l'affidamento di ulteriori attività riservate». Pertanto si sarebbero dovuti applicare gli «approdi della giurisprudenza di legittimità in materia, in ragione dei quali si ritiene di escludere la configurabilità del reato nell'ipotesi di svolgimento da parte del consulente del lavoro di attività non riservate in via esclusiva ai commercialisti». La Suprema Corte ritiene correttamente provato che gli incarichi attribuiti dalla denunciante all’uomo «riguardassero tutti gli adempimenti, fiscali e contabili della società gestita dalla donna, attività il cui esercizio è riservato in via esclusiva alla competenza professionale di un commercialista, titolo prospettato in sede di conclusione del contratto», di cui l’imputato non è mai stato in possesso. E' irrilevante che il contratto sia riferito alla società per cui lavora. E’ del tutto irrilevante la circostanza per cui «materialmente il contratto di consulenza sia stato conferito alla società a lui riconducibile», poiché «da un canto proprio il titolo professionale era stato alla donna evocato all'atto del conferimento del mandato, né risulta in alcun modo dedotto che di fatto la società si servisse di professionisti abilitati al fine di svolgere le funzioni conferite dalla donna». Per tali ragioni la Corte conferma la condanna e respinge il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Sanzioni per frodi informatiche e violazioni della privacy

 Sanzioni per frodi informatiche e violazioni della privacy

Il Decreto di Ferragosto su prevenzione e contrasto della violenza di genere (ribattezzato infatti “decreto femminicidio”), allarga la propria sfera di applicazione ad una serie di reati-fonte che riguardano le aziende che trattano dati sensibili penalizzandole con sanzioni notevoli per frodi informatiche e violazioni della privacy, si può arrivare a dover pagare 774500 euro. Le imprese che trattano informazioni sensibili, rischiano di essere sanzionate anche nel caso in cui la violazione non riguardi il genere femminile e non sia collegata ad episodi di stalking o ad omicidi. In caso di mancata vigilanza sui dipendenti coinvolti nei casi previsti dal D.L. 14 agosto 2013, n. 93, o di assenza di modelli organizzativi a norma del D.Lgs. 231/2001 adatti a prevenire i reati di utilizzo improprio delle informazioni, si configurerebbe una responsabilità penale delle aziende alle quali verrebbero applicate multe salatissime che vanno da 25800 a 774500 euro. La causa della stretta sui reati informatici è da ricercare nella crescita esponenziale del business sul web ed è volta a scoraggiare le frodi virtuali.

Fonte:

http://fiscopiu.it/news/nel-decreto-di-ferragosto-sanzioni-frodi-informatiche-e-violazioni-della-privacy

Auto riparata in poco tempo? Escluso il danno da fermo tecnico del veicolo

 Auto riparata in poco tempo? Escluso il danno da fermo tecnico del veicolo

Il basso importo della fattura fa dedurre che la riparazione abbia richiesto tempi brevi, tali da rendere irrilevanti l’entità delle spese per tassa di circolazione, premio assicurativo e deprezzamento del mezzo, alle quali ci si riferisce per giustificare la liquidazione del danno in oggetto. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 9626/13.

Il caso: il fermo tecnico del veicolo. A seguito di un tamponamento tra due autovetture, il danneggiato cita in giudizio il conducente dell’altro veicolo e la sua assicurazione per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni. La questione giunge davanti alla Cassazione in quanto l’attore ritiene, essenzialmente che il Tribunale non abbia liquidato il danno da fermo tecnico del veicolo, ritenendo la relativa richiesta priva di riscontri probatori: in realtà, tale danno può essere liquidato in via equitativa indipendentemente da una prova specifica e, in ogni caso, sarebbe dimostrato dalla fattura relativa alla riparazione dell’auto. Gli Ermellini rilevano che il danno subito dal proprietario della vettura a causa dell’impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla riparazione è liquidabile in via equitativa anche in assenza di prova specifica, in quanto rileva la sola circostanza della privazione del veicolo. Nel caso in esame, la sola fattura della riparazione non permette di quantificare la congrua durata del fermo tecnico: al contrario, il basso importo riportato nella stessa fa dedurre che la riparazione abbia richiesto tempi brevi, tali da rendere irrilevanti l’entità delle spese per tassa di circolazione, premio assicurativo e deprezzamento del mezzo, alle quali ci si riferisce per giustificare la liquidazione del danno in oggetto. La Suprema Corte ritiene pertanto che non sia possibile procedere alla valutazione equitativa. Le successive censure riguardano la liquidazione delle spese: il ricorrente, in particolare, contesta il fatto che esse siano state compensate integralmente. A tal proposito, però, i giudici di legittimità non possono che ribadire il consolidato principio secondo il quale il loro sindacato è limitato ad accertare che le spese non siano poste a carico della parte vittoriosa: fuori da questa ipotesi, la valutazione dell’opportunità di compensare le spese rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che, nella fattispecie, ha correttamente tenuto conto della mancata costituzione dei convenuti e nella non imputabilità alle altre parti dell’accoglimento dell’appello. La Cassazione rigetta il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Tribunalini soppressi: alcuni resteranno aperti per smaltire le pendenze

Tribunalini soppressi: alcuni resteranno aperti per smaltire le pendenze

Proroghe in arrivo per i cosiddetti "tribunalini" soppressi: il ministro della Giustizia ha infatti firmato in questi giorni 42 decreti il cui effetto sarà quello di tenerne in vita alcuni o almeno i relativi uffici.

Ufficialmente, a mezzanotte del 13 settembre 2013 scatterà il taglio di 947 uffici giudiziari previsto dal D.Lgs 7 settembre 2012, n. 155: 30 tribunali, 30 procure, 220 sezioni distaccate e 667 sedi di giudice di pace in meno.

Grazie però ai provvedimenti firmati da Annamaria Cancellieri alcuni di essi non chiuderanno in maniera definitiva: gli edifici degli uffici soppressi saranno infatti in molti casi ancora usati per l'attività giurisdizionale, soprattutto ai fini dello smaltimento del contenzioso pendente. L'articolo 8 del D.Lgs 7 settembre 2012, n. 155 prevede infatti che "quando sussistono specifiche ragioni organizzative o funzionali [...] il Ministro della giustizia può disporre che vengano utilizzati a servizio del tribunale, per un periodo non superiore a cinque anni [...] gli immobili [...] adibiti a servizio degli uffici giudiziari e delle sezioni distaccate soppressi".

Il tribunale di Cuneo per esempio utilizzerà per i prossimi 3 anni e mezzo i locali delle sedi "formalmente" soppresse di Mondovì e di Saluzzo per tre anni e sei mesi.

Elenco delle proroghe:

sei mesi di proroga ai tribunali di Vigevano e Voghera, alla procura di Voghera e alla sede distaccata di Abbiategrasso;
dieci mesi al tribunale di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Moncalieri e Susa;
un anno alla procura di Pinerolo e alle sezioni distaccate di Ischia, Marano di Napoli e Casoria;
due anni di proroga alla sezione distaccata di Terracina e alla sezione distaccata di Tortona;
tre anni al tribunale di Casale Monferrato;
tre anni e mezzo alle sezioni soppresse di Mondovì e Saluzzo;
cinque anni alla sezione distaccata di Acqui Terme nonché al tribunale e alla Procura di Lucera.
Annamaria Cancellieri, intervistata oggi da Radio 1 Rai, nel corso della trasmissione "Start" ha inoltre voluto precisare che "nelle zone ad alto tasso di criminalità non sono stati chiusi i tribunali. Nei correttivi che porremo probabilmente nei prossimi giorni - e uso il condizionale perché devo valutarli con Camera e Senato - non ci saranno più situazioni a rischio in zone ad alto tasso di criminalità. Quello che conta è che gli uffici funzionino e che siano strutturati bene".

Nel frattempo 40 sindaci del Piemonte hanno riconsegnato simbolicamente la fascia tricolore alla prefettura di Cuneo come segno di protesta contro la chiusura del tribunale di Alba.

(Altalex, 28 agosto 2013)

martedì 27 agosto 2013

Locazione, per lo sfratto va provata la colpevolezza dell’inadempimento

Locazione, per lo sfratto va provata la colpevolezza dell’inadempimento

Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 27 agosto 2013 n. 19602
27 agosto 2013
   
La presenza di una clausola che prevede espressamente la risoluzione del contratto di locazione non comporta automaticamente lo sfratto perché è sempre necessario provare la colpa nell’inadempimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 19602/2013.

Secondo la Suprema corte, infatti: «La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’articolo 1218 cod. civ., l’accertamento dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa. Peraltro, tale accertamento dev’essere condotto con riferimento al momento dell’inadempimento e non con riferimento a comportamenti delle parti successivi al suo verificarsi, potendo tali comportamenti successivi all’inadempimento tutelato da clausola risolutiva espressa, ove si verifichino prima della dichiarazione di volersene avvalere assumere semmai solo l’eventuale significato di evidenziare per facta concludentia, a latere della parte che può dichiarare di volersi avvalere della clausola ed ancora non l’abbia fatto, il valore di rinuncia ad esercitare il diritto di avvalersene”.

Fonte: ilsole24ore

Adottabile il minore in stato di abbandono

Adottabile il minore in stato di abbandono

Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 27 agosto 2013 n. 19582
27 agosto 2013
 
È corretta la decisione di mettere in stato di adozione il minore che versi in stato di abbondono e trascuratezza dovuto alla condotta di vita borderline dei genitori entrambi tossici, i quali, fra l’altro, per ben due volte l’hanno sottratto ai servizi sociali durante lo svolgimento di colloqui protetti. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 19582/2013.

Secondo i giudici della Suprema corte, infatti, “lo stato di abbandono ricorre non soltanto in presenza di un rifiuto intenzionale o irrevocabile di assolvere i doveri genitoriali, ma anche quando i genitori non siano in grado di garantire al minore quanto indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e questa situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, per tale dovendosi intendere quella inidonea, per la sua durata, a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore”.

“In tale prospettiva - prosegue la sentenza -, il giudice di merito non può limitarsi a prendere atto del proposito, manifestato dai genitori, di riparare alle precedenti mancanze, ma deve valutare se il loro atteggiamento e i loro progetti educativi risultino oggettivamente idonei al recupero della situazione in atto, verificando non solo la sussistenza di elementi idonei a far ritenere che essi abbiano acquisito consapevolezza delle proprie responsabilità e dei propri compiti e siano pronti ad adempierli, ma anche l’eventuale presenza di altri parenti che, con il loro apporto, siano in grado di integrare o supplire alle figure genitoriali”.

Dunque, “la mera manifestazione della volontà di accudire il minore non costituisce infatti un elemento sufficiente a far escludere il rischio di una compromissione del suo sano sviluppo psico-fisico, in presenza di condizioni oggettivamente ostative alla realizzazione di tale intento o comunque tali da impedire al genitore di assicurare quel minimo di assistenza morale e materiale il cui difetto costituisce il presupposto per la dichiarazione dello stato di abbandono, tenendo presente che quest’ultima non ha alcuna connotazione sanzionatoria della condotta dei genitori, ma è pronunciata nell’esclusivo interesse del minore, il quale rappresenta il criterio che deve orientare in via esclusiva la valutazione del giudice di merito”.

Fonte: ilsole24ore

Falso in scrittura privata per la moglie che riproduce la firma del marito

Falso in scrittura privata per la moglie che riproduce la firma del marito

Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 27 agosto 2013 n. 35543
   
Falso in scrittura privata per la moglie che riproduce la firma del marito per chiedere un prestito. Non conta neppure l’eventuale consenso del marito perché il reato è contro la fede pubblica. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 35543/2013.

Secondo gli ermellini infatti “sul piano oggettivo, ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata (art. 485 cod. pen.), il consenso o acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale; sul piano soggettivo, nel delitto in questione, per l’integrazione del dolo specifico non occorre il perseguimento di finalità illecite, poiché l’oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di qualsiasi natura, legittimo od illegittimo”.

Fonte: ilsole24ore

Risarcimento del danno da vacanza rovinata

Risarcimento del danno da vacanza rovinata

Il risarcimento del danno da vacanza rovinata consiste nella restituzione del prezzo pagato dal turista-consumatore per riparare il disagio sopportato da quest'ultimo a seguito del non esatto adempimento del contratto di viaggio. Esso, in genere, viene quantificato nella metà del prezzo del pacchetto turistico venduto. Infatti, il danno non patrimoniale subito dal turista non può essere determinato nel suo preciso ammontare.
Il risarcimento del danno deve assicurare al turista una utilità sostitutiva rispetto a quella che avrebbe ricevuto nel caso in cui ci fosse stato un esatto adempimento dall'altra parte e che compensi le sofferenze morali e psichiche ricevute.
In sede di valutazione equitativa da parte del giudice, negli ultimi anni si sono moltiplicate gli elementi da prendere in considerazione per determinare il danno: le aspettative deluse precedenti al viaggio, i disagi ricevuti durante il viaggio, le conseguenze subite dal turista a causa dell'inesatto adempimento etc.
La giurisprudenza ha ritenuto che gli inconvenienti sopportati dal turista a causa dell'inadempimento degli obblighi contrattuali o di parte di essi configurano un danno non patrimoniale, il cui risarcimento trova fondamento nell'art. 16 d.lg. n. 111/1995 che usando l'espressione "qualsiasi altro pregiudizio", permette di far rientrare anche il danno da vacanza rovinata.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza hanno ritenuto risarcibile il danno da vacanza rovinata ex art. 2059 c.c., rientrando esso nei "casi determinati dalla legge". Tuttavia viene osservato che il legislatore non ha determinato quali siano questi casi.
L'applicabilità dell'art. 2059 c.c. presuppone la qualificazione del danno da vacanza rovinata, comunque, quale danno morale e richiede il rinvio alle disposizioni violate. La norma di riferimento è l'art. 13 CCV Convenzione sul contratto di viaggio, firmata a Bruxelles nel 1970 e recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111, che prevede che l'organizzatore di viaggi risponde dei pregiudizi causati al viaggiatore a causa del suo inadempimento totale o parziale degli obblighi assunti sulla base del contratto di viaggio.
Per sfuggire alle difficoltà presentate dall'applicazione dell'art. 2059 c.c., è stato anche affermato che il danno da vacanza rovinata rientri nell'art. 2043 c.c. come ipotesi di responsabilità extracontrattuale.
Una parte minoritaria della dottrina ha ritenuto, invece, che quando il turista-consumatore stipula un contratto per l'acquisto di un viaggio, il suo interesse a procurarsi un periodo di riposo viene "patrimonializzato", sulla base della quantità di denaro che è disposto ad sborsare per procurarsi quel periodo di relax. Il danno in esame è stato dunque qualificato come danno contrattuale patrimoniale e la misura del danno viene quantificata sulla base del prezzo del viaggio.
Focus giurisprudenziale
Una parte della giurisprudenza recente, in accordo con parte della dottrina, qualifica il danno da vacanza rovinata come danno non patrimoniale, riconducendo il risarcimento del pregiudizio all'art. 2059 c.c. Altra parte della giurisprudenza, per contestare questo orientamento, ha affermato che il danno da vacanza rovinata non sia risarcibile.
La più recente giurisprudenza ha ammesso il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale quando l'inadempimento rechi un pregiudizio a diritti costituzionalmente garantiti. In questo senso, il diritto ad na vacanza serena è stato ricondotto al diritto alla salute garantito dalla Costituzione.
Per quanto concerne il profilo della quantificazione del danno, la giurisprudenza ha cercato di individuare dei parametri per la sua liquidazione. I sostenitori della tesi che riconduce il danno da vacanza rovinata nella categoria dei danni contrattuali patrimoniali, possono usufruire del parametro del prezzo di viaggio.
Per evitare quantificazioni arbitrarie, la giurisprudenza richiede che il giudice indichi il procedimento logico con il quale ha quantificato in una determinata somma il danno da vacanza rovinata.

FOCUS GIURISPRUDENZIALE

Tribunale Monza, civile, Sentenza 17 settembre 2012, n. 2261
Giudice di Pace Milano Sezione 2 Civile Sentenza del 19 febbraio 2010, n. 3541
Tribunale Roma Sezione 11 Civile Sentenza del 7 gennaio 2010, n. 103
Tribunale Monza Sezione 4 Civile Sentenza del 7 gennaio 2010, n. 156
Giudice di Pace di Genova, Sentenza 24 ottobre 2007
Tribunale Marsala, Sentenza 5 aprile 2007
Giudice di Pace Acquaviva Fonti, Sentenza 5 febbraio 2007, n. 22
Tribunale Napoli, Sezione XI, Sentenza 27 aprile 2006
Giudice di Pace di Polla. Sentenza 16 settembre 2005
Tribunale Monza, Sentenza 6 settembre 2005
Tribunale Monza, Sentenza 6 settembre 2005

Fonte: ilsole24ore

Le immissioni ed i limiti di tollerabilità in condominio

Le immissioni ed i limiti di tollerabilità in condominio

Se è vero che - in virtù del disposto dell'art. 844 cod. civ. - l'elencazione dei tipi specifici di immissioni non può considerarsi tassativa, se non nel genere, tuttavia va chiarito - secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità - che i possibili fenomeni immissivi che ricadono nell'ambito di operatività della norma devono rispondere a precisi requisiti. Più in particolare, la disposizione va limitata alle sole immissioni aventi carattere materiale, indiretto e continuativo, che derivino dall'attività svolta su un fondo del vicino: «il suo dettato è passibile di applicazione, per interpretazione estensiva, a ipotesi che presentino i requisiti: della materialità dell'immissione, e cioè necessità che essa cada sotto i sensi dell'uomo ovvero influisca oggettivamente sul suo organismo (per esempio: radiazioni nocive) o su apparecchiature (per esempio: correnti elettriche e onde elettromagnetiche); del carattere indiretto o mediato dell'immissione, nel senso che essa non consista in un facere in alienum, ma costituisca ripercussione di fatti compiuti direttamente o indirettamente dall'uomo, nel fondo da cui si propaga; dell'attualità di una situazione di intollerabilità, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuità, o almeno periodicità, anche se non a intervalli regolari, dell'immissione»...
SEGUE SU Lex24 Consulente Immobiliare 30.4.2013 - n. 1 - p.4 - Fenomeni immissivi e limiti di tollerabilità
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Il rumore durante le ore notturne e diurne rientra tra le principali cause che genera dissidi tra i condomini. La casistica giurisprudenziale, oltre a essere molto vasta, è anche variegata. Nella tabella che segue cercheremo di sintetizzare, senza nessuna pretesa di esaustività, le principali casistiche sottoposte ai Giudici soffermandoci solamente sulla casistica più recente e particolare prodotta negli ultimi anni.

LA CASISTICA GIURISPRUDENZIALE
Giochi dei bambini
Parco giochi sotto casa: il comune che paga per gli schiamazzi dei bambini.
(Cass. civ., Sez. unite, sent. n. 4848 del 27.2.2013)
Pianoforte
Esercitazioni al pianoforte: se l'immissione di rumore non supera il limite consentito, niente inibizione dell'uso dello strumento: basta una limitazione di orario e l'insonorizzazione. (Cass., sent. n. 9434 dell'11.6.2012)
Deve essere inibita, fino a che non siano realizzate le necessarie opere di insonorizzazione, l'attività canora e pianistica fonte di ripetute immissioni acustiche eccedenti la normale tollerabilità (9 dB rispetto al rumore di fondo). Il rumore, soprattutto quello persistente e continuativo di strumenti musicali, provoca un sicuro turbamento del benessere psicofisico, risarcibile in via equitativa come danno biologico. (App. Torino, 23.3.1993)
Il suono di un pianoforte che superi il limite di normale tollerabilità può essere causa di un pregiudizio imminente e irreparabile alla salute dei vicini: deve perciò inibirsi l'uso dello strumento fino a che non siano poste in essere le necessarie misure di insonorizzazione.
(Pret. Milano, 18.2.1993)
Ascensore
 Rumori dell'ascensore che superano la soglia di tollerabilità.
 (Cass., sent. n. 26898 del 14.12.2011)
Movida notturna schiamazzi, musica alto volume
Risponde della contravvenzione di cui all'art. 659/1 cod. pen. il gestore di un locale che ometta di controllare il volume delle emissioni sonore musicali prodotte all'interno del locale e di impedire schiamazzi da parte degli avventori del locale stesso, in particolare durante l'orario notturno.
(Cass., sent. n. 13599 del 5.4.2011)
Il titolare di un pubblico esercizio risponde penalmente degli schiamazzi e dei rumori provocati dagli avventori fuori dal locale, in quanto è suo dovere “impedire condotte contrastanti con le norme relative alla polizia di sicurezza, mediante il ricorso all'autorità”.
 (Cass., sent. n. 45484/2004)
È configurabile il reato previsto dall'art. 659, comma 1, cod. pen. nei confronti del gestore di un pubblico locale - nella specie, un pub - la cui attività, per l'abuso di strumenti sonori, disturbi il riposo delle persone, a nulla rilevando che l'attività stessa, da ritenere per sua natura rumorosa, sia stata autorizzata dalla competente autorità amministrativa. (Cass. sent. n. 11310 del 26.2.2008)
Condizionatore
 Climatizzatore rumoroso: oltre al limite di legge, il giudice deve guardare allo stato dei luoghi come nel caso del negozio che confina con lo studio legale.
(Cass., Sez. II, sent. n. 939/2011)
La Cassazione, ha condannato un condomino alla pena di € 300,00 di ammenda per avere disturbato la quiete e il riposo dei vicini, per avere utilizzato, anche in ore notturne, un rumoroso impianto di condizionamento dell'aria. (Cass., sent. n. 34240 del 12.7.2005)
Cane
Cane abbaia di notte. Sanzione penale al proprietario che non evita il disturbo ai vicini. (Cass., Sez. I, sent. n. 715/2011)
Tubazioni
Immissioni sonore provenienti dal bagno del vicino.
(Cass., Sez. II, sent. n. 14353 del 3.11.2000)
Caldaia
 Immissioni derivate dalla caldaia per l'impianto di riscaldamento a gas metano installato sul vicino balcone.
(Cass. civ., Sez. II, sent. n. 7143 dell'1.8.1997)
Centrale termica
Rimozione della centrale termica condominiale dal luogo in cui era stata installata. (Cass., sent. n. 1485 del 26.2.1996)
Cancello
Rumori prodotti dal funzionamento dello scatto automatico del cancello. (Cass., Sez. II, sent. n. 3223 del 20.3.1995 e n. 4155 del 29.4.1994)
Tipografia
Sono vietate le immissioni di varia natura causate da uno stabilimento tipografico impiantato nei locali del cantinato del condominio.
(Cass., Sez. II, sent. n. 1195 del 4.2.1992)
Ristorante
Rumore, calore, fumi e odori eccedenti la normale tollerabilità immessi dal sottostante ristorante.
(Cass., Sez. II, sent. n. 49 del 7.1.1992)

Fonte: ilsole24ore

Lungo matrimonio da casalinga: persa la capacità lavorativa. Diritto a un corposo assegno divorzile

Lungo matrimonio da casalinga: persa la capacità lavorativa. Diritto a un corposo assegno divorzile

Quasi cinquant’anni di matrimonio, trascorsi solo e soltanto come ‘regina del focolare’, perdendo inevitabilmente, col trascorrere del tempo, ogni «capacità lavorativa». Di questo percorso – obbligato – di vita non si può non tener conto, all’atto di fare i conti per fissare il quantum dell’assegno divorzile a favore dell’ex moglie (Cassazione, sentenza 9669/13). Rotto definitivamente il rapporto coniugale, nonostante un percorso che ha sfiorato il traguardo delle ‘nozze d’oro’, resta da risolvere la questione economica. E la decisione assunta dai giudici – sia in primo che in secondo grado – è nettamente sfavorevole all’uomo: quest’ultimo, difatti, viene condannato a «corrispondere alla moglie» un «assegno divorzile» pari a 2mila e 100 euro. Troppo, secondo l’uomo, che, richiamando la legge sul divorzio, propone ricorso in Cassazione. Obiettivo è vedere alleggerito il carico economico che grava sulle sue spalle. Invece, la decisione emessa in Appello viene condivisa, e confermata in toto, dai giudici della Cassazione: corretta la scelta di riconoscere alla donna un assegno pari a 2mila e 100 euro. Fondamentale, secondo i giudici, è il «divario reddituale tra i coniugi», divario evidentissimo in questa vicenda. Perché, ricordano i giudici, l’uomo, nonostante una «condizione economica deteriorata rispetto al passato», può vantare ancora «l’esistenza di cospicui redditi, una buona pensione, la titolarità di un patrimonio immobiliare in parte alienato», il cui ricavato sarà stato «messo a frutto». E, soprattutto, perché la donna, «di età avanzata» e «affetta da numerose patologie», «non ha mai svolto attività lavorativa e, nel corso di quasi cinquant’anni di matrimonio, si è sempre dedicata alla cura della famiglia e della casa» e si ritrova «priva di ogni residua capacità lavorativa». Assolutamente evidente, quindi, la «inadeguatezza dei redditi» della donna, che legittima non solo il riconoscimento dell’assegno divorzile a carico dell’ex marito ma anche il quantum stabilito in Appello, soprattutto tenendo presente «la lunga durata del matrimonio e la costante dedizione alla cura della famiglia».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

La Cassazione boccia l'equazione artigiano=evasore fiscale

 La Cassazione boccia l'equazione artigiano=evasore fiscale

La Cassazione – con la sentenza n. 33372 del 1° agosto 2013 – si è pronunciata sul caso di un artigiano condannato per aver omesso il versamento della somma stabilita dal tribunale civile con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio. L’artigiano aveva fatto ricorso deducendo come la responsabilità dell’imputato fosse stata affermata sulla base di mere supposizioni, senza verificare l’effettiva incapacità economica dell’obbligato. La Corte di Appello, infatti, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva osservato che l’imputato aveva dichiarato nel 2003 un determinato reddito, come riferito dalla Guardia di Finanza a seguito dei compiuti accertamenti, e poi aveva precisato quanto segue: “è altrettanto vero che, trattandosi di artigiano, lo stesso  ben può avere operato con modalità tali da sottrarre le proprie modalità al fisco”. L'assunto è stato considerato manifestamente illogico da parte della Suprema Corte, oltreché, “inaccettabile in una sentenza”, in quanto conteneva una doppia generalizzazione secondo cui tutti gli artigiani sono evasori fiscali e l’imputato, in particolare, essendo artigiano, ben poteva aver evaso l’obbligo tributario.

Fonte: http://fiscopiu.it/news/l-artigiano-solito-evadere-il-fisco-cassata-la-sentenza-che-conteneva-questa-generalizzazione

DANNO ERARIALE - Responsabilità estesa ai privati

DANNO ERARIALE - Responsabilità estesa ai privati

Ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, non deve aversi riguardo alla qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico - che ben puo' essere un soggetto di diritto privato, destinatario della contribuzione - bensì alla natura del danno ed alla portata degli scopi perseguiti con la contribuzione stessa", in quanto "in tema di danno erariale, e' configurabile un rapporto di servizio tra la P.A. erogatrice del contributo statale ed i soggetti privati e pertanto una loro responsabilita' amministrativa qualora essi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima percezione, abbiano frustrato lo scopo perseguito dall'Amministrazione.

Così le Sezioni Unite nella recente sentenza n. 17660, con la quale viene condannato un amministratore di società che aveva ricevuto un contributo a fondo perduto a fronte del quale non aveva realizzato l'opera promessa. Nel merito la Cassazione conferma che rientra nella giusirdizione dei magistrati contabili ogni soggetto che gestisce denaro pubblico, anche privato, in ragione del danno e degli scopi perseguiti con l'assegnazione di risorse fianziarie.

Fonte: ilsole24ore

lunedì 26 agosto 2013

Cassazione: femminicidio rafforzare la parte sullo stalking del Dl

Cassazione: femminicidio rafforzare la parte sullo stalking del Dl


Bene la querela non revocabile contro il violento, che rappresenta la "novità più rilevante", e le nuove misure di tutela introdotte, ma il testo sul femminicidio va rafforzato, perché sullo stalking, sulle possibili ricadute sui minori e anche sulle modifiche al codice di procedura penale presenta dei punti deboli. La Cassazione ha fatto una disamina del decreto legge sul femminicidio varato dal governo alla vigilia di ferragosto, il n. 93 di quest'anno. Un testo che non contiene solo misure per contrastare la violenza di genere e contro le donne, ma anche in materia di sicurezza (dalla rapina, al furto di rame, alla frode informatica), di protezione civile e di commissariamento delle province.

Ma è certamente la prima parte quella che a livello sociale suscita maggiore interesse, visto il ripetersi di omicidi, violenze e maltrattamenti contro le donne. In una relazione la Suprema Corte spiega che la norma segna importanti passi avanti, recependo le indicazioni della Convenzione di Istanbul, introducendo nuovi "meccanismi di tutela della persona offesa" e soprattutto introducendo la irrevocabilità della querela contro il violento. Ma non mancano aspetti dubbi, soprattutto in merito al reato di atti persecutori, lo stalking, che spesso è l'anticamera di violenze più gravi.

Nessuna aggravante per la presenza di minori
Suscita "qualche perplessità" - segnala infatti la Suprema Corte - il fatto che il decreto non abbia previsto un'aggravante per il reato di atti persecutori commessi in presenza di minori analoga a quella predisposta per i maltrattamenti commessi alla presenza di minori di 18 anni, ossia la "violenza assistita". Per quest'ultima, infatti, il testo stabilisce l'aumento di un terzo della pena, soppesando quindi "il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza domestica e soprattutto a quelli di cui è vittima la madre".

Manca invece la "previsione di analoga aggravante con riguardo al reato di atti persecutori, che presenta ugualmente natura abituale e la cui consumazione può dunque obbligare (e l'esperienza insegna che di fatto spesso obbliga) minori ad assistere a comportamenti parimenti pericolosi per il loro corretto sviluppo psicologico". Un rilievo analogo viene mosso a partire dall'aggravante introdotta per il reato di violenza sessuale in cui la vittima sia il coniuge, anche se separato o divorziato. Un punto che è stato a lungo dibattuto in giurisprudenza su cui "il legislatore dell'urgenza ha dunque rotto ogni residuo indugio ed ha soprattutto riconosciuto la specifica gravità della violenza sessuale perpetrata come manifestazione di dominio all'interno di un rapporto di coniugio o affettivo ovvero come strumento di 'persecuzione’ successivo alla rottura di tali rapporti".

"Scelta che peraltro il decreto - obiettano però dalla Cassazione - non ha replicato con altrettanta decisione con riguardo al delitto di atti persecutori".  Il decreto legge apporta anche una serie di modifiche la codice di procedura penale a supporto delle novità introdotte. Modifiche che riguarda le varie fasi del procedimento, dalle misure cautelari all'incidente probatorio, ma che nel loro svolgimento e nella tempistica "non sempre si distinguono per coerenza sistematica".

Fonte: ilsole24ore

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...